Allo scadere di Quota 100, a meno che non intervenga la riforma delle pensioni cui il governo sta ancora lavorando, si tornerà alla tanto odiata legge Fornero. Il programma dell’esecutivo però è quello di metterla definitivamente da parte varando una nuova riforma del sistema pensionistico.

Gli incontri tra Governo e sindacati sono partiti già da settembre, e l’obiettivo è proprio quello di trovare una soluzione per l’ormai sempre più vicina scadenza di Quota 100. Questa infatti è solo una misura sperimentale fortemente voluta dalla Lega che però durerà ancora un anno, lasciando la scena definitivamente a fine 2021.

In assenza di altri interventi quindi, allo scadere di Quota 100 si dovrebbe tornare al precedente sistema per la pensione di vecchiaia, e questo è stabilito attualmente dalla legge Fornero che prevede il pensionamento al raggiungimento di 67 anni di età.

Il governo sta lavorando insieme ai sindacati per trovare una soluzione alternativa, e a dare il suo contributo con una proposta ad hoc arriva ora anche la stessa INPS, che il 29 ottobre scorso ha presentato le sue proposte alla Camera dei Deputati.

Riforma delle Pensioni, perché la legge Fornero non va bene

Il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, in occasione della relazione annuale per la presentazione del XIX Rapporto annuale dell’Istituto, ha affrontato il tema delle prestazioni pensionistiche.

Nel documento presentato in quella occasione, il presidente dell’Inps spiega in che modo la riforma Fornero del 2011 aveva tentato di coniugare diversi obiettivi. Da una parte doveva riuscire a garantire la sostenibilità economica del sistema, mentre dall’altra doveva assicurare una maggiore equità economica, in considerazione del fatto che l’importo dell’assegno varia anche in base all’età del beneficiario.

Secondo l’Inps però la riforma Fornero presenta delle criticità, e al tempo stesso segnala alcune delle problematiche più rilevanti per il sistema Italia. Con un particolare riferimento all’alto tasso di disoccupazione giovanile, alla bassa partecipazione al mercato del lavoro nelle regioni meridionali, ma anche al gender Gap.

L’Inps nel suo rapporto infatti evidenzia che non solo in Italia si rileva una diversa partecipazione al mercato del lavoro in base al sesso, ma anche una differenza nei salari tra uomini e donne.

L’INPS indica quattro punti chiave su cui intervenire nel riformare il sistema pensionistico

Nel rapporto annuale dell’Inps viene illustrata la proposta per una riforma delle pensioni fondata su quattro cardini: la tutela dei lavori usuranti e gravosi, la pensione di garanzia, la copertura dei buchi contributivi e la flessibilità in uscita.

Il primo pilastro su cui si fonda la proposta di riforma delle pensioni dell’Inps è quello che prevede una maggior tutela per i lavoratori che svolgono incarichi usuranti. L’Inps infatti, nell’ottica di una maggiore equità sociale, suggerisce di tutelare i lavoratori impegnati in mansioni usuranti e gravose e coloro che perdono il lavoro dopo i 60 anni di età.

Nel Rapporto annuale dell’Inps si legge infatti “in questa direzione alcuni tentativi interessanti come ‘l’APE sociale’ e il trattamento anticipato per i lavoratori precoci, sono stati già iniziati: andrebbero approfonditi e resi più generosi e strutturali, al fine di raggiungere quella sperata flessibilità che altrimenti il sistema contributivo difficilmente restituisce”.

L’Inps propone inoltre di stabilire un ‘floor’ al di sotto del quale non scendere, attraverso l’introduzione di una pensione di garanzia. Questo dovrebbe permettere di garantire ai più giovani un assegno decente che vista la precarietà che caratterizza oggi il mondo del lavoro giovanile, difficilmente sarebbe possibile raggiungere altrimenti.

Le carriere lavorative intermittenti che rappresentano una realtà estremamente diffusa nel mondo del lavoro di oggi creano infatti dei “buchi contributivi” che l’Inps suggerisce di colmare. Il terzo pilastro su cui si fonda la proposta dell’Inps è infatti quello di introdurre la possibilità di valorizzare senza oneri aggiuntivi, il che significa a titolo gratuito, i periodi di formazione anche ai fini previdenziali.

Infine, nel Rapporto annuale dell’Inps troviamo il quarto ed ultimo pilastro su cui si fonda la sua proposta di riforma delle pensioni: la flessibilità in uscita. L’Istituto propone a tal proposito di valutare da un lato una riduzione dell’età di accesso alla pensione, e dall’altro l’utilizzo di coefficienti più vantaggiosi per chi svolge lavori gravosi e usuranti.

E approfondendo il tema della flessibilità, l’Inps avanza un’altra ipotesi, quella di dividere la quota pensione in una parte retributiva e una contributiva. In questo caso il lavoratore potrebbe, al raggiungimento dei 62 anni di età e 20 anni di contributi, chiedere un anticipo della pensione solo con riferimento alla parte contributiva.

Potrebbe solo in seguito accedere alla parte retributiva del trattamento pensionistico spettante, con il raggiungimento del requisito dei 67 anni di età. Questo comunque non escluderebbe la possibilità di ricevere un anticipo che verrebbe poi detratto successivamente dalla pensione piena.

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