Quasi tutto il mondo potrebbe registrare, già nel futuro a breve termine, un notevole aumento della temperatura e degli “anni sempre più caldi”.

Secondo un studio condotto dall’ETH di Zurigo e dal Climate Analytics, la responsabilità di tutto ciò non dovrebbe essere spartita equamente tra tutti i Paesi del mondo. Inoltre lo studio sottolinea e quantifica le responsabilità dei grandi emettitori nell’innalzamento della temperatura globale.

Secondo i negoziati climatici internazionali, ogni nazione deve partecipare attivamente alla lotta al cambiamento climatico proponendo un proprio piano di decarbonizzazione (NDC), definito in via del tutto autonoma.

Tuttavia, come sottolineano gli esperti, “recenti studi hanno evidenziato l’importanza di attribuire la responsabilità del cambiamento climatico ai principali emettitori al fine di quantificare meglio i contributi dei singoli Paesi al riscaldamento globale”.

Il gruppo che ha condotto lo studio si è dunque proposto questo come obiettivo, valutando per la prima volta il peso che Stati Uniti, Cina, Ue-27, Russia e India hanno nell’aumento della temperatura terrestre fino al 2030.

Gli scienziati che hanno condotto lo studio hanno impiegato un suite di modellazione avanzata del sistema terrestre per analizzare le emissioni storiche e gli NDC attualmente promessi dai vari Paesi (a partire da settembre 2021), e tradurli in cambiamenti climatici regionali previsti entro il 2030.

Il gruppo ha esaminato con maggiore attenzione i contributi dei primi 5 maggiori emettitori al riscaldamento globale su scala nazionale. Il tutto partendo dal 1991, anno in cui l’IPCC mise in guardia i vari governi dei danni provocati dall’attività dell’uomo, fino alla fine del decennio.

Il risultato dello studio è che senza il contributo dato solamente da questi 5 grandi emettitori, la percentuale di nazioni destinate a fronteggiare estremi di calore verrebbe addirittura dimezzata. “Secondo gli impegni attuali, si prevede che le loro emissioni cumulate dal 1991 al 2030 si tradurranno in un anno estremamente caldo ogni due entro il 2030 in un numero doppio di Paesi (92%) rispetto ad uno scenario privo della loro influenza (46%).

Lea Beusch, dell’Università ETH di Zurigo e autrice principale dello studio, ha affermato: “Penso che si tratti di un dato davvero molto importante perché generalmente parliamo di quantità astratte di emissioni, o di temperature mondiali che conosciamo ma non possiamo sentire. Il nostro lavoro mostra che in un periodo di tempo relativamente breve, le emissioni di queste cinque economie avranno un impatto sul calore estremo sperimentato in tutto il mondo entro il 2030“.

Beusch poi continua aggiungendo: “stiamo parlando di temperature medie annuali che si verificherebbero solo una volta ogni 100 anni in tempi pre-industriali e che oggi registriamo ogni 2 anni“.

Il dottor Alexander Nauels, di Climate Analytics e coautore dello studio, ha invece aggiunto: “i nostri risultati hanno rivelato che esiste un chiaro segnale di riscaldamento a livello nazionale attribuibile ai principali emettitori nelle proiezioni a breve termine”.

“Ciò naturalmente rafforza la necessità e l’immediato beneficio di rapide riduzioni delle emissioni da parte di questi emettitori”. In questo modo, afferma il dottore, i Paesi situati alle maggiori latitudini settentrionali potrebbero trarre il massimo profitto in termini di riscaldamento medio evitato, mentre l’Africa tropicale gioverebbe della minore frequenza di caldi estremi.

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