Il crollo del mercato azionario del 1929, chiamato anche con il nome di Grande Crollo, è stato un drastico calo dei valori del mercato azionario avvenuto nella borsa statunitense nel corso del 1929: un evento storico, che ha contribuito alla Grande Depressione degli anni ’30, durata circa 10 anni, in grado di colpire i Paesi industrializzati e quelli non industrializzati in molte parti del mondo.
Grande depressione: il crollo del mercato azionario
Durante la metà e la fine degli anni ’20, il mercato azionario degli Stati Uniti subì una rapida espansione. Continuò per i primi sei mesi dopo l’inaugurazione del mandato amministrativo del presidente Herbert Hoover, nel gennaio 1929, facendo toccare nuovi massimi alla piazza finanziaria.
I prezzi delle azioni salirono a livelli straordinari nel grande movimento dei tori, e gli investitori, dai magnati delle banche e dell’industria ai privati risparmiatori, si precipitarono a investire i propri fondi nei titoli azionari, da vendere poi per poter monetizzare con profitto. Miliardi di dollari vennero utilizzati sul fronte azionario: le banche utilizzarono il proprio denaro per poter guadagnare margini da queste attività, mentre i risparmiatori migrarono in massa i propri risparmi da safe haven al mercato azionario, a volte anche ipotecando le proprie case. Il risultato, unitamente a un trade in margine particolarmente spinto, fu la conduzione del Dow Jones Industrial Average a un picco di 381 punti a settembre.
Da questo momento, i prezzi hanno cominciato a diminuire, con una maggiore incisività nel mese di ottobre. Tuttavia, nonostante gli avvertimenti su quanto fossero deboli i fondamentali di questo castello di carte, la speculazione è continuata, alimentata in molti casi da individui che avevano preso in prestito denaro per acquistare azioni, una pratica che poteva essere sostenuta solo fino a quando i prezzi delle azioni erano portati a salire.
Il 18 ottobre 1929 il mercato entrò in caduta libera, e la corsa sfrenata per acquistare azioni cedette a una altrettanto selvaggia corsa alla vendita. Il primo giorno di vero panico, il 24 ottobre, è conosciuto come il giovedì nero: in quel giorno furono scambiate 12.9 milioni di azioni, mentre gli investitori si affrettarono a ridurre le loro perdite. Le perdite dellindice Dow furono comunque contenute dal fatto che un vasto numero di grandi banche e di società di investimento acquistarono importanti blocchi di azioni in uno sforzo (in buona parte riuscito) di arginare il panic selling. I tentativi però non durarono a lungo, e non riuscirono a sostenere in modo consolidato il mercato.
Il panico iniziò dunque di nuovo nel lunedì nero (28 ottobre), con la chiusura del mercato in calo del 12,8%. Il martedì nero (29 ottobre) vide lo scambio di più di 16 milioni di azioni, con una flessione del Dow Jones Industrial Average di un altro 12%, chiudendo a 198 punti, con una contrazione di 183 punti in meno di due mesi.
I titoli che un tempo erano privilegiati crollarono. General Electric perse 180 punti, American Telephone and Telegraph ne perse 100, DuPont passò da un picco estivo di 217 a 80, US Steel da 261 a 166, Delaware and Hudson da 224 a 141, e azioni ordinarie di Radio Corporation of America (RCA) da 505 a 26. Responsabili politici e finanziari inizialmente interessati a trattare la questione come un semplice spasmo nel mercato, gareggiarono tra di loro nellelargire affermazioni rassicuranti. Il presidente Hoover e il segretario al Tesoro Andrew W. Mellon aprirono poi la strada a previsioni ottimistiche sul fatto che i business fossero “fondamentalmente solidi” e che una grande ripresa fosse “dietro l’angolo”. Eppure, salvo qualche tentativo di rimbalzo, passarono ben 20 anni prima che la media Dow riguadagnasse abbastanza slancio per superare il livello di 200 punti, ben al di sotto dei picchi ante crisi.
Molti sono i fattori che hanno probabilmente contribuito al crollo del mercato azionario. Tra le cause più importanti vi era il periodo della speculazione dilagante (coloro che avevano acquistato azioni a margine non solo perdevano il valore del loro investimento, ma dovevano anche del denaro alle entità che avevano concesso i prestiti per gli acquisti di azioni), la restrizione del credito da parte della Federal Reserve (nell’agosto 1929 il tasso di sconto è stato portato dal 5% al 6%), la proliferazione di holding e fondi di investimento (che tendevano a creare debito), una moltitudine di grandi prestiti bancari che non potevano essere più liquidati, e un recessione economica iniziata all’inizio di quellestate.
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