Subito dopo la presentazione del piano “Fit for 55“, proposto dalla Commissione europea per cerare di raggiungere tutti gli obiettivi climatici fissati per il 2030, è stato aperto un dibattito, che con molte probabilità verrà portato avanti ancora per molto, sulle conseguenze sociali ed economiche della transizione energetica in atto, che non sarà per nulla a costo zero.
Secondo alcune stime diffuse dalla Bce (Banca centrale europea), infatti, per raggiungere gli obiettivi fissati al 2030 saranno necessari degli investimenti annui molto elevati, di circa 330 miliardi di euro, a livello europeo. Le ricadute sia a livello sociale che sul mondo del lavoro saranno altrettanto ampie, perché diversi settori economici saranno costretti a compiere il processo di transizione energetica in un tempo estremamente breve e a ritmi mai visti negli ultimi 30 anni.
Perché questo progetto abbia successo, però, è anche necessario che la transizione sia il più giusta possibile, altrimenti verrà considerato un fallimento. Fin da subito sono necessari degli investimenti robusti nel campo della formazione e welfare, per riqualificare e sostenere gli attuali lavoratori, tenendo comunque conto che il saldo finale sarà più che positivo.
La Commissione europea ha infatti stimato che, se si dovessero raggiungere gli obiettivi, entro il 2030 ci sarà 1 milione di posti di lavoro “green” in più in tutta Europa. Il processo, dunque, non porterebbe solamente benefici per quanto riguarda il profilo climatico, ma anche nel profilo socioeconomico dell’intero continente.
Quali sono invece i costi dell’inazione?
Naturalmente verrebbero risparmiati i 330 miliardi di euro annui, ma non è un caso che in questo caso si parli di investimenti e non di costi. Investimenti, quindi, che serviranno ad evitare il tracollo economico, oltre che quello ambientale e sociale.
Il presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile e già ministro dell’Ambiente, Edo Ronchi, a tal proposito si è posto il seguente interrogativo: “ma quanto sta già costando, economicamente e socialmente, la crisi climatica all’Italia? Dove l’aumento medio delle temperature è superiore a quello globale, con ondate di calore sempre peggiori ed eventi atmosferici estremi sempre più numerosi ed intensi”.
“Nel 2019, infatti, in Italia ci sono stati 1.543 eventi atmosferici estremi, mentre nel 2009 appena 213. Nel 2018, poi, abbiamo avuto 1.024 “bombe d’acqua”, mentre nel 2008 ne sono state registrate 395“. Bisogna poi anche considerare che a livello europeo la stima dei costi legati agli eventi estremi (recupero, ricostruzione degli edifici, ecc..) continua a salire.
Il progetto di ricerca Titan, ideato dal programma europeo Espon e portato a termine solo di recente, ha infatti documentato che nel giro degli ultimi 20 anni, e più precisamente dal 1995 al 2017, eventi estremi come tempeste, alluvioni, terremoti e siccità hanno generato danni per un valore prossimo ai 77 miliardi di euro.
Di questa somma, 43,5 miliardi sono direttamente collegabili ai danni subiti da abitazioni e attività, mentre i restanti 33,4 miliardi derivano dai legami economici con le aree colpite. Estendendo invece il quadro d’osservazione agli ultimi 40 anni, dal 1980 al 2019, la stima dei danni secondo l’Agenzia europea dell’ambiente raggiunge i 446 miliardi di euro su tutto il territorio europeo.
Stilando una classifica dei Paesi maggiormente colpiti, l’Italia occupa il secondo posto in Europa, preceduta dalla Germania, a causa di perdite economiche per un totale di 72,5 miliardi di euro (ossia un equivalente di circa 1.254 euro procapite).
Si tratta dunque di costi destinati a salire velocemente se non si dovesse intervenire, poiché collegati alla dinamica del riscaldamento globale, che tra l’altro vede l’Italia tra i Paesi maggiormente esposti. Secondo le ultime stime pubblicate da Swiss Re per Oxfam, il nostro Paese rischia un impatto peggiore rispetto agli altri Paesi del G7, arrivando a perdere circa l’11,4% annuo del Pil entro il 2050.
Basti pensare che già a causa della pandemia da Covid-19, nel 2020 l’Italia ha perso “solamente” l’8,9% del suo Pil per capire l’entità dei danni che provocherebbe un blocco della transizione ecologica.
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