Secondo Carsten Brzeski, capo economista di ING, gli ultimi deludenti dati macroeconomici in area euro, i segnali timidi che la resilienza dell’economia interna stia vacillando, un potenziale taglio dei tassi da parte della Federal Reserve già a luglio e una comunicazione da “colomba” da parte dei funzionari della BCE, stanno spingendo la BCE a far qualcosa nel meeting in programma tra due settimane.
Per Brzeski, infatti, la BCE ha oramai creato delle aspettative che sarà difficile calmare nelle prossime settimane, e che indurranno l’istituto di Mario Draghi ad agire già a luglio (almeno, in termini di guideline) per poi intervenire con un provvedimento più grane del previsto a settembre, che potrebbe consistere in un taglio di 20 pb del tasso di deposito e in un riavvio del programma di quantitative easing.
Insomma, che si tratti di luglio o di settembre, i mercati finanziari stanno scontando l’opinione che Mario Draghi lascerà il proprio ruolo con una decisione piuttosto importante.
Quasi contestualmente a tali dichiarazioni, sono giunte le valutazioni da parte del Fondo Monetario Internazionale (FMI), che ha dichiarato che la zona euro potrebbe dover affrontare un prolungato periodo di crescita anemica, stimando una crescita del PIL dell’1,3% nel 2019.
L’euro è sembrato reagire negativamente al tono pessimistico del FMI, tanto che il cross EUR/USD si è ulteriormente appiattito vicino a 1,1250. Peraltro, il Fondo ha sottolineato come tra i crescenti rischi per l’economia dell’Eurozona ci sono non solamente le tensioni commerciali e l’impatto della Brexit, quanto anche i problemi del debito italiano.
Per il FMI, inoltre, la BCE dovrebbe abbreviare la scadenza del nuovo TLTRO, offrire condizioni di prezzo meno generose rispetto al TLTRO II per evitare che le banche aumentino la loro esposizione sovrana. L’eventuale tasso di deposito differenziato della BCE avrebbe infatti un impatto molto limitato sulla redditività aggregata delle banche e un impatto discutibile sulle condizioni di credito – hanno poi precisato gli economisti del Fondo che invitano poi la BCE, qualora necessario, a prendere in considerazione un nuovo programma di acquisto di asset eventualmente esteso ad un insieme più ampio di attività finanziarie.
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