Da ieri, 6 giugno, fino al 16 giugno 2022 a Bonn si svolgerà la pre-conferenza della COP27 e i temi da affrontare sono parecchi e abbastanza complicati.
Come fare per accelerare l’agenda climatica globale? Quali strategie adottare per evitare che i conflitti armati in Ucraina frenino l’azione contro il riscaldamento globale? E ancora, quale potrebbe essere un possibile punto di incontro tra Paesi ricchi e Paesi più svantaggiati sulla finanza climatica?
Quello dei prossimi giorni è un appuntamento tecnico ma di fondamentale importanza, poiché proprio sui risultati di questo incontro si potrà iniziare a misurare il livello di ambizione che ci si può aspettare a Sharm el-Sheikh il prossimo novembre.
I punti da affrontare a Bonn
L’incontro che si tiene in Germania è il primo dalla fine della conferenza di Glasgow dello scorso anno e qui si incontrano i due Subsidiary Bodies, ossia gli enti tecnici responsabili dell’implementazione dell’accordo di Parigi.
Inoltre questo evento rappresenta il primo ed estremamente importante incontro nel processo delle COP che si tiene dopo la pubblicazione dell’Assessment Report 6, ossia l’ultimo aggiornamento dell’IPCC in cui vengono riassunte e consolidate le scienze del clima più recenti e valide.
L’incontro che si terrà in questi giorni a Bonn dovrà quindi partire proprio da questi report IPCC. Il messaggio del Panel intergovernativo in merito al cambiamento climatico è decisamente chiaro: le azioni per il clima a livello globale devono essere accelerate, oppure non ci sarà alcuna possibilità di tenere il riscaldamento globale entro gli 1,5 gradi centigradi, e forse nemmeno di rispettare la soglia dopo un eventuale sforamento temporaneo.
COP26, quali sono i progressi fatti dopo il patto sul clima di Glasgow?
Tenendo conto dell’urgenza della situazione attuale, la COP27 non può che riprendere il percorso là dove la COP26 l’ha lasciato, vale a dire con moltissime promesse, quasi nessuna delle quali realmente mantenuta da novembre ad oggi.
Il compito dei due Subsidiary Bodies, ossia l’SBI (Subsidiary Body for Implementation) e l’SBSTA (Subsidiary Body for Scientific and Technological Advice), e quindi quello di fare il punto sui progressi che sono stati fatti dalla COP26, tenutasi a Glasgow lo scorso novembre, ad oggi.
I progressi però sono ben pochi. Basti pensare che solamente 11 Paesi, su 196, hanno effettivamente presentato dei nuovi piani climatici. Per quanto riguarda il carbone, poi, il numero dei Paesi che pianificano l’apertura di nuove centrali è diminuito, ma la potenza installata, trainata principalmente dalla Cina, è destinata ad aumentare.
Basandoci su questi dati, è chiaro che il “phase down” promesso a Glasgow è ancora decisamente lontano. Per quanto riguarda la deforestazione la situazione è addirittura peggiore. In Brasile, ad esempio, il tasso di logging è alle stelle, anche se Bolsonaro ha promesso zero abbattimenti entro il 2028.
Infine, anche sul tema della finanza climatica non è stato fatto quasi alcun progresso. I Paesi ricchi infatti devono ancora raggiungere quota 100 miliardi di dollari all’anno, e lo faranno solamente nel 2023, vale a dire con 3 anni di ritardo.
Gli ostacoli al raggiungimento degli obiettivi
Uno degli ostacoli principali dei negoziati è dato dai conflitti armati in corso in Ucraina. La guerra infatti rischia di incrinare anche la diplomazia climatica. Il problema principale di cui tutti sono a conoscenza ma che allo stesso tempo tutti ignorano, è la crisi energetica globale e le sue ramificazioni, a cominciare dai prezzi dei generi alimentari di base.
In una situazione simile diventa sempre più difficile chiedere nuovi sacrifici agli Stati. L’Europa si prepara a partecipare alla COP27 con una dipendenza minore dalle fossili russe, ma non dalle fossili in generale.
Inoltre molte delle azioni intraprese in questi mesi per far fronte all’emergenza energetica dovuta alla guerra, non fanno che indebolire l’azione per il clima di Bruxelles, oltre che a ridurre la credibilità dell’intero continente al tavolo dei negoziati.
A tutto ciò si aggiunge anche l’incognita “Cina“. Pechino ha lanciato diversi segnali che lasciato intendere un forte fastidio per l’azione intrapresa da Putin in Ucraina, ma il Paese si è guardato bene dal condannare apertamente questi conflitti.
Sarà proprio questa ambiguità ad essere sfruttata al tavolo dei negoziati della COP27. Questa decisione non è vista di buon occhio dagli Stati Uniti, che non approvano la scelta di Pechino.
Stati Uniti e Cina hanno un peso rilevante sull’azione climatica globale, quindi una mancanza di intesa tra questi due Paesi potrebbe compromettere il raggiungimento di risultati soddisfacenti durante la COP in Egitto.
Agenda COP27 di Sharm el-Sheikh
Il nodo più difficile da sciogliere sembra essere quello della finanza climatica. Il gruppo LMDC (Like-Minded Developing Countries) ha chiesto di aggiungere in agenda il dialogo sui loss & damage (L&D) e il dialogo sull’obiettivo, a livello globale, sull’adattamento.
Si tratta quindi di dossier che puntano a quantificare gli aiuti che i Paesi più ricchi dovrebbero fornire ogni anno per i danni provocati fino ad oggi dal cambiamento climatico e per le necessarie misure di adattamento, in favore dei Paesi più poveri che hanno delle responsabilità minori, se non nulle, sul global warming.
Inoltre a Bonn si parlerà di come fare per rendere finalmente operativo il network da cui passerà tutto il negoziato sui L&D, ossia il Santiago network on loss & damage.
L’organo in questione è stato creato alla COP25 di Madrid e lo scorso anno, a Glasgow, ha ricevuto l’ok sulle sue regole di funzionamento (l’unico passo avanti sul tema compiuto dalla COP26 ad oggi).
Infine si discuterà anche del perimetro della finanza climatica post 2025. Il problema principale in questo caso è definire l’entità dell’impegno annuale, che dovrebbe essere di circa 1-2.000 miliardi di dollari, ossia circa 10 volte in più rispetto al livello attuale, e quali risorse dovrebbero essere conteggiate a questo fine.
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