Il sistema elettrico nazionale del nostro Paese ha già troppa potenza da fossili. Sarebbe possibile spegnere circa 9 GW di centrali, arrivando così a risparmiare oltre mezzo miliardo l’anno, senza nemmeno il bisogno di rimpiazzare la capacità mandata così “in pensione” con nuovi impianti a gas.

Gli investimenti fatti negli impianti a gas, infatti, sono superflui ma incentivati dal capacity market, che non farebbe altro che farci restare dipendenti da questa fonte e quindi particolarmente esposti al rincaro dei prezzi come quello che si sta reistrando proprio in questo periodo.

In estrema sintesi è questo il messaggio indirizzato all’Italia che arriva da un’analisi del CREA (Centre for Research on Energy and Clean Air), condotta assieme ad un team di esperti di Transition Zero. Lo studio è stato intitolato “Ripe for Closure: Accelerating the energy transition and saving money by reducing excess fossil fuel capacity” ed analizza il fabbisogno energetico di tutti i Paesi europei.

Dai risultati di questa analisi è emerso che si potrebbero benissimo fermare, senza alcun rischio di ripercussioni per quanto riguarda gli approvvigionamenti, 48,8 GW di potenza termoelettrica distribuita in 9 Paesi membri, Italia compresa.

Il 77% della capacità che potrebbe essere mandata in pensione in questo modo riguarda centrali a carbone, mentre il resto è legato a impianti ad olio combustibile e in qualche caso a gas. Lo spegnimento di queste centrali, che corrispondono al 17% di tutta la potenza termoelettrica fossile d’Europa, secondo il rapporto porterebbe ad un risparmio di circa 2 miliardi di euro l’anno, tra costi fissi operativi e di manutenzione.

In particolare nel caso dell’Italia, secondo il rapporto (basato sui dati raccolti nel 2019) ci sono 8,7 GW di potenza da fossili in più rispetto a quanto necessario per soddisfare la domanda di picco, più una riserva del 15% aggiuntiva.

Nel rapporto infatti leggiamo: “un terzo del parco di generazione a carbone del Paese può essere considerata capacità ridondante, insieme a tutti i 5,9 GW di centrali a olio combustibile in esercizio”. Inoltre nel rapporto si legge che lo stop anticipato di questi impianti porterebbe ad un risparmio di circa 465 milioni di euro all’anno, di cui 346 milioni di euro deriverebbero solamente dal pensionamento delle centrali a carbone.

Per questo motivo gli autori del report ritengono che l’Italia farebbe bene a chiudere in anticipo questi impianti rispetto alla data fissata del 2025 e “dovrebbe anche evitare di costruire impianti a gas aggiuntivi per soddisfare la domanda futura, poiché questi impianti aumenterebbero solo la capacità ridondante sulla rete”.

Finisce poi sotto accusa il capacity market. Il documento infatti sottolinea che le aste “distorcono il mercato, favorendo impianti a gas nuovi ed esistenti, sostenendo lo sviluppo di nuove centrali fossili che altrimenti sarebbero antieconomiche”.

L’installazione dei 14 GW di nuovo gas prevista per il prossimo decennio “rischia di aumentare l’eccesso di capacità esistente e di incrementare ulteriormente la dipendenza italiana da costose importazione”, si legge sempre nel rapporto.

Grazie al capacity market i 5,8 GW di capacità a gas dovrebbero entrare in funzione già entro il 2023 e questo, secondo CREA, porterebbe a “11 miliardi di euro di stranded asset”, ossia di investimenti non recuperabili. Senza contare che aggiungere potenza al gas significherebbe “annullare la riduzione delle emissioni ottenuta” grazie allo stop al carbone entro il 2025.

E tutto ciò, avvertono gli esperti, “mentre le rinnovabili sono adatte a soddisfare il picco della domanda del Paese e dovrebbero avere la priorità come strumento per ridurre le emissioni”. RECommon è tra i primi a commentare il rapporto di CREA e afferma che l’analisi “smentisce palesemente il governo italiano” sul tema.

Secondo l’associazione, infatti, sia l’esecutivo che il gestore della rete in alta tensione hanno “un approccio troppo legato al passato, visto che Terna ha raccomandato l’installazione di circa 5GW di nuove centrali a gas per riserva”. Le nuove aste per il capacity market, previste per il 2024 o il 2025, per il momento sono state rimandate, anche se sicuramente non di molto.

RECommon poi avverte: “ancora una volta un attento esame dei numeri smentisce le lobby fossili che trovano ampio ascolto nel governo Draghi. Oltre che calmierare i sovrapprezzi nelle bollette elettriche (dovuti appunto al fatto di aver puntato esclusivamente ed in maniera piuttosto ottusa sul gas negli ultimi anni) un’autentica transizione ecologica che sia anche giusta richiederebbe di fermare subito le nuove centrali a gas senza se e senza ma”.

Questo contenuto non deve essere considerato un consiglio di investimento. Non offriamo alcun tipo di consulenza finanziaria. L’articolo ha uno scopo soltanto informativo e alcuni contenuti sono Comunicati Stampa scritti direttamente dai nostri Clienti.
I lettori sono tenuti pertanto a effettuare le proprie ricerche per verificare l’aggiornamento dei dati. Questo sito NON è responsabile, direttamente o indirettamente, per qualsivoglia danno o perdita, reale o presunta, causata dall'utilizzo di qualunque contenuto o servizio menzionato sul sito https://www.borsainside.com.