La nuova criptovaluta del Venezuela è un piano ingegnoso per eludere le sanzioni statunitensi? O si rivelerà un fallimento annunciato? È questo il bivio concettuale che molti analisti stanno affrontando in queste settimane, chiedendosi se effettivamente il Petro possa o meno essere una componente di successo nella particolare strategia monetaria venezuelana.

Il lancio della valuta, in corso in queste ore, arriva d’altronde nel ben mezzo di una profonda crisi economica, e di un contestuale giro di vite sulle libertà democratiche che hanno lasciato il governo socialista del presidente Nicolás Maduro politicamente isolato, oltre che tagliato fuori dalla maggior parte dei finanziamenti internazionali.

Di qui, la volontà di correre ai ripari mediante i “petro token”, che lo stesso Maduro afferma siano direttamente “coperti” dal petrolio: in particolar modo, il governo vuole emettere circa 100 milioni di token Petro del valore di 6 miliardi di dollari, ancorando la loro sostenibilità proprio sul greggio, di cui il Paese è particolarmente ricco.

Nelle intenzioni dell’esecutivo, il Petro dovrebbe essere progettato per divenire una valuta forte e affidabile, da utilizzarsi come metodo di pagamento per i fornitori stranieri, ora che la maggior parte delle transazioni sono state ostacolate dalle sanzioni finanziarie imposte da Washington. Tuttavia, alcuni analisti vedono in realtà il Petro come una mossa disperata per assicurarsi denaro in un contesto di crollo economico senza precedenti, causato principalmente dalle politiche del governo.

I venezuelani stanno oggi soffrendo una diffusa carenza di cibo, una iperinflazione che potrebbe raggiungere il 13.000% quest’anno (secondo il Fondo Monetario Internazionale) e un drastico calo di valore della moneta tradizionale, il Bolívar. Dunque, il Petro potrebbe essere una via di uscita dalle difficoltà e, in tal senso, l’opposizione politica non ha certo perso tempo nel sottolinearlo, dichiarando illegale la valuta poiché, a propria detta, il legislatore dovrebbe approvare qualsiasi prestito monetario, con un passo che Maduro ha ignorato.

I critici prevedono insomma che il Petro potrebbe diventare praticamente inutilizzabile, con evidente disperazione di chi nel frattempo se ne sarà impossessato. Creare valute digitali stabili con una capacità di resistenza costante richiede fiducia e trasparenza, sostengono i principali osservatori, lamentando poi che si tratta di qualità che sono praticamente assenti in questo progetto.

Il Petro verrebbe infatti emesso da una banca centrale che ha contribuito a generare iperinflazione con un’altra valuta, quella principale, il Bolívar. Di qui, l’evidente mancanza di fiducia nei confronti di una banca centrale che non è nemmeno riuscita a conservare il valore della moneta tradizionale. Un altro problema è che l’emissione iniziale di Petro sarà sostenuta dal petrolio presente nel blocco di petrolio di Ayacucho 1 in Venezuela, nella cintura petrolifera dell’Orinoco nell’est del Venezuela. Tuttavia, questo petrolio deve ancora essere pompato, e deve essere estratto mediante il ricorso a una joint venture in cui il governo detiene una quota del 60%.

Il mese scorso, il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha messo in guardia dagli investimenti nel Petro, qualificandoli come una sostanziale estensione del credito al Venezuela e, dunque, potenzialmente in grado di violare le sanzioni messe in atto lo scorso agosto 2017. Tuttavia, il governo Maduro sta facendo pressioni in senso opposto, aprendo un apposito registro per i miners e ribadendo pubblicamente di ritenere che il Petro sarà un successo strepitoso.

Chi avrà ragione?

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