Della riforma del catasto si sta parlando da mesi ormai, ma ancora non vi è nulla di ben definito. È chiaro però quali saranno gli obiettivi che il governo di Mario Draghi intende raggiungere attraverso le novità che si appresta ad introdurre, che da una parte dovrebbero contribuire a ridurre l’evasione fiscale e dall’altra dovrebbero rendere più equa la pressione fiscale stessa.
L’esecutivo guidato dall’ex presidente della Bce sta quindi lavorando per intervenire sulle tasse sulla casa apportando quindi diverse modifiche che riguarderanno diversi aspetti. Per tutti i dettagli sul modo in cui sarà strutturata la riforma del catasto dovremo attendere in ogni caso la legge delega sulla riforma fiscale, nel frattempo però possiamo fare il punto della situazione attuale sulla base delle modifiche al vaglio del governo.
Gli ostacoli sulla riforma del catasto
Una vera e propria riforma del catasto non viene fatta da almeno 25 anni, ed è quindi da tempo che viene evidenziata l’esigenza di intervenire in tal senso. Tutti i governi che si sono succeduti in questi anni però hanno evitato di affrontare la questione ed il motivo sembra essere strettamente legato alla funzionamento del catasto.
L’intero “sistema del catasto si basa su estimi che rappresentano i valori teorici dei canoni che si potevano ottenere affittando casa negli Ottanta” leggiamo su Money.it, ma le città italiane, specialmente le più grandi, presentano aree che dal punto di vista del mercato immobiliare possono essere completamente diverse sotto una lunga serie di aspetti.
Ne consegue che un immobile di una certa tipologia in determinate condizioni situato nella stessa città si troverà ad avere un valore di mercato completamente diverso da un altro con le stesse caratteristiche che sorge in una zona differente. Motivo per cui il valore di immobili ipoteticamente identici sarebbe comunque molto diverso a seconda della zona in cui sorge pur trattandosi della stessa città.
La riforma del catasto cui sta lavorando il governo Draghi si prefigge di arrivare a cambiare il metro di misura con cui si valuta il valore degli edifici cercando di effettuare un aggiornamento basato su canoni di mercato più recenti e più aderenti alla realtà attuale delle città italiane.
Si tratta di un progetto di una certa importanza, che prevede una riforma strutturale che fino ad oggi nessun Governo si è preso la briga di affrontare.
Cosa cambierà dopo la riforma del catasto
Come accennato in apertura oggi non è possibile ancora conoscere tutti i dettagli relativi al modo in cui sarà strutturata la riforma del catasto in quanto questi saranno contenuti nella legge delega che dovrebbe approdare in Consiglio dei Ministri entro la fine della settimana.
Su Il Sole 24 Ore intanto troviamo alcune informazioni in merito, e leggiamo che questa riforma prevedrebbe la rideterminazione delle destinazioni d’uso di vari immobili, facendo una distinzione tra ordinari e special, e si andrebbe poi a creare una categoria a parte per gli edifici tutelati dalla sovrintendenza dei beni culturali.
Questo però è solo uno dei cambiamenti in vista con la riforma del catasto del governo Draghi. Tra le novità infatti anche il cambiamento dell’unità di misura con il passaggio dal vano al metro quadrato.
Nella sostanza questa modifica comporterà quindi un passaggio all’uso del metro quadrato nella determinazione del valore patrimoniale di un immobile ordinario, e verranno specificati i criteri di calcolo della superficie dell’unità immobiliare.
Si procederà anche con l’aggiornamento degli estimi catastali, il che significa aggiornare costantemente tutte le banche dati immobiliari inserendo le informazioni che si evincono dalle dichiarazioni dei redditi. Un punto quest’ultimo su cui vi è stata una richiesta specifica da parte della Commissione Ue nell’ambito dell’approvazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr).
La riforma del catasto conviene ai contribuenti?
In linea teorica con la riforma del catasto dovremmo avere una maggior equità nell’imposizione fiscale, o quanto meno questo è uno degli obiettivi che l’attuale esecutivo dichiara di voler perseguire.
La riforma potrebbe effettivamente prevedere un bilanciato taglio delle aliquote, oppure una sorta di clausola di salvaguardia che permetterebbe a chi dovesse trovarsi a pagare più di prima di utilizzare il sistema precedente.
Secondo Il Corriere la riforma del catasto così strutturata potrebbe portare minori entrate per l’Erario centrale e per le casse dei Comuni. Sarebbe tuttavia un prezzo che varrebbe la pena pagare per arrivare ad una imposizione più equa e per ottenere un aggiornamento dei dati sulla base delle ultime dichiarazioni dei redditi.
Tra i nodi che con la riforma del catasto si dovrebbe riuscire a sciogliere quello di un valore degli immobili altamente sbilanciato a causa del sistema. In tal senso sarebbe un passo avanti quello di fare in modo che si paghi di più per gli immobili di pregio in centro città, indipendentemente dalla data di costruzione, rispetto ad un edificio che sorge nella periferia.
Come la riforma del catasto contrasterà l’evasione fiscale
Uno dei due obiettivi fondamentali che l’esecutivo di Mario Draghi ritiene di poter raggiungere attraverso una riforma del catasto così strutturata è quello di contrastare l’evasione fiscale.
Più nel dettaglio questa riforma dovrebbe permettere di affrontare il problema dei cosiddetti immobili fantasma. Ma di cosa si tratta esattamente? Nel corso degli anni più recenti l’Agenzia delle Entrate ha svolto un lavoro di mappatura catastale dei beni immobiliari che comprende l’intero territorio nazionale.
Nel 2012 invece era stata completata un’operazione di rilevamento di tutti gli edifici non risultanti al catasto, ed è proprio su questa prima mappa che sono stati sovrapposti i rilievi aerofotogrammetrici sugli elaborati catastali.
In questo modo è stato possibile scoprire l’esistenza di circa 2 milioni di particelle catastali non dichiarate, per un totale di circa 1,2 milioni di unità immobiliari secondo quanto riportato da Il Sole 24 Ore, e sono proprio questi i cosiddetti immobili fantasma.
Per questi edifici era comunque necessario procedere con un qualche recupero fiscale, a cominciare dall’evasione dell’IMU per un totale di circa 600 milioni di euro. In molti di questi casi peraltro, nonostante si trattasse ovviamente di immobili abusivi, era possibile una sanatoria ma all’atto pratico sono arrivate pochissime richieste agli uffici del catasto.
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