Negli ultimi anni, il concetto di smart working ha guadagnato sempre più importanza, consentendo ai lavoratori di svolgere le proprie attività professionali da remoto, senza dover necessariamente essere presenti in ufficio.
Questa forma di lavoro flessibile può essere estesa anche oltre i confini nazionali, dando la possibilità ai datori di lavoro italiani di consentire ai propri dipendenti di lavorare stabilmente all’estero. Tuttavia, è essenziale che i datori di lavoro siano consapevoli degli obblighi fiscali e previdenziali derivanti da questa situazione.
Quali sono gli obblighi fiscali per un lavoratore in smart working dall’estero
Gli obblighi fiscali per un dipendente che lavora all’estero in modalità smart working per conto di un datore di lavoro italiano dipendono principalmente dal suo status di residenza fiscale. La residenza fiscale è definita dall’articolo 2, comma 2 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) ed è ciò che determina se il lavoratore è soggetto alla tassazione in Italia e su quali tipi di reddito.
Secondo l’articolo 3, comma 1 del TUIR, i redditi di lavoro prodotti da dipendenti residenti in Italia costituiscono la base imponibile fiscale. Tuttavia, per i lavoratori non residenti, sono considerati solo i redditi di lavoro prodotti in Italia. L’articolo 23, comma 2, lettera c) del TUIR specifica che i redditi di lavoro relativi all’attività svolta nel territorio italiano sono considerati prodotti in Italia.
Le stesse regole fiscali sono generalmente applicate anche agli accordi internazionali contro le doppie imposizioni, come l’articolo 15 del Modello dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE). Questo articolo prevede la tassazione esclusiva dei redditi da lavoro nello Stato di residenza del dipendente, a meno che l’attività lavorativa non venga svolta nell’altro Stato.
Se un lavoratore svolge la sua attività in un Paese diverso da quello di residenza, i redditi da lavoro potrebbero essere soggetti a tassazione in entrambi gli Stati. Tuttavia, l’articolo 15 del Modello OCSE stabilisce delle eccezioni che consentono la tassazione esclusiva dei redditi nel Paese di residenza del dipendente. Queste eccezioni si applicano quando si verificano le seguenti condizioni:
- Il beneficiario soggiorna nell’altro Stato per un periodo o periodi che non superano complessivamente i 183 giorni in un periodo di 12 mesi che inizia o termina nell’anno fiscale preso in considerazione.
- Le remunerazioni sono pagate da o a nome di un datore di lavoro non residente dell’altro Stato.
- L’onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nell’altro Stato.
Se queste condizioni sono rispettate, i redditi saranno imponibili solo nello Stato di residenza del lavoratore. Tuttavia, è importante tenere presente che l’esenzione fiscale deve essere verificata anche in base all’interpretazione data dalle autorità fiscali del Paese estero, che devono applicare l’accordo internazionale e riconoscere l’esenzione. Pertanto, è fondamentale comprendere in quale Paese occorre pagare le tasse nel caso di lavoro all’estero da remoto.
Lavoro all’estero ma con residenza fiscale in Italia
Nel caso in cui il lavoratore, nonostante svolga la propria attività lavorativa all’estero, mantenga la residenza fiscale in Italia, sarà soggetto a tassazione in Italia, con la possibilità di recuperare l’eventuale doppia imposizione subita nel Paese estero attraverso il credito per le imposte pagate all’estero. Pertanto, è fondamentale comprendere in quale Paese occorre pagare le tasse nel caso di lavoro all’estero da remoto.
È importante monitorare annualmente lo status di residenza fiscale del dipendente, poiché eventuali variazioni comportano la tassazione dei redditi di lavoro in Italia e l’obbligo di sostituzione di imposta. Per quanto riguarda il datore di lavoro, nel Paese estero dovranno essere verificati gli obblighi di registrazione fiscale e sostituzione di imposta.
Quali sono le regole previdenziali per chi svolge smart working dall’estero
Quando si tratta di lavorare all’estero in smart working, è importante considerare anche le regole previdenziali. I lavoratori che svolgono attività in uno Stato estero che applica il principio della lex loci laboris (la legge del luogo di lavoro) saranno generalmente soggetti alla legislazione previdenziale dello Stato estero in questione. Pertanto, nel caso di smart working all’estero, il datore di lavoro è tenuto a versare i contributi previdenziali nello Stato estero.
Tuttavia, se tra il Paese estero e l’Italia non è in vigore un accordo internazionale in materia di sicurezza sociale, il datore di lavoro sarà tenuto a versare i contributi anche in Italia, calcolati in base alle retribuzioni convenzionali, come stabilito dal Decreto Legislativo 317/87, convertito in Legge 398/87.
In presenza di un accordo internazionale in materia di sicurezza sociale tra l’Italia e il Paese estero in cui il lavoratore svolge l’attività in smart working, sarà necessario fare riferimento alle disposizioni di tale accordo per determinare gli obblighi contributivi. Gli accordi internazionali possono prevedere regole specifiche per evitare la doppia contribuzione o garantire la portabilità dei diritti previdenziali tra i due Paesi.
È fondamentale che il datore di lavoro si informi adeguatamente sulle normative previdenziali sia dello Stato estero che dell’Italia e adotti le procedure necessarie per adempiere agli obblighi contributivi correttamente.
È importante sottolineare che le regole fiscali e previdenziali possono essere soggette a modifiche nel tempo, quindi sia il datore di lavoro che il lavoratore devono rimanere aggiornati sulle normative vigenti e consultare professionisti esperti nel campo per garantire il rispetto di tutte le disposizioni legali applicabili.
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