Mentre il Paese attende la riforma delle pensioni, arriva una sorpresa tutt’altro che gradita: la decisione dell’esecutivo di tagliare le pensioni inserendo nella nuova Legge di Bilancio una data diversa per l’adeguamento dell’assegno previdenziale che in sostanza fa slittare di altri due anni la rivalutazione delle pensioni.
Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha sorpreso un po’ tutti e di certo non in bene, con questa decisione che comporterà di fatto per migliaia di pensionati un’ulteriore perdita del potere d’acquisto della propria pensione.
A rendere possibile tutto ciò sono bastate poche parole inserite “col favore delle tenebre” nel testo della Legge di Bilancio 2021, che di fatto fanno slittare al 2023 la rivalutazione dell’assegno pensionistico. Ora si dovranno attendere tre anni affinché l’assegno possa essere nuovamente rivalutato, cosa che ovviamente è avvenuta un po’ in sordina, senza fare troppo rumore.
Cosa succederà quindi ai pensionati italiani? Si tratta di un vero scippo ai loro danni, e non stiamo parlando di ipotesi, è tutto messo per iscritto. Nella bozza della manovra economica pubblicata dal Ministero di Economia e Finanza si legge infatti quanto segue:
“Nell’Articolo 1, comma 477, della Legge 27 dicembre 2019 n. 160 le parole: ‘per il periodo 2020-2021’ sono sostituite dalle seguenti: ‘ per il periodo 2020-2022 e al comma 478, le parole: ‘dal 1° gennaio 2022’ sono sostituite dalle seguenti: ‘dal 1° gennaio 2023′”. Risultato: il potere d’acquisto delle pensioni subisce un’ulteriore riduzione.
Quali pensioni sono interessate dalle modifiche contenute nella manovra economica?
Il governo giallo-rosso sta di fatto tagliando le pensioni quindi, ma di preciso cosa sta facendo? Il 1° gennaio 2022, almeno in teoria, ci sarebbe dovuto essere il ritorno a pieno regime delle rivalutazioni degli assegni previdenziali, che invece semplicemente non ci sarà.
C’è stato infatti un piccolo ritocco che però significa uno slittamento tutt’altro che di poco conto dell’adeguamento in programma. La perequazione piena della pensione viene infatti posticipata al 1° gennaio 2023, il tutto nel totale silenzio, senza una parola ufficiale in merito e senza dare alla cosa il risalto che meriterebbe.
Un adeguamento dell’importo dell’assegno pensionistico che tra l’altro i pensionati stanno aspettando già da anni, quanto meno dai tempi del governo Letta, ed ora ecco che in piena crisi economica Coronavirus invece di provvedere all’adeguamento come da programma, l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte decide di rimandare.
Inevitabile la dura reazione dei sindacati, con Cisl Pensionati che denuncia: “riteniamo assolutamente inaccettabile che il Governo voglia differire ancora una volta la rivalutazione delle pensioni. Ancora una volta il Governo non mantiene le promesse assunte con l’accordo con le Organizzazioni sindacali del 2017 di procedere alla rivalutazione delle pensioni e, addirittura, differisce al 2023 il meccanismo di perequazione più equo e proporzionale previsto dalla legge n. 230/2000″.
Uno scippo ai danni di milioni di pensionati
Come definire dunque questa decisione dell’esecutivo se non uno scippo ai danni dei pensionati? Nei giorni scorsi l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte ha provveduto ad elargire una misera elemosina, cui ovviamente ha dato ampio risalto mediatico, mentre ora nega ai pensionati l’adeguamento dell’assegno pensionistico.
Negli ultimi mesi infatti il governo ha portato la rivalutazione delle pensioni al 100% anche per quegli assegni che toccavano fino a quattro volte il minimo, assegni che altrimenti avrebbero avuto una rivalutazione del 97%. Si trattava però di poca cosa, un’elemosina appunto che a fine mese non raggiunge l’importo di qualche caffè.
Per gli importi delle altre pensioni tra l’altro continuano a valere le rivalutazioni di sempre, che decrescono al crescere degli importi e sono nell’ordine: 77%, 52%, 47%, 45% e 40%.
È chiaro che con le modifiche inserite nella bozza della Legge di Bilancio 2021 si va a colpire direttamente il potere d’acquisto dei pensionati che si trovano davanti ad una costante erosione del proprio assegno di fine mese.
A tal proposito la Cgil ha spiegato che “ancora una volta si sceglie quindi di mettere le mani nelle tasche di una categoria che ha già dovuto pagare pesantemente le scelte politiche ed economiche dei vari governi che si sono succeduti. È un errore e una profonda ingiustizia, resa ancor più insopportabile perché fatta di nascosto e senza passare da alcun confronto con i Sindacati che rappresentano milioni di pensionati”.
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