Durante la 76esima Assemblea generale delle Nazioni Unite, in corso a New York, Cina e Stati Uniti hanno annunciato un nuovo (e maggiore) impegno nella lotta ai cambiamenti climatici.
Il presidente cinese, Xi Jinping, ha infatti affermato che Pechino non finanzierà più la costruzione di nuove centrali a carbone in Paesi esteri, mentre il presidente americano, Joe Biden, ha dichiarato che gli Stati Uniti sono pronti a raddoppiare il loro contributo alla finanza per il clima destinata ai Paesi più poveri entro il 2024, arrivando così a circa 11,4 miliardi di dollari.
Entrambi gli obiettivi, però, rischiano di non essere raggiunti. Per quanto riguarda il caso della Cina, infatti, per il momento non sono ancora stati forniti i dettagli precisi su come e soprattutto quando dovrebbe essere attuata questa politica del “zero carbone estero“.
Cioè: verrà applicato in maniera indistinta a tutti i finanziamenti che provengono dalla Cina? Sia pubblici che privati? Inoltre, la nuova politica riguarderà anche i progetti già esistenti ma in fase di autorizzazione? Quindi gli interrogativi sono molti, cosa che contribuisce a far dubitare della fattibilità di questo progetto.
Come se non bastasse, la Cina non ha minimamente fatto riferimento a tutte le centrali a carbone che esistono già sul suo territorio. In altre parole, senza un impegno vincolante ad eliminare questa fonte fossile dal suo mix energetico interno, attraverso l’introduzione di una politica coal phase-out (come già fatto da molti altri Paesi), la Cina non acquisirà alcuna credibilità nella lotta ai cambiamenti climatici.
Ora, quindi, non resta che vedere quali saranno gli sviluppi fino alla COP26 di Glasgow, la Conferenza ONU sul clima che si terrà dal 31 ottobre al 12 novembre in Scozia. Va poi sottolineato che già nel 2020 la Cina aveva annuciato di voler raggiungere il picco massimo sulle emissioni di CO2 prima del 2030 e la neutralità carbonica entro il 2060, ma anche in quell’occasione i dati forniti sul “come” erano insufficienti.
Secondo Global Energy Monitor, poi, nel 2020 la crescita del carbone in Cina, con oltre 38 GW di nuovi impianti realizzati (il 76% del totale nel mondo), ha superato il valore delle centrali a carbone spente nel resto del mondo, per un totale di 37 GW.
Intanto la FirstRand, una delle più grandi banche africane con sede in Sudafrica, ha dichiarato che non finanzierà più la costruzione di nuove centrali a carbone per la produzione di energia elettrica e che, a partire dal 2026, smetterà anche di finanziare nuove miniere di carbone, entrando così a far parte della lunga lista di istituti finanziari globali impegnati a disincentivare l’utilizzo di questa fonte fossile altamente inquinante.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, invece, il presidente Joe Biden ha affermato che la sua amministrazione è al lavoro con il Congresso per portare da 5,7 a 11,4 miliardi di dollari gli aiuti finanziari destinati alle economie emergenti, al fine di favorire il processo di transizione anche nei Paesi più poveri.
Anche se si tratta di una piccola conquista, i fondi stanziati non sono poi così sostanziosi se si pensa che, secondo quanto emerso dalle analisi del World Resources Institute, citate dalla Reuters, l’Ue nel 2019 ha stanziato 24,5 miliardi di euro per la stessa causa.
Al Congresso Usa si valuta anche l’approvazione del maxi piano di investimenti proposto dalla Casa Bianca per rilanciare sia l’economia che l’industria. Il presidente Biden pare infatti concentrato su temi come: energie rinnovabili, mobilità elettrica e costruzione di infrastrutture più resilienti.
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