Dallo scorso anno i funzionari della Banca Popolare Cinese sono al lavoro per poter comprendere come funzionano i più grandi exchange criptografici del Paese e, in particolar modo, se le regole sull’identificazione dei trasferimenti di denaro e di controllo del capitale fossero pienamente rispettate.

L’occasione è stata naturalmente utile per poter permettere alla Banca di comprendere quanto fosse effettivamente ampio e significativo il trading di criptovalute in Cina, come funziona, da dove viene il denaro, dove va, come fanno gli utenti a prelevare denaro, e così via. Non è un caso che la Banca ha anche richiesto informazioni sul volume degli scambi e sui numeri degli utenti degli exchange.

Un simile quadro collaborativo sembrava aprire le porte al lancio di una disciplina che potesse regolamentare l’industria (un elemento su cui molti exchange non avrebbero avuto molto da ridire in termini di preoccupazione), con l’arrivo dell’inverno qualcosa è cambiato. E, in particolare, l’annuncio che la Banca centrale stava bandendo le prime offerte di monete (Ico) e chiudendo il mercato degli scambi tra valute fiat e criptovalute.

Insomma, quelle indagini che originariamente sembravano avere delle intuizioni condivise, alla fine sembrano aver spianato la strada alla chiusura definitiva degli exchange, cosa che ha seriamente compromesso gli scambi di criptovalute nel Paese.

In un’intervista precedente con CoinDesk, il fondatore e CEO dell’exchange Huobi, Leo Li, ha riferito che i volumi di negoziazione sono drammaticamente calati dall’applicazione delle nuove regole. Eppure, come più volte sottolineato dalla stampa internazionale, proprio gli exchange come Huobi hanno continuato a prosperare, trovando nuovi modi per far crescere i propri business. Ma come?

Come risulta evidente, due dei più grandi exchange cinesi all’epoca, Huobi e OKCoin, hanno continuato ad accumulare talmente tante offerte ancora oggi si collocano tra i primi 10 al mondo per volume di scambi con Huobi Pro e OKEx, due piattaforme che ora scambiano solo criptovalute. CoinDesk rammentava anche come il Gruppo Huobi avesse più che raddoppiato il proprio personale a più di 400 unità, segnalando un forte impegno anche di fronte a un quadro normativo più restrittivo. Negli ultimi mesi, la società ha aperto uffici a Hong Kong, Singapore, Corea del Sud e negli Stati Uniti.

Attraverso partnership con il gruppo giapponese SBI e un partner non specificato in Corea del Sud, Huobi si aspetta inoltre che i nuovi exchange in questi Paesi siano operativi entro marzo, e a San Francisco, il nuovo ufficio dell’azienda si sta concentrando sulla ricerca e sulla promozione delle startup blockchain. Huobi ha anche assunto esperti di conformità, suggerendo un possibile lancio di servizi crittografici negli Stati Uniti. Insomma, un quadro ben più diversificato e complesso di quanto potesse inizialmente apparire.

Peraltro, per raggiungere i propri obiettivi, Huobi ha anche pensato di lanciare un proprio token, HT, che funziona sulla blockchain Ethereum, al fine di fidelizzare la propria utenza e apportare entrate aggiuntive al proprio business. Invece di seguire il modello ICO, che la maggior parte delle startup ha modo di approcciare (i token vengono venduti agli investitori interessati), Huobi ha preferito distribuire i token come regalo (gratuito) agli utenti che acquistano pacchetti di servizi sulla sua piattaforma.

E così, nelle prime due settimane di vita dall’annuncio dei token HT, gli investitori hanno comprato 300 milioni di dollari di servizi prepagati, che Huobi Pro è stato in grado di raccogliere in anticipo. In seguito al lancio del proprio token, Huobi Pro ha poi annunciato un nuovo exchange denominato HADAX, che consente agli investitori di votare con HT su quali nuove risorse di criptovaluta vogliono essere quotate per la negoziazione sulla piattaforma. Secondo i dati di Huobi, a partire dal 24 febbraio, la piattaforma HADAX ha raccolto 8,5 milioni di HT da 104.308 utenti che hanno effettuato un totale di 85 milioni di voti per 75 diverse risorse crittografiche.

In altri termini, i provvedimenti della Banca hanno sì aggiunto degli ostacoli al business criptovalutario, ma ha anche spinto gli exchange a diversificare le proprie attività, e a seguire nuove strade di sviluppo.

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