La probabilità di contrarre il coronavirus non è solamente correlata alla questione dei vaccini, delle mascherine e dei gel disinfettanti. Un altro fattore molto importante da considerare è la qualità dell’aria che respiriamo ogni giorno.

Per chi è esposto a lungo termine ad aria fortemente inquinata, il rischio di contrarre il virus aumenta notevolmente. Si ritiene infatti che ogni microgrammo per metro cubo in più di PM2.5 comporta un aumento del 5% del tasso di infezione.

Tutto ciò, quindi, anche se si continua a restare al di sotto dei valori previsti dalla legge per la qualità dell’aria delle città italiane. Inquinamento atmosferico e coronavirus sono dunque collegati da un legame che va ben oltre l’aumento della trasmissibilità, che era già stato accertato nei mesi scorsi attraverso alcuni studi.

A rivelarlo ora è un nuovo studio condotto da Epidem, il Centro di Epidemiologia e medicina preventiva dell’Università dell’Insubria, sulla città di Varese e pubblicato recentemente sulla rivista Occupational & Environmental Medicine. Si tratta di dati molto importanti poiché vanno a consolidare quelli già ottenuti nelle analisi precedenti.

Giovanni Veronesi, professore di statistica medica e primo autore del lavoro, ha affermato: “nel nostro studio abbiamo seguito prospetticamente nel tempo ogni adulto residente nella città di Varese, l’ottava città più grande della Lombardia, vicino al confine con la Svizzera, dall’inizio del periodo di pandemia (ossia da febbraio 2020) fino a marzo 2021″.

I dati ottenuti non sono aggregati, come accade invece negli studi precedenti che rivelavano appunto un collegamento, ma sono relativi ad oltre 62mila abitanti della città. Inoltre i dati raccolti coprono un periodo di tempo più lungo, non fanno solo riferimento alle prime fasi dell’epidemia.

Il dato sul ruolo del particolato più sottile, il PM2.5, non è un’eccezione. Dei valori simili poi emergono anche per quanto riguarda altre forme di inquinamento atmosferico, come il PM10, l’NO e l’NO2. Attraverso questo studio è stato osservato che per ogni microgrammo in più nell’aria, i contagi crescono di 294 unità ogni 100mila abitanti.

Questi numeri “sono ancora più sorprendenti se si considera che l’esposizione media annua a PM2.5, PM10 e NO2 a Varese per l’anno 2018 (usato per l’analisi) era sostanzialmente inferiore ai limiti previsti dalla legge per la media annua di tali inquinanti“, sottolineano gli autori dello studio.

In seguito Marco Ferrario, co-autore della ricerca, ha aggiunto: “è noto che l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico aumento il rischio di malattie respiratorie e cardiovascolari. Presumibilmente, gli stessi percorsi sono coinvolti nel legame tra inquinamento atmosferico e incremento nei tassi di infezione da Covid-19″.

Al momento non è ancora certo ma ci sono parecchie prove a sostegno di questa tesi. Tuttavia gli esperti preferiscono aspettare l’arrivo di altri dati per poter definire come certo questo fatto.

“I nostri risultati da soli non sono in grado di stabilire il nesso di causa-effetto, ma forniscono la prima solida prova empirica in merito al legame finora solo ipotizzato che collega l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico con l’incidenza di Covid-19“, aggiunge infatti Ferrario.

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