Il clima di incertezza che si respira intorno alla situazione economica dell’Italia desta preoccupazioni un po’ in tutti, dal piccolo risparmiatore al grande investitore. Preoccupa quindi il comune cittadino che si pone un interrogativo semplice al quale spesso non trova una risposta che lo sia altrettanto: ma l’Italia rischia davvero di fallire?

In realtà il fallimento di uno Stato sovrano non deve essere immaginato come quello di una grande azienda che chiude i battenti e cessa di esistere come attività. Uno Stato che fallisce è più simile ad un comune cittadino con dei debiti che non è in grado di estinguere. Ma cerchiamo di fare più luce sulla questione.

Cosa succede quando uno Stato va in default

Può capitare di sentir dire comunemente che lo Stato rischia di fallire, ma in realtà nel caso dello Stato non si tratta esattamente di fallimento. Lo Stato non fallisce, ma va in default ad essere precisi, e quando accade vuol dire che è diventato insolvente. In altre parole non è stato in grado di far fronte ai propri debiti, cioè non restituirà quanto dovuto ai propri creditori.

Ma cosa succede se lo Stato italiano va in default? Come detto uno Stato è insolvente in quanto non paga i propri debiti. E’ vero anche che il debito non viene mai ripagato per intero, ma viene rinnovato tramite un meccanismo che possiamo esporre in maniera semplice. Lo Stato emette un titolo di stato che viene acquistato dal creditore (una banca ad esempio) e alla scadenza del titolo lo Stato deve corrispondere al creditore l’importo iniziale più gli interessi maturati, oppure rinnovare il titolo.

Se lo Stato non è in grado di corrispondere la somma necessaria a ripagare il creditore deve obbligatoriamente emettere nuovi titoli, ma chi acquisterà nuovi titoli di uno Stato che ha dimostrato di non essere in grado di ripagare il creditore? E qui sorge il vero problema dello Stato che finisce in default.

Il rischio maggiore è infatti che lo Stato non riesca più a finanziarsi, non trovando nessun ente disposto a rischiare l’acquisto di Titoli che una volta scaduti, presumibilmente non verranno pagati.

L’Italia rischia davvero di fallire?

Ultimamente si è parlato molto della situazione economica del nostro Paese, ma già si sapeva che sarebbe stato un “autunno caldo” per via di una manovra di Bilancio proveniente da un cosiddetto governo populista. Un governo del cambiamento che avrebbe fatto storcere il naso un po’ a tutti in area euro, e così è stato.

In un certo senso, per semplificare, possiamo dire che tutto è iniziato col braccio di ferro relativo al rapporto deficit/pil che l’esecutivo ha previsto per i prossimi 3 anni. Dopo lunghe trattative, nella legge di bilancio è stato inserito l’ormai noto 2,4% per il primo anno, 2,1% per il secondo e 1,8% per il terzo anno.

Previsioni che non pochi hanno ritenuto fin troppo ottimistiche. L’Italia ha un debito pubblico che è il 130% del PIL, il più alto d’Europa, e questo naturalmente non è un bene, specie se invece di ridurre il rapporto deficit/pil (che attualmente si attesta intorno al 2%) si decide di aumentarlo.

Ecco, in estrema sintesi, come siamo entrati in un clima di sfiducia che ha poi portato lo spread a salire di giorno in giorno da oltre un mese a questa parte. Ma soprattutto ha portato tanti comuni cittadini a domandarsi appunto: quanto è alto il rischio di fallimento dell’Italia? Vediamo più nel dettaglio quali sono i fattori da prendere in analisi per capire a cosa stiamo andando incontro.

La fine del Quantitative Easing

Questo è un aspetto di una certa rilevanza. Il QE (Quantitative Easing) è un programma di allentamento quantitativo adottato dalla BCE che consiste nell’acquistare titoli di debito a tasso zero, permettendo così ai vari Paesi dell’eurozona di finanziarsi sostanzialmente a costo zero.

Questo programma sta appunto volgendo a termine, di conseguenza i vari Stati, tra cui naturalmente l’Italia, saranno costretti a rivolgersi altrove per vendere i propri titoli, e questo vuol dire che ci saranno degli interessi da corrispondere ai nuovi creditori, i quali ovviamente non acquisteranno a tasso zero come faceva la BCE.

La paura dell’uscita dall’euro

In Europa soffia vento di cambiamento, e si nota. I cosiddetti partiti populisti stanno raccogliendo consensi sempre più ampi, e questi partiti sono tendenzialmente euroscettici. La stessa accusa viene infatti mossa all’attuale esecutivo italiano. Fin dalle concitate fasi di formazione del governo la paura dell’euroscetticismo si percepiva in maniera tangibile, e gli stessi timori sono tutt’ora nell’aria.

In che modo incide questa tendenza che, ribadiamo, non riguarda solo l’Italia? E’ semplice. Se gli investitori credono che l’Italia voglia uscire dall’Euro si affretteranno a vendere per evitare una svalutazione, e questo causerà un aumento degli interessi e tutta una serie di conseguenze che spingerebbero il Paese verso il rischio di insolvenza.

Tre ragioni per cui l’Italia non può fallire

Secondo i più ottimisti l’Italia in realtà non può fallire per alcune ragioni ben precise. O meglio, la possibilità del fallimento esiste, ma sarebbe tutto sommato remota per 3 motivi che andiamo ad analizzare uno per uno.

Fondamentali economici

Un Paese troppo solido per ritrovarsi in tali difficoltà da non riuscire a ripagare gli interessi sul debito, o da non essere in grado di rinnovare periodicamente i propri titoli. Nel 2011 ad esempio la situazione in cui stava scivolando l’Italia era molto simile a quella della Grecia, ma ciò non è accaduto.

Eppure le prospettive di crescita erano pessime. Le previsioni davano una crescita stimata del -2,5% per l’anno seguente, ed il tasso di disoccupazione continuava a salire. Oggi invece la disoccupazione sta calando, anche se molto lentamente, e la crescita economica, seppur bassa, è presente.

Inoltre si trascura spesso un dettaglio interessante: la riserva patrimoniale degli Italiani. Il risparmio privato in Italia è tra i più alti d’Europa con un valore complessivo che supera gli 8mila miliardi di euro. Somme probabilmente inservibili ai fini del debito, ma di importanza sicuramente non trascurabile negli scenari più brutti.

La teoria del “too big to fail”

Secondo questa teoria l’Italia sarebbe troppo grande per fallire. Cosa vuol dire? E’ semplice. L’Italia è la terza economia d’Europa, nonché la settima economia del mondo. Ha un debito pubblico inferiore solo a quello di USA e Giappone. Se fallisse trascinerebbe con sé tutta l’Europa e chissà quanti Paesi del resto del mondo e nessuno vorrebbe che si concretizzasse uno scenario del genere.

Secondo alcuni però l’importanza economica dell’Italia si può leggere in tutt’altro modo. Non si tratterebbe di un Paese troppo grande per fallire, bensì di un Paese troppo grande per essere salvato. Su un’economia come quella della Grecia con un PIL paragonabile a quello di una sola regione di Paesi come Italia, Francia o Germania, si può anche intervenire con degli aiuti, ma con la terza economia d’Europa non sarebbe così facile.

Nessuno vuole l’Italia in default

La teoria più semplice ed intuitiva probabilmente. Collegata per certi versi alla precedente, questa teoria dice che gli altri Paesi europei farebbero tutto il possibile pur di evitare il fallimento dell’Italia che altrimenti li trascinerebbe con sé.

A pagare le conseguenze del fallimento dell’Italia sarebbero in primis le banche tedesche e francesi, che sono le maggiori detentrici del debito del nostro Paese. Queste si ritroverebbero con un enorme buco a causa dell’insolvenza dell’Italia e ciò causerebbe una sorta di effetto domino che creerebbe conseguenze disastrose.

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