I Titoli di Stato alle aste sui Btp dell’11 ottobre sono già stati tutti piazzati, e dal momento che la domanda ha superato l’offerta, possiamo sicuramente dire che per lo Stato è una buona notizia. Non ci sono solo buone notizie però, infatti bisogna considerare altri aspetti non meno importanti. Il primo riguarda i rendimenti, che si sono impennati come accaduto coi Bot il giorno precedente.

Questo cosa comporta esattamente? Il motivo per cui si tratta di una cattiva notizia è semplice. Con l’aumento dei rendimenti crescono anche i costi che lo Stato deve sostenere per finanziarsi, in modo particolare coi Btp triennali il cui rendimento è salito al 2,51%, una soglia che non veniva toccata dal settembre del 2013.

Ecco che gli interessi che lo Stato deve corrispondere per ogni miliardo emesso sono passati dai 12 milioni di euro dell’asta di settembre, ai 25 milioni del mese di ottobre. Un onere più che raddoppiato dunque per i Btp a scadenza triennale. Discorso simile per i Btp settennali, che vedono una crescita degli interessi a carico del Tesoro di 7,3 milioni, passando dai 25,5 milioni del mese di settembre, agli attuali 32,8 milioni.

Se da una parte corrispondere questi interessi non conviene allo Stato, dall’altra naturalmente conviene al cittadino, che si aggiudica un rendimento di tutto rispetto. E’ un buon investimento ad esempio per chi acquista Btp attraverso la propria banca o sul mercato secondario, con l’intenzione di portarlo a scadenza. Il rischio maggiore di questo tipo di investimento è legato all’affidabilità dell’emittente, cioè alla possibilità che il Tesoro risulti inadempiente nel pagamento delle cedole o nel rimborso del capitale. Una possibilità quest’ultima sicuramente remota, ma che alcuni non si sentono comunque di escludere del tutto.

Se invece si acquista Btp senza l’intenzione di portarlo a scadenza, al rischio di cui sopra si deve andare ad aggiungere un altro fattore. Nel momento in cui si vuole procedere con la vendita del titolo prima della scadenza, oltre al rischio legato all’affidabilità dell’emittente si deve considerare quello legato alle oscillazioni di prezzo del titolo al ribasso.

Esiste quindi il pericolo di registrare una minusvalenza, vale a dire che ci si potrebbe trovare a vendere ad un prezzo inferiore rispetto a quello a cui si è acquistato. Questo perché nell’attuale scenario non si possono escludere ulteriori ribassi dei prezzi dei titoli di Stato italiani.

Agevolazioni fiscali per chi investe in titoli di Stato e Conti Individuali di Risparmio

Per chi investe nei titoli di Stato sono attualmente previste delle agevolazioni fiscali. E’ prevista una imposizione fiscale del 12,5% per chi acquista titoli di Stato, contro il 26% che riguarda invece azioni e fondi, sia sulle cedole che su eventuali plusvalenze.

L’esecutivo sta inoltre valutando in che modo incentivare ulteriormente chi investe in obbligazioni dello Stato lanciando i cosiddetti Cir, acronimo che sta per Conti Individuali di Risparmio. Si tratterebbe di prodotti finanziari simili ai fondi, contenenti principalmente titoli di Stato emessi nel 2019, con la caratteristica di essere completamente esentasse.

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