Lo yuan, la moneta cinese, ha toccato il livello più basso contro il dollaro statunitense da 11 mesi a questa parte, come scia degli effetti delle preoccupazioni che uno spazio di tensioni tariffarie commerciali tra Pechino e Washington sia in grado di trasformarsi in una vera e propria guerra commerciale.
Sia lo yuan onshore che quello offshore hanno superato il livello quota 6,7 per dollaro per la prima volta da agosto 2017 durante la sessione di negoziazione asiatica di martedì. Lo yuan onshore è stato scambiato a 6,6748 dollari, recuperando terreno dopo una condizione di indebolimento precedente a 6.7168. Nel mercato offshore, dove lo yuan è meno controllato, la valuta è scambiata a 6,6911.
La Banca Popolare Cinese ha fissato lo yuan a metà “strada”, a 6,6497 dollari prima dell’apertura del mercato finanziario di martedì, con la sua fissazione più debole da agosto 2017 e circa lo 0,5% più debole rispetto a quella di lunedì a 6,6157. La banca centrale di solito consente allo yuan di salire o scendere in una fascia del 2% rispetto al dollaro, rispetto al punto medio.
Le mosse sono arrivate proprio mentre le due maggiori economie del mondo si preparano a far rispettare le tariffe commerciali di reciproca ritorsione. L’amministrazione staunitense del presidente Donald Trump è pronta ad applicare un dazio del 25% su un recinto di prodotti cinesi valutato per 34 miliardi di dollari, in grado di interessare oltre 800 categorie di prodotti, con decorrenza 6 luglio. Il governo cinese, dal canto suo, ha intenzione di imporre una tassa del 25% sui beni degli Stati Uniti con decorrenza dallo stesso giorno.
Stando a quanto afferma il Governatore della PBOC, Yi Gang, le forti variazioni dello yuan sarebbero imputabili alla forza del dollaro, oltre alle incertezze esterne. Lo yuan ha accumulato perdite del 3,25 per cento nel mese di giugno, confrontando tale performance con quella di agosto 2015, quando la banca centrale ha inaspettatamente permesso alla moneta di indebolirsi di quasi il 3 per cento rispetto al dollaro USA (una mossa che, peraltro, ha provocato forti deflussi di capitali).
Tuttavia, molti analisti non prevedono una ripetizione di quanto avvenuto nel 2015. “Quella dell’11 agosto 2015 è stata una crisi determinata dalla banca centrale” – ha affermato Iris Pang, economista di ING. “Il deprezzamento di oggi (ieri, ndr) è guidato dal mercato, che riflette i rischi di una guerra commerciale. Il che implica che la banca centrale sta permettendo alle forze di mercato di dettare la velocità del deprezzamento se c’è spazio effettivo per farlo”. ING ha anche rivisto la sua previsione di yuan da 6,6 dollari a 7 entro la fine dell’anno.
A differenza del 2015, inoltre, non ci sono grandi preoccupazioni per un atterraggio “duro” dell’economia cinese, afferma Claudio Piron, co-responsabile dei tassi asiatici e strategia FX presso la Bank of America Merrill Lynch Global Research. Pan Gongsheng, responsabile del regolatore dei cambi in Cina, ha espresso fiducia nella capacità del governo di mantenere lo yuan a un livello “ragionevole”.
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