Tutti i lavoratore dipendenti (e in misura minore gli autonomi), possono usufruire di alcuni periodi di congedo pagato. Questo avviene in occasione di eventi speciali come ad esempio la nascita dei figli. Questo vuol dire potersi astenere dal lavoro e allo stesso tempo godere di un’indennità economica garantita dall’INPS.

Congedo di maternità: cos’è? 

In sostanza viene definito congedo di maternità il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro che viene riconosciuto alla lavoratrice madre per tutto il periodo di gravidanza e puerperio.

Durante tutto il periodo di astensione obbligatorio da parte della lavoratrice, essa percepisce l’indennità economica in sostituzione della retribuzione. Il periodo comprende una indennità tale che potrà essere usufruita anche in caso di adozione o affidamento di minori.

Solo in presenza di determinate condizioni che siano tali da impedire alla madre di beneficiare del congedo di maternità, vige il diritto all’astensione dal lavoro ed alla relativa indennità al padre (congedo di paternità).

Congedo di maternità retribuito: a chi spetta?

Possono usufruire del congedo di maternità retribuito, tutte le lavoratrici dipendenti che sono assicurate all’Inps. Rientrano in questa categoria tutte le seguenti lavoratrici:

  • Apprendiste;
  • Operaie;
  • Impiegate;
  • Dirigenti, ecc.

Queste devono però avere in atto un contratto di lavoro a tempo determinato o indeterminato alla data di inizio del congedo.

L’indennità spetta anche a tutte le disoccupate o sospese nel caso in cui ricorrono le condizioni previste dall’art. 24 T.U.:

  • il congedo di maternità sia iniziato entro 60 giorni dall’ultimo giorno di lavoro;
  • il congedo di maternità sia iniziato oltre i predetti 60 giorni, ma sussiste il diritto all’indennità di disoccupazione, alla mobilità oppure alla cassa integrazione.

Possono usufruire del congedo anche le disoccupate che negli ultimi due anni hanno svolto lavori esclusi dal contributo di disoccupazione.

In questo caso, però, il diritto all’indennità di maternità sussiste solo e soltanto se il congedo di maternità sia iniziato entro 180 giorni dall’ultimo giorno di lavoro.

A questo si deve aggiungere un altro elemento: il versamento all’Inps di 26 contributi settimanali negli ultimi 24 mesi precedenti l’inizio del congedo stesso.

Nel caso in cui invece si tratta di lavoratrici agricole a tempo indeterminato o di lavoratrici agricole a tempo determinato possono usufruire del congedo di maternità se all’inizio di questo periodo corrispondono 51 giornate di lavoro agricolo (art. 63 T.U.) in qualità di bracciante comprovata dall’iscrizione negli elenchi.

Se trattasi invece di lavoratrici addette ai servizi domestici e familiari (colf e badanti) queste possono usufruire del congedo solo nel caso in cui possiedono 26 contributi settimanali nell’anno precedente l’inizio del congedo di maternità o anche 52 contributi settimanali nei 24 mesi precedenti l’inizio del congedo stesso (art. 62 del T.U.).

L’indennizzo spetta anche alle lavoratrici a domicilio secondo quanto disposto dall’articolo 61 del T.U.

Tale incentivo spetterebbe anche alle lavoratrici LSU o APU ovvero a coloro che svolgono un’attività socialmente utili o di pubblica utilità di cui all’art. 65 del T.U.

Sono altresì coinvolte tutte le lavoratrici iscritte alla Gestione Separata INPS e che non sono pensionate, e che hanno versato un contributo con l’aliquota maggiorata prevista dalla legge atta a finanziare le prestazioni economiche di maternità.

Questa prestazione viene loro riconosciuta a prescindere dall’effettiva astensione dall’attività lavorativa.

Possono usufruire di tale agevolazione anche le lavoratrici dipendenti da amministrazioni pubbliche che percepiscono la relativa indennità direttamente dall’amministrazione cui appartengono, corrispondente al trattamento economico, secondo quanto disposto dagli articoli 2 e 57 del TU.

Congedo di maternità retribuito: quanto spetta?

Ai soggetti su descritti spetta di norma un’indennità per un periodo di tempo pari a quanto di seguito riportato:

  • Prima del parto

2 mesi antecedentemente alla data presunta del parto (salvo flessibilità ) a cui si aggiunge anche il giorno del parto.

Un periodo di tempo considerato come periodo di interdizione anticipata che viene disposto dall’azienda sanitaria locale (per gravidanza a rischio) oppure dalla direzione territoriale del lavoro (per mansioni incompatibili).

  • Dopo il parto

3 mesi successivi al parto (salvo flessibilità) e nel caso di parto avvenuto dopo la data presunta, i giorni compresi tra la data presunta e la data effettiva.

Nel caso in cui invece trattasi di parto anticipato rispetto alla data presunta ovvero di parto prematuro o precoce, a questo periodo (3 mesi) si aggiunge un secondo periodo, pari ai giorni non goduti prima del parto (rientranti nei 2 mesi), anche qualora la somma dei 3 mesi di post partum e dei giorni compresi tra la data effettiva del parto ed la data presunta del parto, superi il limite complessivo di 5 mesi.

Per tutto il periodo di interdizione che viene prorogata e disposta dalla direzione territoriale del lavoro (per mansioni incompatibili con il puerperio).

Secondo quanto previsto dalla legge, il congedo per le neomamme lavoratrici potrà essere usufruito a scelta della lavoratrice e non più imposto. In pratica il periodo dei 5 mesi (2+3) potrà essere scelto dalla madre e potrà dunque spostarlo in avanti per tutto il periodo dopo il parto.

Questo vuol dire poter lavorare fino al raggiungimento del nono mese (previa autorizzazione del medico), portandosi “in dote” l’intero periodo di astensione, ovvero 5 mesi dopo il parto.

Attenzione: in caso di parto gemellare la durata del congedo di maternità non varia.

Congedo di maternità retribuito: spetta nel caso di ricovero del figlio?

Nel caso in cui sussiste un ricovero del neonato all’interno di una struttura pubblica o privata, la madre può sospendere, in tutto o in parte, il congedo post partum secondo quanto disposto dall’art. 16 bis comma 1 T.U. ), riprendendo dunque l’attività lavorativa e differendo la fruizione del periodo di congedo residuo a partire dalla data di dimissioni del bambino.

Questo diritto può essere esercitato solo e soltanto una sola volta per ogni figlio subordinatamente alla sussistenza della compatibilità della ripresa dell’attività lavorativa con il proprio stato di salute secondo quanto stabilito dal comma 2 dell’art. 16 bis T.U.

Questa compatibilità, per espressa disposizione normativa, è comprovata da “attestazione medica che dichiari la compatibilità dello stato di salute della donna con la ripresa dell’attività lavorativa”.

Congedo di maternità retribuito in caso di gravidanza interrotta

L’articolo 16, comma 1 bis, del T.U. modificato dal D.lgs. 119/2011, prevede che nel caso di interruzione della gravidanza (dopo i 180 giorni dall’inizio della gestazione), nonché in caso di decesso del bambino alla nascita o durante il congedo di maternità, la lavoratrice madre ha tutto il diritto di astenersi dal lavoro per il periodo di congedo di maternità spettante, salvo che sia la stessa lavoratrice ad avvalersi della facoltà di riprendere l’attività lavorativa.

Congedo di maternità retribuito in caso di adozione e affido

Se invece parliamo di adozione o affidamento nazionale di un minore è la legge 184/1983 ad affermare che il congedo di maternità spetta per i 5 mesi successivi all’effettivo ingresso in famiglia del minore che viene adottato o affido preadottivi nonché per il giorno stesso di ingresso del bambino.

E’ sempre la stessa legge a stabile che in caso di adozioni o affidamenti preadottivi internazionali il congedo spetta alla madre per i 5 mesi successivi all’ingresso in Italia del minore adottato o affidato.

Ma madre potrà usufruire di un periodo complessivo pari a 5 mesi come meglio crede, suddividendolo o anche usufruendo solo parzialmente, prima dell’ingresso in Italia del minore.

Il periodo di congedo che non viene fruito antecedentemente all’ingresso in Italia del minore, è fruito, anche frazionatamente, entro i 5 mesi dal giorno successivo all’ingresso medesimo.

Tutto il periodo di permanenza all’estero, seguiti da un provvedimento di adozione o affidamento validi in Italia, sono indennizzati secondo quanto disposto dalla legge italiana a “titolo di congedo di maternità”. In pratica spetta l’importo massimo che gli sarebbe stato riconosciuto in caso di maternità.

Per i periodi di permanenza all’estero è previsto anche un periodo di congedo non retribuito e non indennizzato, secondo quanto disposto dall’articolo 26, comma 4, T.U. maternità/paternità.

Nel caso in cui invece si parla di affidamento non preadottivo secondo quanto previsto dalla legge 184/1983 il congedo spetta per un periodo di 3 mesi (da fruire anche in modo frazionato), entro l’arco temporale di 5 mesi dalla data di affidamento del minore.

Congedo di paternità in sostituzione della madre

Secondo quanto disposto dall’art. 28 del D.lgs. 151/2001 viene riconosciuto il congedo di paternità. Esso rappresenta la possibilità per il padre lavoratore di astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternità o per tutta la parte residua che sarebbe spettata alla madre lavoratrice.

Attenzione però alle limitazioni! Il congedo di paternità spetta al padre solo nei seguenti casi:

  • Morte o grave infermità della madre

La sopravvenuta morte della madre attestata mediante compilazione dell’apposita dichiarazione di responsabilità predisposta nella domanda telematica. La certificazione sanitaria che comprova la grave infermità deve essere presentata in busta chiusa al centro medico legale dell’Inps, presso lo sportello oppure a mezzo raccomandata postale.

  • Abbandono del figlio da parte della madre

Anche il possibile abbandono o mancato riconoscimento del neonato da parte della madre viene riconosciuto come motivo di spettanza. Anche questo deve essere attestato mediante compilazione di un’apposita dichiarazione di responsabilità che è predisposta nella domanda telematica.

  • Affidamento esclusivo del figlio al padre

L’art. 155 bis cod. civ. afferma che in caso di affidamento esclusivo al padre, comprovato ed allegato alla domanda telematica tramite copia del provvedimento giudiziario. In alternativa alla copia possono essere comunicati solo gli estremi del provvedimento giudiziario e del tribunale che ha emesso il giudizio.

  • Rinuncia totale o parziale della madre lavoratrice al congedo di maternità alla stessa spettante in caso di adozione o affidamento di minori.

Tale rinuncia deve essere attestata da parte del richiedente tramite compilazione di una apposita dichiarazione di responsabilità che viene predisposta all’interno della domanda telematica.

Nel caso di congedo di paternità, esso decorre dalla data in cui si verifica uno degli eventi suindicati e solitamente coincide temporalmente con un periodo di congedo di maternità non fruito dalla lavoratrice madre.

Se invece trattasi di madre non lavoratrice, il congedo di paternità termina al terzo mese dopo il parto.

Nel caso in cui invece il bambino viene ricoverato all’interno di una struttura ospedaliera, il congedo di paternità può essere sospeso, in tutto o in parte, fino alla data di dimissioni del bambino (seguendo le regole vigenti per il congedo di maternità).

Congedo di maternità: quanto spetta?

Durante tutto il periodo di congedo di maternità (o di paternità) la lavoratrice (o il lavoratore) ha diritto a percepire un’indennità economica pari all’80% della retribuzione giornaliera.

Essa viene calcolata sulla base dell’ultimo periodo di paga scaduto nel periodo immediatamente precedente l’inizio del congedo di maternità.

In sostanza, essa viene calcolata sulla base dell’ultimo mese di lavoro precedente il mese di inizio del congedo secondo quanto disposto dall’art. 22 e seguenti del T.U.

Nota bene: l’indennità viene corrisposta dall’INPS ma anticipata in busta paga dal datore di lavoro.

Congedo obbligatorio e congedo facoltativo per i padri

Secondo quanto disposto dalla Legge di stabilità 2019, il congedo obbligatorio (retribuito) ai padri lavoratori dipendenti riporta un congedo per un massimo di 5 gg.

Questa legge aumenta il tempo di permanenza del padre con il nascituro; la legge Fornero del 2012, invece, prevedeva un congedo di appena 24 ore. Tale termine venne poi portato a 48 ore dalla legge di stabilità 2015 e venne mantenuto tale per tutto il 2016 e il 2017.

La finalità della norma è quella di:

contribuire alla promozione di una “cultura di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli all’interno della coppia e per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”.

Sempre questa legge istituiva il congedo facoltativo, da sfruttare in alternativa a uno dei giorni di congedo materno, secondo discrezione dei genitori.

La legge di bilancio 2019 come anticipato, ha invece ripreso la misura estendendola; essa prevede per tutte le nascite che avvengono nel 2019, la possibilità per i pardi di usufruire di 5 giorni di congedo obbligatorio e 1 giorno di astensione facoltativa. In totale i giorni ora sono 6.

Per quanto riguarda i giorni di astensione dal lavoro, l’INPS ha previsto un indennizzo pari alla retribuzione piena che non viene erogata dal datore di lavoro ma dall’INPS previo anticipo da parte del datore di lavoro, per poi essere compensato.

La norma precisa anche che il congedo di paternità obbligatorio potrà essere usufruito in contemporanea e in concomitanza con l’assenza della madre dal lavoro. Da qui ne deriva che il congedo di paternità si aggiunge al congedo di maternità.

Per quanto riguarda invece il congedo facoltativo, questo potrà essere usufruito in alternativa ad uno dei giorni di astensione della madre.

Congedo di paternità: chi può richiederlo?

Sono soggetti aventi diritto al congedo di paternità, tutti i lavoratori dipendenti delle aziende private; possono altresì beneficiare del diritto al congedo di paternità tutti i lavoratori in cassa integrazione e in mobilità.

Il congedo di paternità non spetta ai lavoratori dipendenti della pubblica amministrazione.

Congedo parentale: cos’è?

A questo punto, analizzato cos’è il congedo di maternità e analizzato cos’è il congedo di paternità, passiamo a comprendere che cosa si intende per congedo parentale. Attenzione a non confonderlo con il congedo di maternità/paternità.

Il congedo parentale, infatti, è un periodo di astensione facoltativo dal lavoro. Questo viene concesso ai genitori (madre e/o padre) al fine di prendersi cura del bambino. Esso potrà essere usufruito solo e soltanto nei primi anni di vita del bambino al fine di soddisfare i suoi bisogni affettivi e relazionali del fanciullo.

Congedo parentale: chi può richiederlo?

Il congedo parentale può essere richiesto da tutti i lavoratori e da tutte le lavoratrici dipendenti di amministrazioni pubbliche e di aziende private.

Non possono usufruire invece del congedo le seguenti categorie di soggetti:

  • genitori disoccupati;
  • genitori sospesi dal lavoro;
  • soggetti che svolgono lavori domestici;
  • genitori lavoratori a domicilio.

Congedo parentale: a chi spetta?

Il congedo parentale spetta ai soli genitori naturali, ovvero ai genitori che hanno un regolare rapporto di lavoro.

Questi possono usufruire del congedo nei primi 12 anni di vita del bambino per un periodo totale di 10 mesi.

I 10 mesi sono considerasti totali, ovvero si deve considerare un periodo complessivo che prevede la somma del periodo di cui ha usufruito la madre e quello di cui ha usufruito il padre.

E’ possibile usufruire in via eccezionale di un periodo pari a 11 mesi, nel caso in cui il padre lavoratore si astiene dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato di almeno tre mesi.

Anche in questo caso, il periodo complessivo di 10 mesi potrà essere fruito da genitori in contemporanea.

Nel caso di cessazione del rapporto dl lavoro per uno dei due richiedenti, lo stesso diritto di congedo viene meno a partire dalla data di interruzione del lavoro.

Il diritto ad usufruire del congedo parentale, secondo quanto riportato dalla legge, spetta ai seguenti soggetti:

  1. madre lavoratrice dipendente per un periodo continuativo o frazionato di massimo 6 mesi;
  2. padre lavoratore dipendente per un periodo continuativo o frazionato di massimo 6 mesi (salvo eccezione su descritta);
  3. padre lavoratore dipendente, in contemporanea al periodo di astensione obbligatoria della madre (a partire dal giorno successivo al parto) e anche se la stessa non lavora;
  4. genitore solo (padre/madre) per un periodo continuativo o frazionato di massimo 10 mesi.

Non vi è differenza tra genitore naturale e genitore adottivo.

Questo vuol dire che anche ai genitori adottivi o affidatari (che siano lavoratori dipendenti) spetta il congedo parentale secondo le stesse modalità disposte per i genitori naturali previsti dalla legge.

Anche questi possono usufruire del congedo entro i primi 12 anni dall’ingresso del minore nella famiglia indipendentemente dall’età del bambino (all’atto dell’adozione o affidamento e non oltre il compimento della maggiore età).

Secondo quanto disposto dalla legge n. 228 del 24 dicembre 2012, è possibile usufruire del congedo parentale anche per frazione giornaliera o a ore. Per i casi specifici e per le modalità di fruizione, si rinvia alla contrattazione collettiva di settore.

Secondo quanto disposto dal decreto legislativo 25 giugno 2015, n. 81, si prevede anche la possibilità di chiedere la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in tempo parziale in sostituzione del congedo parentale. Tale potrà essere attutato entro i limiti del congedo spettante.

La riduzione dell’orario non deve superare il 50%.

Congedo parentale: quanto spetta?

Ai genitori lavoratori dipendenti spetta un indennizzo pari a:

30% della retribuzione media giornaliera

Questa viene calcolata in base alla retribuzione del mese precedente l’inizio del periodo di congedo e non potrà essere prorogata oltre i primi 6 anni di età del bambino (o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento). La legge prevede un periodo massimo complessivo (madre e/o padre) di 6 mesi.

30% della retribuzione media giornaliera

Questa percentuale viene riconosciuta anche per il periodo di età del fanciullo compreso tra i 6 anni e un giorno agli 8 anni di età (o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento).

Questa retribuzione spetta solo nel caso in cui sono rispettati i limiti imposti dalla legge:

  • se il reddito individuale del genitore richiedente non supera il valore massimo di 2,5 volte l’importo annuo del trattamento minimo di pensione;
  • entrambi i genitori non ne abbiano usufruito nei primi sei anni o anche per la parte non fruita eccedente il periodo massimo complessivo di sei mesi.

Nessuna indennità

Non è prevista nessuna indennità invece, nel caso in cui il bambino ha un’età compresa tra gli 8 anni e un giorno e i 12 anni (o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento).

Congedo parentale: come presentare domanda?

Al fine di usufruire del congedo parentale, l’interessato deve inoltrare la domanda prima dell’inizio del periodo richiesto tramite il servizio INPS online.

E’ possibile che la domanda sia presentata anche successivamente ai giorni di fruizione; in questo caso, saranno indennizzati, secondo le regole su riportate, solo e soltanto i giorni di congedo successivi alla data di presentazione della domanda.

Se trattasi di lavoratrici e lavoratori dipendenti, l’indennità (come sempre accade) viene anticipata dal datore di lavoro.

Non vale tale regola per i seguenti soggetti:

  • operai agricoli a tempo determinato;
  • lavoratori stagionali a termine;
  • lavoratori dello spettacolo a tempo determinato;
  • lavoratrici e i lavoratori iscritti alla Gestione Separata;
  • lavoratrici autonome.

Per queste categorie è previsto un pagamento diretto da parte dell’INPS.

Il diritto all’indennità si prescrive entro e non oltre i 12 mesi successivi a decorrere dal giorno successivo alla fine del periodo indennizzabile.

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