Ne aveva parlato Il Tempo pubblicando una tabella dell’Inps contenente i dati dai quali si evinceva con chiarezza che ad aspettare il pagamento della cassa integrazione erano circa 1 milione di lavoratori. Ed è ancora sullo stesso quotidiano che leggiamo che l’Istituto, invece di pareggiare il conto come aveva promesso, adesso ha accumulato un ulteriore ritardo.

Non sta funzionando affatto bene il meccanismo della cassa integrazione, ed ora le promesse del presidente Pasquale Tridico, di saldare tutto entro il 12 giugno, non solo si scontrano con la dura realtà che i soldi non sono ancora arrivati, ma addirittura vengono clamorosamente smentite da un altro dato, quello di un aumento del numero dei lavoratori che aspettano i soldi.

Secondo Il Tempo, non solo l’Inps non ha rimediato al ritardo accumulato finora, ma ha lasciato che la situazione peggiorasse ulteriormente. Ora infatti, stando ai dati in possesso del noto quotidiano, risulta che al 16 giugno, vale a dire 4 giorni dopo il 12, data entro cui Tridico aveva promesso che il conto sarebbe stato saldato, restano da pagare circa 600 mila casse integrazioni in deroga.

Il totale però non è questo, si arriva quasi al doppio contando le circa 300 mila casse integrazione ordinarie e altre 270 mila Fis. Si arriva così a 1 milione e 170 mila prestazioni assistenziali mai corrisposte.

Quali sono i motivi del ritardo del pagamento della cassa integrazione?

Ma come mai molti lavoratori non hanno ancora ricevuto la cassa integrazione? I motivi sarebbero molteplici, e se in alcuni casi la responsabilità sarebbe da imputare alle Regioni, che non sarebbero dimostrate in grado di processare nei tempi le domanda da inoltrare all’Inps, in ogni caso l’Istituto non sarebbe comunque in grado di processare più di 50 mila domanda al giorno.

Ipotizzando che non aumenti ancora il numero di richieste di cassa integrazione, cosa che secondo Il Tempo è piuttosto improbabile, l’Inps avrebbe comunque bisogno di una ventina di giorni per evadere tutte le domande arretrate, con il pagamento delle ultime prestazioni che slitterebbe fino a luglio.

Eppure sarebbe stato lo stesso presidente dell’INPS, Pasquale Tridico, ad affermare che le richieste sono state già processate, affermando: “le abbiamo pagate tutte”, come riportato ancora da Il Tempo, che dopo aver pubblicato i dati contenuti nella tabella dell’Istituto alcuni giorni addietro, aveva prodotto un mezzo terremoto, con richieste di dimissioni per Tridico avanzate da diversi esponenti dell’opposizione, a cominciare da Maurizio Gasparri (Forza Italia).

La questione però è stata ulteriormente approfondita in questi giorni, e su IlFattoQuotidiano si parla di “poco più di 5 milioni di pagamenti mensili arrivati a destinazione, sui conti correnti di 2,6 milioni di lavoratori. Che si aggiuntono ai 4,3 milioni a cui la cassa integrazione è stata anticipata dal datore di lavoro“.

A non aver ricevuto nulla, secondo IlFattoQuotidiano, sarebbero 123.542 lavoratori, che non hanno visto il becco di un quattrino dall’inizio del lockdown. Una situazione che decisamente merita di essere chiarita, e ci ha provato, riuscendoci solo in parte, lo stesso presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, pubblicando una tabella contenente alcuni dati.

Tabella che però sarebbe, secondo Vincenzo Silvestri, consigliere nazionale dell’ordine dei Consulenti del Lavoro “non di facile lettura”. Lo stesso Silvestri afferma: “sembra di capire che residuano 562mila prestazioni da erogare mentre in 123 mila non hanno preso nulla”.

“In più però ci sono i lavoratori che fanno capo a enti minori come il Fondo di Solidarietà Bilaterale per l’Artigianato (Fsba), che è rimasto a secco dopo aver pagato marzo e ora attende le risorse stanziate con il decreto Rilancio: sono almeno 100 mila, stima al ribasso. E ci sono quelli ‘incastrati’ nelle pratiche di Cig in deroga che alcune regioni, come la Lombardia, devono ancora deliberare” spiega ancora Silvestri.

A fare il punto ci prova anche Tania Scacchetti, segretaria confederale Cgil, che in una intervista a Radio1 Giorno per Giorno osserva: “a spanne quelli che non hanno ancora percepito la cassa sono almeno mezzo milione”.

“Potrebbero esserci molte aziende che hanno ricevuto dall’Inps l’autorizzazione ma non sono riuscite ancora a produrre i modelli SR41” ha aggiunto Scacchetti. Inoltre la tabella Inps prende come base di confronto i beneficiari il cui datore di lavoro ha inviato tutti i dati per il pagamento in maniera corretta con il modello SR41, perciò risulta impossibile stabilire quanti sono ancora in attesa del pagamento, visto che nel documento vi erano errori ad esempio nella compilazione del campo IBAN.

Silvestri scagiona però l’Istituto affermando: “non si può dire che la colpa sia dell’Inps. Per quanto riguarda le pratiche che hanno avuto in iter fisiologico l’istituto si è mosso in tempi anche rapidi rispetto a quelli ordinari. I problemi veri nascono da una legislazione barocca e inadeguata all’emergenza, in cui gli ammortizzatori sono dispersi in mille rivoli”.

“Per cui, per esempio, ci sono state aziende che hanno sbagliato destinatario della domanda, mandandola a Inps invece che alle Regioni o viceversa. Basta un errore di codice e il meccanismo si inceppa” spiega ancora Silvestri.

E veniamo quindi al decreto di lunedì, con il quale l’esecutivo contava di riempire il ‘buco’ che si sarebbe venuto a formare nei prossimi giorni allo scadere della proroga della cassa integrazione concessa con il decreto Rilancio, dando 30 giorni per presentare nuovamente la domanda che era stata in precedenza presentata “per trattamenti diversi da quelli a cui avrebbero avuto diritto o comunque con errori od omissioni”.

A fare un po’ di luce ci ha provato anche Guglielmo Loy, presidente del Consiglio di Indirizzo e Vigilanza dell’Inps, che in una intervista a 24Mattino ha spiegato: “nel 2015, con uno dei decreti attuativi del Jobs Act” sono state apportate alcune modifiche all’attuale sistema degli ammortizzatori “ma si è partiti dal presupposto sbagliato che Cig faccia rima con industria”.

“Invece la grande industria quasi non esiste più e l’universo delle imprese è enormemente articolato. Ne è risultata una complessità istituzionale perversa, uno spezzettamento di competenze, per dimensione di impresa, per numero di occupati, per attività, che in una fase di emergenza non poteva che avere questi esiti”.

In parole povere, spiega ancora Guglielmo Loy “si è usata una procedura ordinaria in tempo di guerra, armi convenzionali in una guerra nucleare. Si è deciso di usare lo strumento vecchio e ciò ha prodotto ritardi”.

Eppure secondo Vincenzo Silvestri un’alternativa c’era. “In Germania le aziende presentano il dettaglio del costo del lavoro sostenuto e in pochi giorni arriva il bonifico” spiega “ma quello è un altro mondo” mentre da noi attraverso la nuova riforma non si può far altro che “mettere tutto in capo all’Inps, rendendolo il punto di riferimento unico”.

Quanto ai prossimi passi da compiere, un accenno lo ha fatto la sottosegretaria al Lavoro, Francesca Puglisi, che ha parlato di distinzione tra aziende in difficoltà temporanea e aziende in crisi irreversibile, e di robuste politiche di riqualificazione per ricollocare rapidamente i cassintegrati, per evitare che in caso di chiusura dell’azienda si trovino tagliati fuori dal mondo del lavoro.

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