Il prossimo incontro sul tema pensioni tra l’esecutivo e i sindacati è fissato a venerdì 25 settembre, e nel frattempo si affacciano sulla trattativa nuovi scenari possibili. Su IlSole24Ore si parla infatti dell’ipotesi che potrebbe essere messa sul tavolo nei prossimi giorni, quella della “doppia flessibilità in uscita”.
Il dibattito è ancora in alto mare, quindi non è possibile ancora sapere quale sarà la riforma delle pensioni che decreterà il meccanismo che verrà applicato a chi andrà in pensione a partire dal gennaio 2022, quando Quota 100 sarà scaduta e sostituita.
La fase di sperimentazione di Quota 100 infatti, come previsto, avrà durata triennale, ed allo scadere dei pensionamenti anticipati introdotti dal primo governo Conte, vale a dire quello sostenuto dalla maggioranza Lega-5 Stelle, sarà sostituita dalla nuova legge.
Il cammino che porterà alla nascita della nuova normativa che disciplinerà il sistema pensionistico italiano è ancora molto lungo ed irto di ostacoli. Peraltro su intreccia con quello per l’approvazione della nuova Legge di Bilancio, che entra nel vivo proprio in queste settimane, e che conterrà secondo quanto riportato dal noto quotidiano italiano di economia, un mini-pacchetto pensioni che però non porterà con sé grandi novità.
Nella manovra economica 2022 ci sarà anche la definizione del Recovery Plan italiano per decidere in che modo impiegare i 209 miliardi di euro di aiuti che arrivano dall’Ue, interamente destinati all’Italia, primo beneficiario tra i Paesi membri.
Pensioni: arriva l’opzione della “doppia flessibilità in uscita”
Come lo stesso Programma Nazionale di Riforma (Pnr) evidenzia, il nuovo dispositivo di uscite dovrà essere disegnato il prossimo anno, tuttavia il tavolo della trattativa è già stato aperto con i sindacati, che da alcune settimane valutano insieme all’esecutivo le varie ipotesi che dovrebbero riuscire nell’obiettivo di rendere meno rigido, ma al contempo sostenibile, il sistema pensionistico italiano.
Come accennato, il Pnr già inviato a Bruxelles e in attesa di approvazione, assicura che la riforma delle pensioni sarà definita il prossimo anno, e nel ventaglio di opzioni si affaccia anche la “doppia flessibilità in uscita”.
Cosa prevede questa opzione? La doppia flessibilità in uscita dovrebbe garantire ad una prima fetta di categorie di lavoratori, ad iniziare da quelli che svolgono attività gravose o comunque usuranti, di andare in pensione già a 62 anni, con un’anzianità contributiva di 36 anni, oppure a 63 anni con un’anzianità contributiva di 37 anni.
In questo caso inoltre non verrebbero introdotte eccessive penalizzazioni mentre ci sarebbe la possibilità di sfruttare il canale alternativo dell’Ape sociale in versione potenziata e strutturale.
Le altre categorie di lavoratori invece la soglia minima da raggiungere per andare in pensione, sempre in chiave flessibile, sarebbe di 64 anni di età, e in ogni caso a non meno di 63 anni, e “almeno 37 (o 38) anni di contribuzione e con penalità legate al metodo di calcolo contributivo di una certa consistenza per ogni anno d’anticipo rispetto al limite di vecchiaia dei 67 anni” secondo quanto leggiamo su IlSole24Ore.
I sindacati propongono l’uscita a 41 anni di contribuzione per tutte le categorie di lavoratori
Non è l’unica alternativa tra quelle che hanno iniziato a circolare già nei mesi scorsi. Si è parlato infatti anche di Quota 102, che permetterebbe sostanzialmente di rendere un po’ più basso il cosiddetto “scalone” che si andrebbe a creare se si passasse da Quota 100 alla legge Fornero.
Quest’ultima proposta dei sindacati invece consiste nell’estendere Quota 41, che attualmente è riservata ai soli lavoratori precoci (lavoratori che hanno almeno un anno di contributi versati al compimento del 19esimo anno di età), anche alle altre categorie di lavoratori.
Si tratta di una ipotesi che non è detto venga esclusa dal ventaglio di quelle prese in considerazione dall’attuale esecutivo. Potrebbe essere infatti attentamente valutata insieme ad altre tre o quattro alternative.
Quella di Quota 41 per tutti sarebbe poi particolarmente gradita ai sindacati, che si pongono come primo obiettivo l’uscita garantita per tutti, a cominciare naturalmente dai cosiddetti “lavoratori precoci”, al raggiungimento del requisito dei 41 anni di contributi versati.
Per quel che riguarda l’appuntamento di venerdì 25 settembre però, non sarà incentrato in modo specifico sulla valutazione di Quota 41 per tutti, ma prevede una sorta di “primo giro d’orizzonte” sul dopo Quota 100.
Governo e sindacati intanto, nel corso dell’ultimo incontro cui hanno preso parte Cgil, Cisl e Uil per definire il pacchetto di misure da inserire nella nuova manovra economica, hanno fissato 4 tavoli tecnici che si riuniranno nei prossimi giorni.
Dal ministero del Lavoro è arrivata la disponibilità a mettersi al lavoro in particolare su tre interventi:
- la proroga e il rafforzamento di Ape sociale
- il prolungamento di Opzione donna
- il pensionamento con Quota 41 per i lavoratori precoci
Se dalla ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, arriva una sorta di via libera, dal ministero dell’Economia frenano. Il pacchetto che dovrebbe contenere questi interventi infatti potrebbe, a seconda della configurazione, raggiungere un valore anche superiore ai 500 milioni di euro.
Il ministero del Tesoro ricorda infatti che per la Legge di Bilancio 2021 non si potrà ricorrere ad ulteriore deficit, e che la priorità dovrà essere data alla riforma del Fisco e all’introduzione dell’assegno unico per la famiglia. Il che vuol dire che non resterà molto spazio per altre misure di spesa, con il rischio che a slittare sia proprio Quota 41.
Per quel che riguarda il capitolo pensioni restano diversi nodi da sciogliere, a cominciare proprio da quello della previdenza complementare, sul quale si lavorerà in uno dei quattro tavoli tecnici fissati.
Su IlSole24Ore leggiamo che stando a quanto affermato da Domenico Proietti, i sindacati “puntano sul ricorso per tutti a un nuovo semestre di silenzio-assenso per la scelta del Tfr per rilanciare le adesioni ai fondi pensione, magari grazie anche alla nascita di un meccanismo ad hoc, imperniato su un fondo di garanzia, per i dipendenti delle piccole e piccolissime imprese”.
Anche in questa circostanza però si pone l’obbligo di attendere il ‘verdetto’ del ministero dell’Economia. Bisogna infatti controllare come siamo messi con la giacenza del fondo di tesoreria dove confluiscono le quote di Tfr maturate che non vengono destinate alla previdenza integrativa.
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