Si tratta di una direttiva che è stata approvata da Bruxelles, che in questo modo permette al fisco di recuperare quei circa 30 miliardi di euro derivanti da attività online svolte da soggetti privati che si trovano nei vari Paesi membri.
La novità dovrebbe essere introdotta entro la fine del dicembre 2022, quindi non si tratta esattamente di un cambiamento dietro l’angolo, ma neppure così distante. Inoltre si tratta di qualcosa che produrrà effetti più che tangibili per tutti coloro che attualmente guadagnano attraverso internet, con pagine social o attraverso siti di e-commerce.
In base alle modifiche che la normativa europea dovrebbe importare dal 2023, i colossi del web come Facebook, Amazon o Google saranno obbligati a comunicare all’Agenzia delle Entrate tutti i nominativi e i dati relativi ad importi derivanti da attività online degli utenti del web.
Le vendite effettuate sul web andranno a finire sotto la lente del fisco con l’introduzione della cosiddetta Dac7, che prevede la trasmissione automatica al fisco di tutti i dati relativi alle transazioni derivanti da attività online, che possono andare dalla compravendita su Facebook all’affitto di case.
Quali piattaforme web saranno soggette alla nuova normativa?
Prima che le novità diventino effettive trascorrerà ancora del tempo, ma quando le direttive dovranno essere recepite dai colossi del web, cosa succederà esattamente e soprattutto quali sono i siti interessati da questi cambiamenti?
La direttiva Dac7 spiega in modo molto chiaro che i grandi colossi del web saranno tenuti a comunicare al fisco i dati di coloro che hanno effettuato vendite o acquisti online, con la specifica degli importi delle transazioni e il tipo di bene o servizio che viene ceduto o acquistato.
Questo obbligo stabilito dalla direttiva europea Dac7 interesserà quindi Facebook, Google, Instagram, Amazon, vale a dire i più grandi colossi social su scala globale, ma anche siti come Airbnb dovranno attenersi alla nuova normativa.
L’entrata in vigore è fissata per il 1° gennaio 2023, data a decorrere dalla quale, viene specificato “qualsiasi software, compresi i siti web o parte di essi e le applicazioni, accessibile agli utenti che consente ai venditori di essere collegati con altri utenti allo scopo di svolgere, direttamente o indirettamente, un’attività per tali utenti”.
In questo modo si va a definire in modo dettagliato a chi è fatto obbligo di comunicare le informazioni relative agli utenti del web che effettuano transazioni online derivanti da attività svolte sui suddetti siti.
Non sono invece obbligati a fornire i dati delle transazioni quelle piattaforme che permettono di:
- trattare i pagamenti relativi alle attività
- sponsorizzare un’attività
- reindirizzare gli utenti verso una piattaforma di vendita online
A quali dati è interessato il fisco?
A partire dal 2023 i colossi del web saranno quindi tenuti a comunicare i dati degli utenti e delle rispettive transazioni al fisco. Ma quali dati esattamente dovranno essere comunicati? Il boom delle vendite sul web ha indotto il fisco a cercare il modo di non lasciarsi sfuggire una possibile fonte di entrate, ed ecco che si rende necessario adottare gli opportuni provvedimenti.
Tenere sotto controllo le operazioni effettuate dagli utenti attraverso le piattaforme web, social e non, non è facile senza la collaborazione delle piattaforme stesse, che solo attraverso di esse potranno accedere alle informazioni necessarie per valutare la tassazione dei movimenti.
L’Agenzia delle Entrate avrà bisogno dei dati relativi agli immobili ceduti in affitto comprensivi di indirizzo, dati catastali e periodo di locazione. Sotto la lente del fisco ci saranno anche i dati relativi alla vendita di beni e servizi, e persino quelli inerenti il noleggio di mezzi di trasporto.
Per quanto riguarda i dati personali degli utenti il fisco avrà bisogno che le piattaforme web forniscano il codice fiscale del venditore, eventualmente il numero di partita Iva, e anche il conto corrente sul quale vengono trasferite le somme di denaro incassate. Tutti questi dati finiranno in un registro centrale creato dalla Commissione europea con accesso consentito a tutti gli Stati membri.
Insomma l’aumento dei ricavi registrato dagli utenti attraverso piattaforme web non sfugge al fisco, mentre sembra continuare a non notare il boom dei ricavi registrate proprio da quelle piattaforme che dovranno fornire i dati degli utenti e delle transazioni effettuate.
Colossi come Amazon, Facebook, Google infatti continuano ad aggirare il fisco senza grandi difficoltà, dichiarando solo una minima parte dei ricavi come spiegato da Mediobanca. “Il tax rate effettivo delle multinazionali websoft è pari al 14,1%, ben al di sotto di quello nominale del 22,5%”.
Su Money.it viene infatti spiegato che “dichiarando i capitali all’estero l’imposta pagata sui beni da Google e gli altri diminuisce visibilmente. Così facendo Amazon, Google e Facebook sono riusciti a contenere l’aliquota fiscale rispettivamente all’11%, 12% e 13%. Molto, troppo poco per dei giganti del web che incassano miliardi”.
Il fisco però non sembra interessato alle enormi entrate che potrebbero derivare da una più equa tassazione dei colossi del web. L’obiettivo invece risulta essere quello di aggredire i ricavi degli utenti, di chi vende beni e servizi appoggiandosi alle piattaforme, imponendo alle piattaforme di collaborare, ma guardandosi bene dal toccare i loro lauti guadagni.
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