I prossimi 2 mesi saranno alquanto impegnativi per la compagine di governo, che si vedrà alle prese con numeri da far quadrare, e l’impresa si prospetta tutt’altro che facile.

Il rischio più grosso per i mercati è stato scongiurato. Ci riferiamo al pericolo di sforare la soglia del 3% del rapporto deficit/pil, cosa che a ricordare i primi rumors non si poteva proprio dare per scontata. Non che si possa dire che il 2,4% al quale si è infine approdati, ai mercati piaccia, ma vediamo qual è la situazione.

Con la nota di aggiornamento del Def (Documento di Economia e Finanza) è stato stabilito che per il triennio 2019-2021 il rapporto deficit-pil dell’Italia si attesterà intorno al 2,4%. La reazione non si è fatta attendere su Piazza Affari con un Ftse Mib sotto di 4 punti percentuale, sui Titoli di Stato che hanno visto un rialzo dei rendimenti di circa 30 punti base su tutta la curva, ed un’inevitabile e quanto mai prevedibile impennata dello spread tra i Bund e i Btp a quota 260.

E’ fondamentale a questo punto capire se si tratta di una reazione limitata oppure se ciò rappresenta l’inizio di una fase di tensione dei mercati. I fattori da cui ciò dipende sono sostanzialmente due: uno riguarda la qualità della spesa contenuta nella nota di aggiornamento al Def, ossia la proporzione tra investimenti e spesa; l’altro riguarda la qualità del “dialogo” per così dire tra la compagine di governo e la Commissione Europea, che entro novembre dovrebbe approvare la manovra.

Buoni del Tesoro e spread: situazione brutta ma non troppo

Si è chiusa una giornata all’insegna delle vendite soprattutto per banche e titoli di stato, ed è naturale che sia così quando si respira profonda incertezza. E’ però un dato positivo quello che non si sia giunti al cosiddetto “panic selling”, ossia una sorta di vendita forsennata dettata da profonda sfiducia da parte dell’investitore.

Gli operatori finanziari, in questi frangenti, si concentrano sulla curva dei rendimenti, osservando lo spread tra i titoli a 10 anni e quelli a 2 anni. I primi attualmente rendono il 3,2%, gli altri l’1,15% con un differenziale che supera i 200 punti base. Questo è definitivamente un buon segnale, mentre se non ci fosse questo spread “interno” tra i due tipi di rendimento, il quadro complessivo potrebbe essere destinato a peggiorare.

Il rischio Italia secondo le agenzie di rating

Le tre principali agenzie di rating, Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch hanno assegnato all’Italia un “BBB” che nella griglia di Moody’s diventa un Baa2. La soglia “speculative grade” resta un paio di gradini più in basso, e con essa la categoria junk bond che bloccherebbe gli investimenti di alcuni fondi che sarebbero tagliati fuori dalle loro stesse policy di sicurezza.

I giudizi di Standard & Poor’s e di Moody’s arriveranno entro fine mese. Secondo Vincenzo Longo, strategist di Ig esiste il tangibile pericolo che Moody’s decida di dare un downgrade all’Italia, ma questo non la escluderebbe comunque dalla categoria “investment grade”. Decisamente peggiore sarebbe invece lo scenario in cui al downgrade si accompagni un outlook negativo, cosa che invece sembra già nelle corde della terza delle tre agenzie in questione: la Fitch.

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