Anche in Italia continuano a diffondersi i roboadvisor ma, rispetto a quanto avviene altrove, lo si fa sempre più a rilento. Ad affermarlo è una nuova indagine condotta da Consob, realizzata nel progetto “Fintech: digitalizzazione dei processi d’intermediazione finanziaria”, avviato in collaborazione con alcune delle principali Università italiane.

Secondo il dossier, la consulenza automatizzata (robo advice), è un fenomeno sempre più diffuso, al quale sia i regolatori nazionali quelli internazionali stanno dedicando un’attenzione crescente. Tuttavia, nel nostro Paese il fenomeno è poco diffuso tanto che, se si escludono due operatori con quasi 14 mila clienti complessivi e 350 milioni di euro di masse, negli altri casi si conta un numero estremamente ridotto di clienti (meno di 50).

Ancora, Consob sottolinea come per quanto concerne i robo advisor B2C l’unico modello diffuso sia quello ibrido, ovvero l’affiancamento del canale web con il consulente fisico e, dunque, una doppia scelta all’investitore, che potrà optare per la consulenza digitale o per quella umana. Proprio l’interazione tra il cliente e il consulente resta un fattore critico di successo, tanto da orientare il mercato verso una valorizzazione della relazione umana, anche laddove la consulenza automatizzata dovrebbe farla da padrona.

Nel complesso, i fattori critici di successo del robo advice in ambito domestico sembrano essere quelli delle esperienze internazionali, anche se in Italia c’è una importante differenza. In particolare, i clienti non sono tipicamente i Millennials, quanto invece investitori con reddito medio alto, di età tra i 40 e i 60 anni, già esperti con le scelte di investimento.

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