I guadagni ottenuti dal Bitcoin vanno inseriti nella Dichiarazioni dei Redditi? Questa domanda, completamente inedita rispetto al passato, ha iniziato a rimbalzare sul web non appena l’Agenzia delle Entrate ha reso disponibile il cosiddetto 730 precompilato ossia la Dichiarazione dei Redditi Persone Fisiche 2018. L’interrogativo sulla necessità o meno di dichiarare i profitti dei Bitcoin nella Dichiarazione dei Redditi ha trivato risposta grazie ad uno specifico interpello che su questa questione è stato posto all’Agenzia delle Entrate. 

Con una risposta, non pubblica, l’Agenzia delle Entrate ha stabilito che il bitcoin e più in generale tutte le criptovalute, vanno monitorati nel quadro RW del modello Redditi PF 2018 se sono detenuti al di fuori del circuito degli intermediari residenti. L’AF ha quindi affermato che anche le monete virtuali ricadono nell’obbligo di essere inserite in Dichiarazione dei Redditi secondo le disposizioni della risoluzione 72/E/2016 con la quale le pvalute virtuali sono state assimilate a quelle estere.

Il significa e le implicazioni pratiche della risposta fornita dell’Agenzia delle Entrare è quindi molto chiaro: se hai detenuto criptovalute nel corso dell’anno 2017, dovrai compilare il quadro RW della Dichiarazioni dei Redditi 2018. Ma risposta dell’AE all’interpello sul Bitcoin e sulle criptovalute non si è fermata qui. Nello stesso documento, infatti, sono anche presenti importanti precisazioni sui profili Irpef e Ivafe. Rispetto alla risposta formita in merito all’obbligo di inserimento dei Bitcoin in dichiarazione, in questo caso la risposta fornita dall’Agenzia delle Entrate non ha chiarito i dubbi operativi anche in chiave RW.

Ai fini Irpef, l’Agenzia delle Entrate, citando la risoluzione 72/E ha ribadito che le valute virtuali se sono detenute al di fuori del regime di impresa generano un reddito diverso tassabile secondo i principi che regolano le operazioni aventi a oggetto valute tradizionali. Rientra in questo ambito la conversione di bitcoin con altra valuta virtuale realizzata per effetto di una cessione a termine oppure a pronti se la giacenza media dell’insieme dei “wallet” detenuti dal contribuente, ha superato il controvalore di 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi. L’Agenzia delle Entrate ha stabilito che la giacenza va calcolata sulla base del rapporto di cambio al 1° gennaio che deve essere rilevato sl sito dove il contribuente ha acquistato la valuta virtuale o in assenza di questo sul sito dove il contribuente ha effettuato la maggior parte delle operazioni. L’Agenzia delle Entrate ha stabilito che la plusvalenza (al netto di eventuali minusvalenze scomputabili) va inserita nel quadro RT, utilizzando il criterio Lifo in caso di vendite parziali, liquidando la relativa imposta sostitutiva del 26%.

IL dubbio sull’interpretazione data in materia dall’Agenzia delle Entrate sorge laddove ai fini Ivafe, andando in senso opposto all’assimilazione tra wallet e depositi presente invece nelle disposizioni ai fini Irpef, l’AE ha precisato che le criptovalute non sono soggette a tassazione in quanto l’imposta si applica esclusivamente ai depositi e conti correnti di natura bancaria. 

La risposta fornita dall’Agenzia delle Entrate nella parte relativa a Irpef e Ivafe spiega si ma genera anche altri interrogativi nel senso che non si può affermare che essa contribusce a portare chiarezza. In particolare le domande che restano aperte sono le seguenti: l’obbligo di RW c’è a prescindere dal realizzo di un reddito imponibile nel periodo di imposta di riferimento? E ancora è applicabile la soglia di 15mila euro prevista per depositi e conti correnti bancari?

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