Mentre il prezzo del Bitcoin mostra di avere la forza per restare sopra i 45mila dollari, i miners sono alle prese con un personale dramma che ha avuto poco eco se non sui media specializzati. In questo post parleremo proprio dei problemi attuali dei miners. Il metro che ci consente di misurare queste difficoltà è rappresentato dall’andamento dell’hashrate del network Bitcoin (unità di misura della potenza di calcolo) che proprio questa mattina ha raggiunto nuovi preoccupanti picchi.
Oggi 13 agosto, infatti, il livello di difficoltà per procedere con l’estrazione di Bitcoin, misurato attraverso hashrate, ha messo a segno un incremento del 7,3 per cento.
Cosa significa questo parametro? In poche parole per procedere con l’estrazione di Bitcoin è necessaria una potenza di calcolo del 7,3 per cento più alta rispetto al fabbisogno precedente.
Maggiore hashrate e quindi più potenza di calcolo implicano un consumo più alto di energia (con buona pace delle tante dissertazioni sul Bitcoin green). Tutto questo ha ovviamente delle conseguenze sulla redditività di tutta l’attività di mining e quindi sui profitti dei minatori. Non c’è nulla di cui meravigliarsi se la redditività del mining sia tornata a calare. In poche parole fare mining è meno redditizio che in passato anche se il livello di difficoltà resta comunque più basso rispetto a quello che era stato raggiunto a marzo 2021 prima dell’avvio della stretta cinese di cui parleremo nel prossimo paragrafo.
Prima di procedere con la trattazione dell’argomento del post, ricordiamo che la questione dei profitti derivati dall’attività di mining interessa marginalmente chi è preferisce investire in Bitcoin attraverso strumenti derivati come ad esempio i CFD (Contratti per Differenza). Per conoscere questo modo più semplice per comprare Bitcoin, oggi c’è una straordinaria opportunità: la possibilità di fare pratica gratuitamente con il conto demo offerto dal broker eToro (qui la recensione). Per attivare l’account virtuale è necessario seguire il link in basso.
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Mining Bitcoin: gli effetti della stretta cinese
Il crollo della redditivà che i miners hanno subito ha praticamente riportato con i piedi per terra i minatori. Gli estrattori di Bitcoin, infatti, erano da mesi in euforia per l’incremento della loro capacità di accumulare BTC in modo più rapido. Tutta ebbe inizio con la decisione della Cina di varare una stretta sull’attività di mining.
Da quel momento, la difficoltà di estrarre Bitcoin è calata del 40 per cento consentendo ai miners di estrarre criptovaluta non solo più facilmente ma anche in modo più rapido. Grazie a questa “agevolazione” la reddività garantita dall’estrazione ha registrato un aumento che è durato fino a poche settimane fa quando l’hashrate del network Bitcoin è appunto tornato a salire determinando maggiore consumo di energia e quindi minore redditività.
L’incremento in atto del livello di hashrate ha messo fine alla “festa cinese”. Le ragioni di questa brusca inversione di rotta sono due: la decisione di molte società cinesi di spostarsi in altri paesi per riaprire le farm e aggirare in questo modo la repressione di Pechino e la mossa di società straniere del settore che, approfittando della repressione cinese, hanno scelto di incrementare la loro capacità estrattiva acquistando uovi Asic (dispositivi che vengono usati per il mining della criptovaluta).
Qualcuno, pochi mesi fa, diceva che la repressione cinese del mining alla fine sarebbe stata un boomerang. Forse non si sbagliava.
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