Eni si è stabilita sul suolo russo circa 60 anni fa, quando la compagnia ha iniziato ad importare il primo greggio in Italia.

Da allora la rete dei suoi investimenti nel Paese e di accordi con società russe è cresciuta notevolmente, ma ora la sua presenza potrebbe diventare meno assidua. Ma Eni non è la sola. Vediamo quindi quali sono gli ultimi annunci succedutisi negli ultimi giorni riguardo la presenza di società europee in Russia.

Già all’inizio della settimana, come forma di condanna verso le azioni della Russia, alcuni giganti del settore petrolifero, come Shell e BP (tra l’altro non meno presenti in Russia di Eni), hanno affermato di voler tagliare definitivamente i ponti con le due principali società russe del settore, ossia Gazprom e Rosneft, entrambe sotto il controllo del Cremlino, ponendo così fine ad una serie di accordi nei comparti del greggio e del gas.

Fino a ieri sui social circolava una domanda da parte del mondo ambientalista e delle energie rinnovabili, ossia: perché dei giganti del settore, come Shell e BP, riescono ad uscire da Gazprom e Rosneft mentre Eni non lo fa? In altre parole “perché loro sì e noi no?”.

Ora però sembra che qualcosa si stia muovendo anche per Eni. Nella serata di ieri, l’Ansa ha riportato le dichiarazioni di uno dei portavoce del gruppo, secondo il quale “per quanto riguarda la partecipazione congiunta e paritaria con Gazprom nel gasdotto Stream, che collega la Russia alla Turchia, Eni intende procedere alla cessione della propria quota“.

Il portavoce ha poi aggiunto: “l’attuale presenza di Eni in Russia è marginale. Le joint venture in essere con Rosneft, legate a licenze esplorative nell’area artica, sono già congelate da anni, anche per le sanzioni internazionali imposte a partire dal 2014“.

Inoltre anche la francese TotalEnergies, nella serata di ieri, ha affermato di voler adottare le stesse sanzioni disposte dall’Europa e che “le attuerà indipendentemente dalle conseguenze (ancora in corso di valutazione) sulle proprie attività in Russia”.

La società transalpina ha poi sottolineato che “TotalEnergies non fornirà più capitali per nuovi progetti in Russia“.

La presenza di Eni sul suolo russo

Eni ha una partecipazione del 50% nel gasdotto sottomarino Blue Strem, il quale collega la Russia alla Turchia passando attraverso il Mar Nero, raggiungendo così un totale di 774 km su due linee con una capacità di trasporto totale pari a 16 miliardi di metri cubi all’anno.

Il sito di Eni ha poi spiegato che “Blue Strem, joint venture creata per vendere gas dalla Russia sul mercato turco, è un asset che genera un flusso stabile di ricavi operativi, grazie anche alla vendita a lungo termine dei diritti di trasporto associati”.

Inoltre Eni è anche partner di Rosneft per la realizzazione di progetti esplorativi nel Mare di Barents russo e nel Mar Nero. Inoltre fornisce gas all’ingrosso direttamente in Russia e per la precisione parliamo di 2,47 miliardi di metri cubi nel 2020.

Eni è poi attiva nel mercato russo al dettaglio, con una stazione di servizio completa di negozio, caffè ed autolavaggio, situata sulla strada di collegamento fra l’aeroporto Sheremetyevo di Mosca e il centro della città. Infine opera anche nel mercato all’ingrosso dei lubrificanti attraverso l’affiliata Eni Nefto.

La presenza di Shell e BP in Russia

La britannica BP e l’anglo-olandese Shell sono maggiormente presenti sul suolo russo rispetto ad Eni. BP ha però annunciato che venderà la sua quota del 19,75% in Rosneft, che attraverso una stima effettuata verso la fine dello scorso anno, dovrebbe avere un valore prossimo ai 14 miliardi di dollari.

Shell, invece, ha affermato che “uscirà dalle sue joint venture con Gazprom ed entità collegate”, per un valore complessivo di 3 miliardi di dollari. Inoltre le cessioni previste includono una quota del 27,5% nell’impianto di gas liquefatto “Sakhalin-II” ed una quota del 50% nella Salym Petroleum Development.

Infine Shell ha fatto sapere che terminerà anche il suo coinvolgimento nel progetto del gasdotto Nord Stream 2, nel quale detiene una quota pari al 10% del valore di 1 miliardo di dollari.

Come mai Eni tarda ad agire?

Il silenzio iniziale di Eni probabilmente può essere ricondotto a ciò che potremmo definire il “fattore-G“, dove G sta per “gas” e “gettito”.

Sostanzialmente BP e Shell non sono controllate da entità statali, ma sono espressioni di mercato di Paesi come l’Olanda e il Regno Unito, i cui Stati non hanno grosse partecipazioni dirette nelle società, da cui possono incamerare gettito sia come azionisti che come erario, e inoltre sono molto meno dipendenti dalle importazioni di gas rispetto al nostro Paese.

Ancora è da vedere in che modo si svilupperanno queste promesse di cessione da parte delle società europee in Russia, ma la titubanza di Eni può essere considerata l’ennesima dimostrazione della posizione di maggiore debolezza del sistema italiano rispetto agli altri Paesi europei.

L’unica soluzione per uscire da questa posizione strutturale di debolezza è puntare, in maniera altrettanto strutturale, sull’elettrificazione massiccia di quante più attività possibile, con il rafforzamento più rapido possibile delle reti di trasmissione e distribuzione, in modo da poter essere alimentate con capacità sempre maggiori di energia fotovoltaica ed eolica, senza però tralasciare lo sviluppo di biocarburanti per il trasporto verde e l’irogeno verde nella sostituzione di quello nero e grigio per settori di vitale importanza, come quello chimico e dei fertilizzanti.

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