Se il primo Governo Conte ha avuto il merito di introdurre Quota 100, permettendo il pensionamento anticipato di numerosi lavoratori, il Conte bis sembra indirizzato verso tutt’altri orizzonti, con una trattativa con le parti sociali che sembra tutt’altro che vicina ad un punto d’incontro.

Quota 100 dovrebbe scadere alla fine del 2021, ma questa scadenza sembra sempre più a rischio, visto che il Governo giallo-rosso potrebbe decidere di anticiparla alla fine del 2020. I sindacati si sono espressi contrariamente e hanno chiesto non solo di rispettare la scadenza naturale, ma anche di varare la grande riforma per il pensionamento anticipato, prima di mandare in soffitta Quota 100.

La “fregatura” del sistema contributivo integrale

Diciamo prima di tutto che si sta parlando degli assegni che verranno erogati a partire dal 1° gennaio 2021, o al più tardi dal 1° gennaio 2022. Qui si crea il primo nodo da sciogliere nella trattativa coi sindacati, quello del metodo di calcolo.

L’ipotesi più accreditata fino a ieri era quella di un pensionamento anticipato con 36 o 38 anni di contributi e un’età fissata a 64 anni. Il calcolo sarebbe interamente contributivo per gli assegni di tutti quei lavoratori che hanno iniziato a lavorare prima del 1996.

In questo modo però si ritroverebbero con un assegno assottigliato tutti quei lavoratori che avrebbero invece diritto ad un calcolo della pensione solo in parte contributivo. Per parte sarebbe stato invece basato sul calcolo retributivo, che ricordiamo, è un sistema ad “esaurimento”, destinato a non essere più utilizzato a partire dalle pensioni di chi ha iniziato a lavorare nel 1996.

Dal ’96 in poi infatti il calcolo della pensione si baserà completamente sul sistema contributivo. L’assegno sarà quindi calibrato non sull’ultima busta paga, elemento che inciderà solo in minima parte, bensì sui contributi versati. Un sistema questo che taglierebbe gli assegni fino al 30% del loro importo.

Ciò vuol dire che un assegno dell’importo di 2.000 euro si ridurrebbe a 1.400 euro, mentre un assegno da 1.500 euro, con il pensionamento anticipato, scenderebbe a 1.150 euro. Le cifre vengono fuori da uno studio a cura della Cgil, e che sono state messe sul tavolo della trattativa con il Governo, incendiando il dibattito.

Nella contro-proposta del Governo il taglio dell’assegno al 6 per cento

La proposta che è stata messa sul tavolo dai sindacati è quella di un’uscita uguale per tutti all’età di 62 anni, e senza alcun ricalcolo penalizzante. Ipotesi che il Governo non ha esitato a respingere, lanciando poi una controproposta che prevede una diversa strategia per un nuovo piano per il pensionamento anticipato.

È stato il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta a spiegare il nuovo sistema alle parti sociali. Questo sistema prevede il pensionamento a 64 anni con 36 o 38 anni di contributi, ma con una penalità che si applica per ogni anno di anticipo tarato sull’asticella della Legge Fornero, che ricordiamo, prevede il pensionamento a 67 anni.

All’atto pratico quindi il taglio invece che del 30% sarebbe del 6%. Un assegno da 2.000 euro non scenderebbe quindi a 1.400 euro ma a 1.880. Così come un assegno da 1.500 euro con questo sistema non si assottiglierebbe fino a 1.150 euro ma avrebbe un ridimensionamento molto più contenuto, fino a 1.410 euro.

Tutto ciò se si prende in considerazione il caso di un pensionamento con tre anni di anticipo rispetto ai 67 anni previsti dalla Legge Fornero. Restano però aperte le trattative che riguardano altri nodi, a cominicare dalla nuova Quota 100, con 64 anni di età e 36 anni di contributi, che potrebbe essere rimpiazzata da Quota 102, che prevede un’età pensionabile di 64 anni ma con 38 anni di contributi.

I sindacati però propongono un’altra strada, quella del pensionamento anche a 62 anni, a patto che ci siano almeno 20 anni di contributi, oppure 41 anni di versamenti indipendentemente dal’età.

Per ora l’unica certezza sembra essere che chi non intende sottostare ai rigidi paletti della Legge Fornero avrà sì l’alternativa per andare in pensione anticipatamente, ma ora che Quota 100 verrà soppressa, dovrà essere disposto a rinunciare ad una parte più o meno cospicua dell’assegno.

Cgs propone il meccanismo del ‘part time pensione’

È questa una delle proposte portate sul tavolo della trattativa col Governo dalle parti sociali. Il meccanismo del ‘part time pensione’, che verrebbe eventualmente introdotto per un periodo limitato di tre anni soltanto, e con requisiti un po’ più alti rispetto a quelli che erano in vigore fino al 2011, è stato suggerito dalla Confederazione generale sindacale (Cgs).

“Arrivare a 62 anni e 36 di contributi, contro il parametro dei 60+35 ante-Fornero, potrebbe essere un buon punto di caduta” dice Rino Di Meglio, segretario nazionale della Cgs “per un ritorno allo scivolo del part time. In questo modo, il lavoratore, percependo per metà la pensione e per metà lo stipendio, con le ore lavorate al mese dimezzate potrebbe avvicinarsi in maniera più soft alla quiescenza”.

“Inoltre, il sistema consentirebbe di realizzare quella staffetta generazionale che può agevolare le nuove assunzioni e la trasmissione di competenze preziose con chi si avvicina al mondo del lavoro” prosegue Di Meglio nell’esposizione della proposta portata al tavolo tecnico presso il Ministero del Lavoro.

L’obiettivo è chiaramente quello di raggiungere una maggiore flessibilità in uscita che permetta di lasciarsi finalmente alle spalle la riforma Fornero, nel momento in cui la misura provvisoria di Quota 100 sarà giunta alla sua naturale scadenza. Quota 100 che riceve tra l’altro l’approvazione del sindacato.

“È una misura che non ci dispiace” dicono dalla Cgs con una nota “ma servono soluzioni strutturali e bisogna dare pieno riconoscimento alla specificità dei lavori usuranti e gravosi per categorie come quella degli infermieri e degli insegnanti. In ogni caso, noi siamo favorevoli a un’uscita di anzianità a 41 anni a prescindere dall’età anagrafica”.

Da parte del sindacato poi non manca la dovuta attenzione verso le dinamiche che riguardano i lavoratori più giovani. “Serve una base previdenziale certa per chi ha carriere discontinue e salari bassi” avverte Di Meglio “e non possiamo che partire da una pensione minima di 780 euro, la stessa soglia del Reddito di cittadinanza“.

Resta però qualche dubbio sul meccanismo del riscatto agevolato della laurea. “Si abbattono gli oneri, è vero, ma il rendimento è poco conveniente per i periodi antecedenti al 1996 e i redditi molto bassi non potrebbero beneficiare del credito di imposta al 50%. Difficilmente il riscatto consentirà di anticipare il pensionamento rispetto all’età per la pensione di vecchiaia” conclude il segretario della Cgs.

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