Il governo di Mario Draghi è ormai entrato nel pieno delle sue funzioni, e tra i vari task sui cui dovrà mettersi al lavoro vi è quello della riforma degli ammortizzatori sociali che di fatto è già stata avviata.

Infatti la squadra formata da cinque esperti della Commissione guidata dal professore Marco Barbieri, che era stata nominata dall’allora ministro del Lavoro Nunzia Catalfo, ha già messo nero su bianco il lavoro svolto, ed il progetto ormai terminato sta per essere presentato al nuovo ministro, Andrea Orlando, di recente nomina.

Tra le novità che la riforma degli ammortizzatori sociali introdurrà troviamo prima di tutto l’estensione della cassa integrazione anche a quelle imprese che fino ad oggi non potevano beneficiare di questa misura.

Le novità introdotte con la riforma degli ammortizzatori sociali sono state illustrate da Il Messaggero, i cui giornalisti hanno avuto la possibilità di prendere visione delle 52 pagine di cui si compone il documento.

La parola chiave è “universalità” nel senso che gli ammortizzatori sociali vengono di fatto estesi ma al contempo subiscono alcune modifiche di cui parleremo in maniera più approfondita tra poco.

L’estensione degli ammortizzatori che troviamo nella riforma consentirà di fatto a tutti i settori produttivi e a tutte le categorie lavorative di beneficiare della protezione offerta dagli ammortizzatori sociali, con un focus doveroso sulla cassa integrazione ordinaria.

La riforma degli ammortizzatori sociali che il governo Draghi sta mettendo sul tavolo si va poi ad affiancare alla riforma fiscale, alla riforma della pubblica amministrazione, e alle modifiche che interesseranno nelle prossime settimane i bonus, il reddito di cittadinanza, le pensioni. Inoltre tra i programmi del governo presieduto da Mario Draghi troviamo anche quello di rinviare l’assegno unico per le famiglie 2021.

Nella riforma degli ammortizzatori sociali cassa integrazione estesa a tutti

Le innumerevoli imprese ridotte sul lastrico dalle misure restrittive imposte dall’esecutivo nel dichiarato intento di contenere la diffusione del Covid-19 si sono trovate sin da subito nella necessità di lasciare a casa un numero via via crescente di lavoratori.

A produzione ferma molte imprese hanno quindi dovuto ricorrere a misure come la cassa integrazione che, ricordiamo, è un sussidio che spetta a tutti i lavoratori dipendenti di un’impresa a patto che abbiano maturato almeno 90 giorni di lavoro presso l’unità produttiva.

A poter accedere a questo tipo di ammortizzatore sociale sono però solo quelle imprese che hanno subito un calo di fatturato o riduzioni dell’orario di lavoro, le quali intendono continuare a garantire uno stipendio mensile ai propri dipendenti. Con il lockdown e il blocco dei licenziamenti le imprese non potevano che ricorrere appunto alla cassa integrazione.

I tre tipi di cassa integrazione in Italia

In Italia attualmente esistono tre tipi di cassa integrazione: la cassa integrazione ordinaria, la cassa integrazione straordinaria e la cassa integrazione in deroga. All’indomani della riforma degli ammortizzatori sociali però ne resteranno solo due in quanto la cassa iintegrazione in deroga verrà di fatto soppressa.

Vediamo quindi cos’è e come funziona la cassa integrazione ordinaria (CIGO). Si tratta di un sussidio che viene erogato direttamente dall’Inps a quei lavoratori che sono stati lasciati a casa dalla propria azienda per motivi di sospensione o di riduzione dell’attività lavorativa per ragioni legate a eventi non prevedibili e comunque non dipendenti dal datore di lavoro.

Nel caso della Cigo al lavoratore che rimane a casa spetta un importo mensile pari all’80% dello stipendio normalmente percepito, ed è proprio su questo strumento che le imprese hanno fatto maggiormente affidamento in questo ultimo anno dal lockdown in poi.

Abbiamo poi la Cassa integrazione straordinaria (CIGS), che è un ammortizzatore sociale che viene erogato in caso di eventi aziendali strutturali che non compromettono l’attività aziendale e può essere richiesta solo dalle imprese con un numero di dipendenti pari o superiore a 15.

Anche in questo caso come per la Cigo, il lavoratore cassintegrato percepisce un importo mensile pari all’80% dello stipendio che percepiva normalmente.

Infine abbiamo la Cassa integrazione in deroga (CIGD) che è l’ammortizzatore sociale che il governo di Mario Draghi sopprimerà con la riforma sul tavolo dell’esecutivo. In questo caso il sussidio può essere richiesto dalle imprese per quei lavoratori che non potrebbero beneficiare degli altri due tipi di cassa integrazione, Cigo e Cigs.

A percepire la cassa integrazione in deroga sono quindi quei lavoratori dipendenti di piccole imprese, come coltivatori diretti, artigiani e piccoli commercianti, o cooperative sociali con lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato.

Quali modifiche verranno introdotte con la riforma degli ammortizzatori sociali?

La prima modifica che verrà introdotta con la riforma degli ammortizzatori sociali al vaglio del ministero del Lavoro del governo dell’ex presidente della BCE, Mario Draghi, riguarda proprio la soppressione della cassa integrazione in deroga.

Al contempo però si provvederà ad ampliare le tre cause previste per riconoscere la cassa integrazione straordinaria, con l’aggiunta della possibilità “per cessazione di attività”. Non solo, perché la stessa cassa integrazione ordinaria subirà delle modifiche infatti diventerà “universale”, il che significa che vi potranno accedere anche le imprese che oggi ne risultano escluse.

Non possono accedere alla cassa integrazione ordinaria infatti le imprese con meno di 5 dipendenti, ma con le modifiche contenute nella riforma il sussidio viene esteso a tutti i settori produttivi e alle categorie di lavoratori. Quanto alle causali saranno legate a eventi transitori, calamità naturale e stati di emergenza, causale di mercato.

Tra le novità che verranno introdotte con la riforma degli ammortizzatori sociali cui sta lavorando l’esecutivo guidato da Mario Draghi troviamo anche quella che riguarda l’assegno Naspi e Dis-Coll che verranno entrambi soppressi a favore dell’introduzione di una indennità di protezione universale estesa a tutte le categorie di lavoratori.

In questo caso il sussidio spetterà infatti anche alle partite Iva, ai collaboratori, ai lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata Inps, nonché agli iscritti agli ordini professionali. Quanto alla durata del sussidio le settimane vengono ampliate fino ad un massimo di 6 mesi.

Un occhio di riguardo sarà poi rivolto al problema delle politiche attive per il lavoro, come preannunciato fin dalle prime battute da Mario Draghi. Va bene la politica i sostegno ai lavoratori, ma dovrà essere contestualmente implementato il meccanismo di reinserimento nel mondo del lavoro.

Poi per quel che riguarda i bonus introdotti dallo scorso governo e destinati ai lavoratori autonomi, gli esperti del nuovo esecutivo hanno proposto di abbassare la soglia per richiedere i benefici riservati agli iscritti alla gestione separata Inps, attualmente fissata a 5 mila euro, fino a 3 mila euro.

Arriva la cassa integrazione per le partite Iva, Iscro

Si tratta di una delle novità che stanno per essere introdotte nell’ambito della riforma degli ammortizzatori sociali del governo di Mario Draghi. L’idea è quella di dare anche ai lavoratori con partita Iva la possibilità di accedere al sussidio finora riservato ai lavoratori dipendenti.

La nuova cassa integrazione si chiamerà Iscro, acronimo che sta per Indennità Straordinaria di Continuità Reddituale e Operativa. A spingere per l’introduzione di questa nuova misura di sostegno del reddito sono stati gli stessi sindacati, che hanno chiesto un aiuto concreto per alcune delle categorie più colpite dalla crisi economica derivante dall’imposizione delle restrizioni contenute nei vari Dpcm.

La cassa integrazione per le partite Iva, Iscro, è una misura sperimentale introdotta per il triennio 2021-2023, e verrà riconosciuta solo ai lavoratori che risultano in possesso di determinati requisiti quali:

  • reddito dell’anno precedente alla richiesta della cassa integrazione non superiore a 8.145 euro
  • reddito da lavoro autonomo nell’anno precedente a quello in cui viene presentata la domanda inferiore al 50% della media dei tre anni precedenti a quest’ultimo
  • partita Iva aperta da almeno quattro anni
  • non risultare titolari di trattamento pensionistico o di reddito di cittadinanza
  • iscrizione alla gestione separata dell’Inps con versamenti in regola per quel che riguarda la contribuzione obbligatoria.

La nuova cassa integrazione destinata ai lavoratori autonomi avrà una durata di sei mesi, e la richiesta potrà essere effettuata una sola volta nell’arco temporale dei tre anni. Quanto all’importo dell’assegno questo sarà compreso tra i 250 e gli 800 euro.

Per i neoprofessionisti reddito minimo garantito

Un’altra novità introdotta dalla riforma degli ammortizzatori sociali del governo di Mario Draghi è il concetto di “reddito minimo garantito”, che dovrebbe essere l’equivalente di quello che negli altri Paesi dell’Ue chiamano salario minimo.

Il reddito minimo garantito dovrebbe essere un sostegno di base assegnato a coloro che guadagnano meno dell’importo previsto dal reddito di cittadinanza, che a sua volta è stato calcolato sulla base della soglia di povertà.

Nel caso del reddito minimo garantito l’idea sarebbe quella di partire da un importo base di 780 euro mensili che però non saranno destinati a chiunque. Potranno beneficiare di questo nuovo sussidio solo i neoprofessionisti, cioè coloro che risultano iscritti all’Albo di riferimento da un periodo di tempo non superiore ai tre anni.

Una misura diversa andrà invece ad interessare coloro che iniziano una nuova attività e non hanno compiuto ancora i 35 anni di età. In questo caso si pensa di introdurre una decontribuzione per i primi tre anni di attività, probabilmente rispolverando il contratto di solidarietà ma con nuovi sconti retributivi, o magari modificando il contratto di espansione allargando la possibilità di sottoscriverlo anche alle piccole imprese.

Gli esperti hanno proposto l’introduzione di una “prestazione per sospensione o riduzione dell’attività” che corrisponda ad un calo del fatturato di almeno un terzo rispetto ai tre anni precedenti. Tra i requisiti da rispettare in questo caso ci sarebbe quello della soglia di reddito dei 35 mila euro che non deve essere superata.

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