L’industria fossile continua a puntare verso un’ulteriore crescita, nonostante la strategia ideata per cercare di arginare la crisi climatica preveda proprio una drastica riduzione della nuova produzione di carbone, petrolio e gas.
L’obiettivo di crescita riguarda la maggior parte delle compagnie fossili e se questi progetti dovessero andare tutti in porto, allora assisteremmo ad un aumento delle emissioni di circa 115 miliardi di tonnellate di anidride carbonica equivalente (Gt CO2e).
Questo dato equivale a circa il 20% del budget complessivo che, nello scenario più ottimistico, ci resta prima di sforare la soglia degli 1,5° C.
Parliamo di una quantità che è pari a cica 30 volte le emissioni annuali di tutta Europa. Inoltre, anche senza il raggiungimento di questi obiettivi di crescita, le emissioni fossili divorerebbero tutto il carbon budget in soli 15,5 anni.
A fornire questo dato è l’ong tedesca Urgewald, che, assieme a circa 50 altre associazioni della società civile, monitora costantemente l’industria fossile tramite la Global Oil & Gas Exit List (Gogel).
Questa lunga lista comprende più di 900 compagnie oil & gas, che corrispondono a circa il 95% delle emissioni globali del settore. Ad oggi, ben 655 delle 685 upstream presenti su Gogel (vale a dire circa il 96% di queste) ha dei piani di espansione per il futuro.
Inoltre, dal 2021 ad oggi i piani a breve termine sono aumentati di oltre il 20%. Questi dati confermano l’effetto della crisi energetica e del forte bisogno di gas dell’Ue, dopo l’addio quasi definitivo al gas proveniente da Mosca.
Infatti, proprio per questo motivo, attualmente 512 compagnie petrolifere e del gas stanno pensando o hanno già adottato delle misure attive per portare la propria produzione a 230 miliardi di barili di petrolio equivalente (bboe) di risorse non sfruttate entro il 2030.
I progetti presentati dalle compagnie per la loro futura espansione però non riguardano solamente il breve termine. Infatti quasi 300 delle compagnie monitorate da Gogel hanno già avviato dei progetti per la costruzione di nuovi gasdotti, oleodotti e terminal Gnl.
Infatti è proprio il gas naturale liquido (Gnl) il protagonista di tutte queste manovre. Secondo una recente analisi condotta da Urgewald, a partire dal 2022 sono previsti, o in fase di sviluppo, dei nuovi terminal di importazione ed esportazione di gas naturale liquido, con una capacità totale di 1.391,5 milioni di tonnellate all’anno (Mtpa).
Ma quali sarebbero le conseguenze di tutto ciò? “L’aumento della capacità di esportazione del Gnl, se pienamente utilizzato, produrrebbe ogni anno una quantità di gas serra quasi doppia rispetto a tutte le centrali elettriche a carbone in funzione in Nord America, Sud America, Europa e Africa”, sottolineano le ong.
Più della metà della nuova capacità Gnl è in costruzione negli Stati Uniti e nel Canada, mentre la quota europea raggiunge appena il 20%. Lucie Pinson, dell’ong Reclaim Finance che contribuisce a Gogel, ha affermato: “il gas liquefatto è un problema solido e una falsa soluzione“.
“I progetti appena pianificati arriveranno troppo tardi per risolvere la crisi energetica dell’Europa. Ma ci costringeranno a un futuro ad alto contenuto di carbonio e comporteranno gravi rischi di stranded assets. Le istituzioni finanziarie private devono riconoscere la loro responsabilità e ritirare il loro sostegno ai nuovi progetti di infrastrutture fossili“.
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