Secondo quanto riportato sulla nuova imposta IMU ad oggi si intravede il rischio di applicare questa sulle aree da edificare per la successiva vendita.
Questo è quanto emerso a seguito dell’audizione informale dell’ANCE presso la Commissione Finanze della Camera dei Deputati sui contenuti della proposta di legge recante “Istituzione dell’imposta municipale sugli immobili (nuova IMU)”, (DDL 1429/C), tenutasi lo scorso 3 luglio.
E’ stato il Dott. Marco Dettori, Vice Presidente Economico-fiscale-tributario, a guidare la delegazione associativa, evidenziando nella premessa, la condivisione dell’intento del provvedimento di semplificare ed unificare il prelievo locale immobiliare. Ad oggi, infatti, assistiamo ad un sovrapporsi di 2 tributi patrimoniali di identico ambito soggettivo ed oggettivo:
- IMU;
- TASI.
Sulla scia di questo, si parla di un processo di revisione dei tributi locali che non può più essere rinviato. Questo lo si pone nei confronti di un’ottica di conferimento e di assetto definitivo stabile ad un settore della fiscalità interessato, che nel corso degli ultimi anni è stato oggetto di numerose modifiche normative.
Questa stratificazione di interventi normativi non ha fatto altro che produrre un indiscriminato aumento della pressione fiscale sugli immobili (dal 2011 al 2015 il gettito è passato da 9,3 a 24,5 miliardi di euro e, con il venir meno del blocco dell’aumento dei tributi locali, dal 2019, si potrebbe registrare un ulteriore aumento del livello di tassazione territoriale).
Allo stesso tempo, oggi, non possiamo parlare di una vera e sostanziale riforma in questo ambito, la cui esigenza è avvertita ormai da tutti, cittadini, imprese e istituzioni stesse. Il tutto non potrà mai esaurirsi nella mera unificazione delle due vigenti imposte immobiliari. Esse devono tendere a razionalizzare il prelievo eliminando tutte le distorsioni che sono oggi presenti.
Nello specifico, il Vicepresidente si è soffermato sulle proposte ritenute prioritarie da ANCE. Egli evidenza la necessità di intervenire sul tema delle “definizioni” dei vari immobili assoggettati al prelievo locale.
In modo particolare, si parla di area edificabile, ancorate alla disposizione del DL 223/2006 (cd. “decreto Visco-Bersani”, che è stato poi convertito in legge 248/2006. Esso considera tale il terreno già con la sola adozione dello strumento urbanistico generale, senza che sia necessario anche il piano attuativo.
Questo vuol dire che le aree vengono tassate con imposta massima (in quanto calcolata sul valore commerciale delle stesse) anche se, allo stato di fatto, non concretamente utilizzabili a scopo edificatorio, in mancanza di un piano urbanistico attuativo dello strumento generale.
Da qui ne deriva un immediato intervento atto ad eliminare questa distorsione, qualificando l’area come “fabbricabile” solo quando effettivamente, sulla stessa si potrà procedere all’edificazione prevista dalla pianificazione urbanistica attuativa.
Al momento, l’attuale definizione, genera un elevato contenzioso, che verrebbe invece risolto, adottando tale concetto di “area edificabile”.
Vi è poi una seconda urgenza, quella legata al campo d’applicazione dell’imposta patrimoniale che andrebbe a colpire tutti i beni merce delle imprese edili, come aree e fabbricati destinati alla vendita.
Il provvedimento, come è stato predisposto oggi, conferma la misura della TASI attualmente prevista per l’ immobile merce delle imprese edili, ovvero per i fabbricati costruiti per la successiva vendita, a condizione che non siano locati (esenti, invece, da IMU con effetto dal 2013).
Preme sottolineare però che tale disposizione, non è coordinata con quanto recentemente previsto dal DL 34/2019 (cd. decreto crescita), convertito poi in legge 58/2019. All’interno dell’art.7-bis, si stabilisce l’esenzione da TASI di tali immobili a decorrere dal 2022. In pratica, oggi la nuova imposta potrebbe continuare ad essere applicata sulle aree da edificare per la successiva vendita. Queste oggi sono assoggettate ad IMU e a TASI. Tutti i fabbricati in corso di costruzione o ristrutturazione non sono esenti in quanto destinati alla successiva cessione verso terzi.
Ecco l’’importanza quindi di riconoscere l’esclusione da ogni forma di patrimoniale per gli immobili facenti parte del cd. “magazzino” delle imprese edili.
Tutto il settore edile in questo caso subirebbe un prelievo di carattere patrimoniale sugli immobili oggetto dell’attività caratteristica. La riforma invece che si vuole portare a termine, vuole invece eliminare questa enorme distorsione del sistema impositivo immobiliare.
Oggi il gettito IMU/TASI per le aree edificabili è del tutto risibile e genera un elevato contenzioso in merito alla definizione stessa di area e al valore imponibile.
Questa norma si pione un obbiettivo, quello di dare mano libera ai comuni per mettere in pratica uno strumento efficace di marketing territoriale, come quello fiscale. Si parla quindi non solo di riduzione dell’imposta per le abitazioni affittate, ma anche di favorire il mercato residenziale delle seconde case.
Questo vuol dire per tutti gli enti locali, disporre di uno strumento fiscale atto ad attrarre capitali privati nel territorio e a livello nazionale, di vivacizzare il mercato immobiliare residenziale purtroppo ancora in sofferenza. Il tutto dovrebbe portare a dei benefici per l’Erario, il mercato stesso e gli investitori, ed anche per i cittadini.
Sempre il vicepresidente rileva la necessità di una correzione al provvedimento. Questo serve a confermare anche quanto previsto ai fini IMU e TASI, legate all’esenzioni previste per gli immobili utilizzati dagli Enti non commerciali e destinati esclusivamente allo svolgimento di determinate attività come ad esempio quelle assistenziali, previdenziali, sanitarie e didattiche.
In pratica, la nuova IMU, al fine di portare a termine l’applicabilità del regime di esenzione, rinvia al Codice del Terzo Settore (di cui al DLgs 117/2017) e, quindi, la stessa opera per immobili utilizzati nello svolgimento delle suddette attività da parte degli “Enti non commerciali del Terzo settore”.
Il rinvio, rischia di compromettere tutta la spettanza del regime di esclusione dell’imposta patrimoniale per alcuni Enti non commerciali, come ad esempio le Casse edili e le Scuole edili, le quali anche se utilizzando gli immobili posseduti direttamente nello svolgimento delle attività “tutelate”, non rientrano nel novero e nella disciplina degli Enti del Terzo settore.
Trattasi anche in questo caso di Enti non commerciali che oggi godono dell’esenzione da IMU e TASI sulla base del riferimento a immobili posseduti ed utilizzati direttamente per lo svolgimento delle loro attività istituzionali (attività didattica, per le Scuole edili e attività assistenziali e previdenziali, per le Casse edili – cfr. anche Risoluzione del Dipartimento delle Finanze 5 ottobre 2015, n.8/DF).
L’annullamento dell’esenzione creerebbe un’evidente disparità di trattamento a danno di tali soggetti, i quali subirebbero un incremento iniquo della tassazione sugli immobili posseduti. Ecco il motivo per il quale, ai fini della suddetta esenzione, è opportuno anche confermare nell’impianto normativo la nuova imposta municipale, con rinvio a quanto stabilito della previgente ICI, dall’art.7, co.1, lett.i, del DLgs 504/1992, eliminando e/o integrando il riferimento agli Enti del Terzo settore.
Infine, vi è un altro elemento connesso a questo principio, il quale deve essere posto al centro dell’impianto normativo della “nuova IMU”; esso riguarda la deducibilità dal reddito imponibile ai fini IRES ed IRPEF.
Sotto questo profilo, tutto il provvedimento non è allineato alle recenti disposizioni contenute nel DL 34/2019, cd “decreto crescita”, convertito con modifiche nella legge 58/2019, il quale, da quest’anno incrementa progressivamente la percentuale di IMU da applicare ai fabbricati strumentali, deducibile dalle imposte sul reddito, in modo da arrivare a regime e quindi alla completa deducibilità dell’imposta a decorrere dal 2023.
E’, opportuno dunque prevedere l’integrale deducibilità anche della “nuova IMU” applicata sugli immobili strumentali delle imprese, in linea con le suddette disposizioni.
Per quanto riguarda la “clausola di salvaguardia” fa sapere il vicepresidente, che se da un alto appare essenziale garantire a tutti che la “nuova IMU” non porti ad un aggravio impositivo per i contribuenti, dall’altro è parimenti essenziale utilizzare la leva fiscale lovale al fine di incentivare determinate iniziative d’interesse pubblico. Il tutto dovrebbe avvenire attraverso un serio riordino del prelievo immobiliare locale il quale non potrà non chiamare in causa la riforma della base imponibile e, quindi, del catasto.
Questo tema venne già affrontato nel 2014, con l’emanazione della legge delega n.23/2014, per la quale si voleva rendere più conformi alla realtà i valori catastali dei fabbricati, anche ai fini dell’imposizione fiscale immobiliare.
Si evidenzia dunque la necessità di adeguare il Catasto alle mutate esigenze ambientali di efficienza energetica e sicurezza sismica, al fine di premiare gli immobili in linea con i moderni standard energetici e antisismici.
Viene illustrata dunque da parte del vicepresidente la proposta ideata da ANCE che premia catastalmente e fiscalmente, la produzione, l’acquisto e il possesso di immobili ad alta efficienza energetica.
In particolare, si tratta dell’introduzione di un coefficiente che tiene conto della prestazione energetica dell’immobile e che agisce in senso inversamente proporzionale alla rendita e al valore catastale imponibile, proprio sulla base del minor impatto ambientale (e sociale) del fabbricato.
Da qui ne deriverebbe che la fiscalità locale potrebbe rappresentare una leva efficace per incentivare i cd. “mercati emergenti”, i quali sono connessi al perseguimento dell’interesse pubblico e della tutela ambientale come anche della riqualificazione urbana in chiave energetica ed antisismica. Si parla di una ricaduta positiva sull’intera collettività e sul benessere sociale come anche sulle stesse entrate erariali e degli Enti locali.
Secondo lo studio portato avanti dall’ANCE sull’incidenza fiscale su alcuni progetti effettivi di trasformazione e riqualificazione immobiliare, è risultato che:
dall’implementazione dei piani di rigenerazione urbana, lo Stato e gli Enti locali “guadagnano” complessivamente (in termini di IRES, IRPEF, IVA, IRAP, IMU/TASI) quasi il 60% dell’utile ritraibile dall’investimento (a fronte del 40% lasciato all’impresa che realizza il programma).
In questo modo, l’Erario e gli Enti locali assumono, di fatto, il ruolo di soci di maggioranza nelle iniziative di riqualificazione urbana.
>>Leggi anche i nostri approfondimenti sulla nuova IMU: Novità IMU 2019: Arriva la fusione tra IMU e TASI
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