Va a finire nei vari paradisi fiscali, una consistente parte del denaro dei contribuenti italiani, che stando a quanto rilevato dalla Commissione Europea, hanno l’abitudine di portare fuori dal Paese i propri soldi.

Ed è così che nei paradisi fiscali ci sarebbero ben 142 miliardi di euro nascosti dai contribuenti italiani. Per farsi un’idea di quali cifre stiamo parlando, basti pensare che rappresenta l’8,7% del Pil del Paese, con un mancato introito fiscale per lo Stato che è stato stimato in circa 1,73 miliardi di euro nel solo anno 2016, cioè lo 0,11% del Pil.

Nella Legge di Bilancio 2020 il Governo Conte bis dichiara guerra all’evasione fiscale, e intanto la Commissione Europea illustra un quadro molto interessante che riguarda la fuga di capitale verso centri offshore. Naturalmente non sono solo gli Italiani a stipare ricchezze nei paradisi fiscali, è una consuetudine anche di altri Paesi d’Europa, a cominciare proprio dalla Germania.

Stando all’ultimo rapporto del Dipartimento per la Fiscalità generale e l’unione doganale diffuso l’11 ottobre scorso, l’Italia risulta essere il quarto Paese in Europa per volumi di capitale stipato nei paradisi fiscali. E’ la Germania invece a conquistare la prima posizione, con 331 miliardi di euro, seguita dalla Francia, con 277 miliardi di euro, e dalla Gran Bretagna con 218 miliardi di euro.

Ecco uno schema che riassume la ricchezza stimata offshore Paese per Paese, in valori assoluti medi nel periodo che va dal 2001 al 2016 in miliardi di euro.

  • Germania: 381
  • Francia: 224
  • Regno Unito: 189
  • Italia: 149
  • Spagna: 95
  • Belgio: 62
  • Portogallo: 50
  • Grecia: 50
  • Olanda: 44
  • Austria: 34
  • Svezia: 18
  • Rep. Ceca: 17
  • Irlanda: 15
  • Polonia: 14
  • Cipro: 7.6
  • Ungheria: 6.5
  • Bulgaria: 6.2
  • Finlandia: 6.2
  • Romania: 5.6
  • Danimarca: 4.9
  • Croazia: 4.8
  • Lussemburgo: 3.4
  • Slovacchia: 3.2
  • Lettonia: 2.6
  • Malta: 2.4
  • Slovenia: 1.6
  • Lituania: 1.6
  • Estonia: 1.4

In questo secondo elenco vediamo invece la ricchezza stimata offshore in percentuale rispetto al Pil nazionale, sempre per il periodo che va dal 2001 al 2016

  • Cipro: 38
  • Malta: 31
  • Portogallo: 26
  • Grecia: 23
  • Belgio: 16
  • Bulgaria: 15
  • Germania: 13
  • Lettonia: 13
  • Rep. Ceca: 11
  • Austria: 10
  • Francia: 10
  • Croazia: 10
  • EU28: 9,7
  • Spagna: 8,8
  • Italia: 8,7
  • Estonia: 8,3
  • Regno Unito: 8
  • Lussemburgo: 7,5
  • Irlanda: 7,5
  • Paesi Bassi: 6,3
  • Ungheria: 5,9
  • Lituania: 5
  • Slovacchia: 4,5
  • Svezia: 4,3
  • Romania: 4,3
  • Slovenia: 4,1
  • Polonia: 3,8
  • Finlandia: 2,8
  • Danimarca: 1,8

Per quel che riguarda in modo specifico il nostro Paese, il denaro portato nei centri offshore dagli Italiani, nel 2001 raggiungeva in dollari la somma di 216,9 miliardi. Qualche anno dopo il totale era gradualmente sceso, per poi subire una nuova impennata nel 2013, quando ha toccato il 167,1 miliardi di dollari.

L’andamento ha mostrato ulteriori discese fino ai 163,4 miliardi di dollari nel 2015 e 149,8 nel 2016, importo che corrisponde poi ai 142 miliardi se si converte la cifra in euro.

Osservando i dati ci accorgiamo comunque che la media europea si attesta intorno al 9,7% del Pil, mentre l’Italia si trova al di sotto della media come somme nascoste nei paradisi fiscali, visto che tale somma rappresenta al momento solo l’8,7% del Pil.

Il calcolo delle ricchezze offshore

Gli esperti della Commissione Europea hanno però sottolineato che i dati resi noti riguardano le sole ricchezze liquide, vale a dire i depositi bancari e le attività di portafoglio. Sono esclusi dal conteggio tutti gli altri beni immobili, e i beni mobili come opere d’arte, polizze vita, le criptovalute e naturalmente i contanti.

In tutto, la ricchezza globale offshore stimata dal Rapporto della Commissione Europea raggiunge i 7,5 trilioni di euro, oari al 10,4% del Pil mondiale. Un dato questo che trova conferma in quelli emersi dalle ricerche degli ultimi anni, in quanto rilevato dall’economista Gabriel Zucman che aveva stimato la cifra di 8,3 trilioni di dollari, o nel rapporto Boston Consulting Group in cui si parla di 10,3 trilioni di dollari.

La ricchezza offshore della Cina

Uno dei dati più interessanti messi in luce dal rapporto della Commissione riguarda l’aumento della ricchezza globale offshore dei Paesi che non appartengono all’Ocse. Infatti negli ultimi anni, cioè dal 2010 al 2016 tra questi Paesi si è riscontrata una netta impennata della ricchezza nascosta nei paradisi fiscali, con una cifra complessiva che passa dagli 1,1 trilioni di dollari del 2001 ai 4,6 trilioni del 2016.

In particolare si nota una notevole crescita del contributo della Cina, con una ricchezza offshore che aumenta notevolmente rispetto a quella degli altri Paesi non Ocse. Il dato però deve essere preso con le pinze. Potrebbe infatti non indicare necessariamente un aumento dell’evasione fiscale attraverso la delocalizzazione dei capitali, ma potrebbe essere influenzato dall’emersione di Hong Kong come importante centro per il trading di renminbi.

Si può ritenere l’aumento della ricchezza offshore cinese come una diretta conseguenza del corrispondente aumento dei depositi detenuti a Hong Kong dai residenti cinesi. Su IlSole24Ore leggiamo che “l’evoluzione dello status speciale di Hong Kong nei confronti della Cina durante il periodo di studio è un elemento importante”. Infatti Hong Kong è diventato, nel 2004, il “primo mercato finanziario a scambiare renminbi offshore, con una forte crescita del volume delle transazioni”.

Cresce anche il dato che riguarda la ricchezza nascosta nei paradisi fiscali attraverso le cosiddette società fantasma. Infatti lo studio della Commissione Ue ha messo in evidenza che la ricchezza offshore detenuta indirettamente, in particolare attraverso società di comodo, o società fantasma appunto, si attestava nel 2004 intorno al 35% del totale della ricchezza globale offshore, per poi raggiungere il 44% nel 2006. Invece il dato che riguarda in modo specifico la ricchezza offshore indiretta detenuta da residenti americani e residenti cinesi resta invariato dal 2004 al 2006.

La ricchezza offshore dei Paesi Ue

Tra gli Stati membri Ue quelli che occupano le prime posizioni come ricchezza offshore troviamo naturalmente Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia che insieme rappresentano il 65% del totale. Questi quattro non a caso sono i Paesi più grandi e più popolosi dell’Unione, infatti se spostiamo lo sguardo sul dato relativo al valore percentuale rispetto al Pil, la classifica cambia completamente.

In questo caso balza subito all’occhio che Germania, Francia, Regno Unito e Italia non sono più in cima alla classifica ma si piazzano su dati molto vicini a quello rappresentato dalla media europea.

In termini di percentuale rispetto al Pil, gli Stati membri con la maggiore ricchezza offshore sono invece Cipro, Malta, Portogallo e Grecia, nettamente al di sopra della media Ue, con percentuali che superano mediamente il 20% del Pil.

C’è poi un gruppo di Paesi membri con una ricchezza offshore particolarmente bassa se rapportata al Pil. Tra questi troviamo Danimarca, Finalndia, Polonia, Slovenia, Romania, Svezia, Slovacchia e Lituania, tutti con ricchezza offshore inferiore al 5% del Pil.

Quanto ci perde lo Stato

Dopo aver visto il quadro complessivo cerchiamo di quantificare le perdite in termini di mancati introiti per lo Stato. Nascondere capitali all’estero si traduce infatti in un ammanco dalle casse dell’erario sia in Italia che negli altri Paesi.

Si è calcolato che tra i 28 Paesi membri, nel periodo oggetto dello studio, siano venuti a mancare circa 46 miliardi di euro, pari allo 0,5% del Pil Ue. Il dato viene confermato anche per il 2016, ma si abbassa la percentuale rispetto al Pil, che scende allo 0,3%.

Una battaglia difficile, quella del contrasto all’evasione fiscale. Lo sottolinea lo stesso studio della Commissione Ue che ha rilevato un miglioramento delle strategie adottate dai contribuenti per evadere il fisco, perfezionando le capacità di acquisire partecipazioni offshore nascoste.

E’ stato infatti riscontrato che la pratica di creare doppie residenze fiscali è in costante diffusione e non viene monitorata dallo studio perché le statistiche nazionali non ne tengono conto. Anche per questo la Commissione Ue ha deciso di dedicare particolare attenzione allo studio di tale fenomeno.

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