In Italia si è verificato un caso alquanto anomalo. Da una analisi svolta risulta che le piccole e medie imprese pagano una tassazione più alta rispetto alle grandi industrie. Sarà vero? Se sì, perché questa disuguaglianza?
Si nota, infatti, che oggi le piccole e medie imprese italiane pagano l’11% in più di tasse rispetto a quelle grandi. Questo lo afferma la CGIA di Mestre, che da una sua analisi ha verificato che lo scorso anno, sono stati versati dentro le casse del fisco Italiano, ben 4,4 miliardi di euro in più rispetto alle industrie.
Ovviamente questa disuguaglianza non fa che aumentare la pressione fiscale sulle piccole e medie imprese, le quali si vedono costrette poi a chiudere battenti.
Se le piccole e medie imprese italiane pagano oggi l’11% in più di tasse rispetto a quelle grandi, dovrebbero essere soggette a dei contributi e degli sgravi favorevoli ad esse, se non anche a dei servizi migliori rispetto alle grandi industrie. Questo invece non si verifica, quindi le piccolo e medie imprese si vedono solo costrette a pagare tasse.
Sulla base delle analisi condotte dalla CGIA di Mestre lo scorso anno e sulla base dei dati raccolti, si scopre come detto, che sono stati versati al fisco ben 4,4 miliardi di euro in più rispetto alle industrie senza un tornaconto in termini di beni e servizi.
Che in Italia sono le piccole e medie imprese a portare avanti la baracca, con una tassazione superiore rispetto alle grandi imprese e questo senza un reale tornaconto, lo si sapeva già da tempo.
Oggi, la CGIA di Mestre ha snocciolato i dati in suo possesso ed ha confermato una discrepanza se non anche un’ingiustizia fiscale presente da diverso tempo ormai nel nostro paese tra coloro che possiedono e dirigono una grande impresa e chi invece è titolare di una piccola attività. Dalla rilevazione effettuata, si è scoperto che il piccolo contribuente paga l’11% in più di tasse rispetto alle grandi attività del settore industriale.
Più precisamente, la CGIA di Mestre, ha rilevato che nel 2018 i lavoratori autonomi e le piccole imprese hanno versato al fisco ben 42,3 miliardi di euro. Queste cifre equivalgono al 53% degli oltre 80 miliardi di imposte versate da tutto il sistema produttivo. Le grandi e medie imprese, invece, hanno corrisposto una somma pari a 37,9 miliardi pari al 47% del totale.
In breve si è scoperto che i piccoli lavoratori con partita Iva hanno versato ben 4,4 miliardi di tasse in più rispetto a tutti gli altri. Questo viene dimostrato dai dati elaborati dalla CGIA di Mestre e confermato anche dal coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo secondo cui l’apporto fiscale delle medie e grandi imprese è molto inferiore alle attese.
Si parla di un risultato ascrivibile sia al loro esiguo numero sia anche alla loro elevata possibilità (concesse alle grandi imprese) di eludere il fisco.
Allo stesso tempo, anche il Fondo Monetario Internazionale, ha segnalato il mancato pagamento delle imposte da parte delle grandi multinazionali del web. Sono queste che oggi sottraggono all’erario italiano ben 20 miliardi di euro all’anno. Tali devono poi essere ricercati altrove e per forza di cose gravano sulle piccolo imprese e i liberi professionisti.
Analizzando invece il fatturato delle grandi imprese, possiamo notare come esso sia posto pari al 32% del totale. Una differenza abbastanza rilevante e allo stesso tempo ingiusta fiscalmente se si guarda al rapporto fra grandi e piccole imprese sul nostro territorio.
Ad oggi, sono presenti nel nostro territorio, grandi imprese (definite tali, quelle che hanno oltre 250 dipendenti) in un numero ridotto rispetto ad una decina di anni fa. Crescono invece le Piccole e Medie imprese, le quali rappresentano l’ossatura principale del tessuto economico e manifatturiero italiano.
Possiamo dire che le grandi imprese presenti nel nostro territorio sono appena 3.200 e rappresentano meno dello 0,1% del mondo produttivo italiano. Nonostante tutto, il fatturato di queste è pari a 911 miliardi corrispondente al 31,9% del prodotto complessivo che annualmente ammonta a 2.855 miliardi di euro. Il valore aggiunto, sempre delle big company, è pari al 32,7% del totale.
Se il dato nazionale in termini assoluti è posto pari a 702 miliardi, la quota in capo alle imprese con più di 250 addetti è posto pari a 230 miliardi. In termini di occupazione, invece, il risultato del confronto con le Pmi è appannaggio di queste ultime. Su una platea di occupati nel settore privato di oltre 14,5 milioni di addetti, solo 3,1 milioni (21,4% del totale) è alle dipendenze di una grande impresa.
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Tassazione insopportabile per le Pmi
Sulla base dei dati riportati in precedenza, la stessa CGIA di Mestre chiede che venga riservata maggiore attenzione (al livello di tassazione) per le piccole e medie imprese. Queste oggi in Italia reggono le sorti di tutta l’economia Italiana e dello stesso PIL.
Questa tassazione oggi presente non è sostenibile a lungo andare e continua ad attestarsi a livelli insopportabili. Anche il credito viene concesso con delle difficoltà rispetto ai big players che, oltretutto, possono anche finanziarsi direttamente sul mercato.
Vi è poi un ulteriore dato che deve essere preso in esame e che non sfugge all’analisi della CGIA di Mestre: l’ammontare del debito commerciale della Pubblica amministrazione nei confronti dei propri fornitori. In questo caso, i dati sono davvero allarmanti; si parla di un debito pari a 57 miliardi di euro, di cui circa la metà riconducibile ai mancati pagamenti.
Tutto questo non è più sopportabile! Ancora una volta è il segretario della Cgia Renato Mason, ad affermarlo. Queste le sue parole:
la nostra Pa non solo paga con un ritardo ingiustificato, che nel dicembre del 2017 ci è costato un deferimento alla Corte di Giustizia Europea, ma quando lo fa non è più tenuta a versare l’Iva al proprio fornitore.
Dopo l’introduzione dello split payment, infatti, le imprese che lavorano per il settore pubblico, oltre a sopportare tempi di pagamento lunghissimi, subiscono anche la mancata riscossione dell’imposta sul valore aggiunto che, pur rappresentando una partita di giro, consentiva alle imprese di avere maggiore liquidità per fronteggiare le spese correnti. Questa situazione, associandosi alla contrazione degli impieghi bancari nei confronti delle imprese in atto in questi ultimi anni – rileva – ha peggiorato la tenuta finanziaria di moltissime piccole realtà aziendali.
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