Con il progressivo peggioramento delle condizioni economiche di un numero sempre maggiore di cittadini italiani, e con le conseguenti inevitabili difficoltà nel tener fede ai propri impegni economici, è legittimo domandarsi cosa succede se non si pagano i debiti, quali possono essere tasse, multe o sanzioni varie.
Se da una parte ad incidere negativamente sul livello di adempienza dei cittadini è la drammatica situazione economica dovuta alla strategia con cui il governo Conte prima ed il governo Draghi poi hanno deciso di gestire l’emergenza Covid, dall’altra è anche la frequenza con cui vediamo comminate sanzioni per inadempienza rispetto alle restrizioni imposte nel dichiarato intento di contenere la diffusione del virus.
Molti cittadini infatti si trovano privati delle proprie entrate per via delle restrizioni imposte a suon di Dpcm, ma prima o poi sono comunque tenuti a pagare quanto dovuto al fisco. Gli stessi cittadini rischiano di incorrere in sanzioni che vanno da un minimo di 300 euro per aver violato un coprifuoco, non aver indossato la mascherina, essersi allontanati troppo dalla propria abitazione, o aver incontrato una persona in più del numero consentito.
Cosa succede se non si pagano le tasse o le multe?
Va da sé che molti contribuenti si domanderanno: ma se io non pago le tasse, o non pago le multe, cosa succede? Il rischio è quello di incorrere nel pignoramento del conto corrente e/o dello stipendio, e non è certo una prospettiva allettante, non per chi un conto corrente e/o uno stipendio li ha ancora.
Per gli altri è molto più facile che i debiti vengano prima o poi catalogati tra i debiti inesigibili che, come abbiamo visto, è facile che finiscano per essere oggetto di un condono, una pace fiscale con la cancellazione delle cartelle esattoriali.
A rischio pignoramento dal parte dell’Agenzia delle Entrate troviamo non solo lo stipendio, ma anche la pensione, e naturalmente il fisco potrebbe decidere di pignorare il conto corrente prelevando quanto dovuto dal cittadino direttamente dalla banca.
Il rischio di incorrere nel pignoramento comunque non è legato solo all’esistenza di debiti contratti direttamente con l’Agenzia delle Entrate, ma può derivare anche da quelli contratti nei confronti di un soggetto privato, solo che in questo secondo caso prima di arrivare al pignoramento è sempre necessario che un giudice abbia emesso apposita sentenza.
Nel caso di debiti che il contribuente ha contratto invece con l’Agenzia delle Entrate, e quindi parliamo di qualsiasi tassa, imposta o sanzione, la strada per arrivare al pignoramento può essere molto più breve.
Anche per questo motivo una recente sentenza della Corte di Cassazione è intervenuta fornendo al contribuente qualche strumento in più per difendersi. Stiamo parlando della sentenza n. 15436 del 21 luglio 2020 che però vedremo meglio tra poco.
Come si arriva al pignoramento dello stipendio o del conto corrente?
Come accennato, è necessario prima di tutto fare una distinzione tra il pignoramento derivante da un debito contratto con un privato e quello derivante da un debito contratto con il Fisco.
Nel primo caso la trattenuta dello stipendio viene innescata sì dalla notifica del pignoramento, ma questa giunge solo in seguito ad una sentenza emessa dal tribunale, cosa che non è necessaria invece nel caso del debito contratto con la Pubblica Amministrazione.
Nel caso di un debito che il contribuente ha contratto con il fisco infatti il pignoramento arriva più rapidamente. L’Agenzia Entrate Riscossioni emette una cartella esattoriale che è a tutti gli effetti un titolo esecutivo, il che significa che ha la stessa validità di una sentenza.
Quindi l’ente provvederà a notificare l’atto al debitore e, nel caso in cui non vi sia alcuna opposizione nelle sedi legali, questo diventa definitivo e non può più essere contestato, proprio come una sentenza definitiva.
Ed è a questo punto che arriva il pignoramento con notifica recapitata al debitore dall’Agenzia delle Entrate. A partire dalla notifica del pignoramento del conto corrente, della pensione o dello stipendio, il contribuente ha 60 giorni di tempo per provvedere al pagamento di quanto richiesto, e se ciò non avverrà il fisco metterà le mani direttamente nel conto o sullo stipendio, senza bisogno di alcuna sentenza.
Cosa si deve fare in caso di pignoramento di stipendio, pensione o del conto in banca?
Ora che abbiamo visto a grossi tratti in che modo si arriva al pignoramento dello stipendio o del conto corrente, cerchiamo di vedere cosa può fare il debitore per difendersi nelle opportune sedi.
E qui torniamo alla recente sentenza della Corte di Cassazione cui avevamo accennato prima, la numero 15436 del 21 luglio 2020, con cui vengono fissati alcuni paletti.
La Cassazione ha fornito uno strumento in più al debitore, ma al tempo stesso non ha ostacolato le procedure esattoriali, che devono necessariamente essere scorrevoli onde evitare di ingolfare l’intero apparato della Giustizia e l’iter di riscossione già di per sé rallentato da una serie di fattori.
Ricordiamo poi che nella stragrande maggioranza dei casi di pignoramento è lo Stato a citare in giudizio i contribuenti, mentre i casi di pignoramento derivanti dal debito contratto con un altro privato sono un’esigua minoranza.
Ma tornando alla sentenza della Cassazione, lo scopo è quello di garantire un maggior livello di trasparenza nella procedura. Il cittadino coinvolto infatti deve avere la possibilità di controllare e verificare che tutta la documentazione contenuta nella cartella esattoriale risulti in regola, ed avere la possibilità di difendersi nelle opportune sedi.
Ci sono quindi delle regole ben precise che la Cassazione ha così definito, e riguardano nello specifico le informazioni contenute nell’atto con cui si va poi a pignorare lo stipendio o il conto corrente del debitore.
L’atto infatti deve indicare a quale titolo le somme richieste verranno pignorate, e nel caso in cui la motivazione non venisse riportata, allora il pignoramento risulterebbe illegittimo. Ciò vuol dire che nel caso in cui all’interno delle cartelle esattoriali non venga indicato in modo chiaro a che titolo vengono richieste le somme, il pignoramento è a tutti gli effetti da ritenersi nullo.
La sentenza della Corte di Cassazione risulta molto interessante soprattutto in considerazione del fatto che spesso accade che l’Agenzia delle Entrate Riscossioni, nel momento in cui provvede a notificare al debitore il pignoramento dello stipendio si limita ad inviare un atto generico nel quale viene riportato esclusivamente l’importo del debito, senza indicazioni relative alla sua origine.
Attraverso l’atto l’Agenzia delle Entrate Riscossioni provvede ad intimare al datore di lavoro o alla banca di effettuare la trattenuta sullo stipendio o sul conto corrente del debitore, ma non vengono fornite ulteriori indicazioni. Questo modus operandi però non permetterebbe al debitore di difendersi anche attraverso una verifica della correttezza della procedura applicata per il pignoramento.
E cosa succede nel caso in cui vengano rilevate delle falle in questa procedura di pignoramento? Se questo risulta incompleto in quanto risulta mancante l’indicazione circa la natura del credito maturato, il pignoramento stesso risulterebbe illegittimo e pertanto per il contribuente si spiana la strada verso una opposizione efficace in grado di produrre l’annullamento della procedura.
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