I tecnici della Commissione che hanno analizzato il Recovery Plan italiano hanno definitivamente posto una pietra tombale sul piano del Governo Draghi, che puntava al finanziamento della transizione ecologica dell‘ex Ilva di Taranto con i soldi del Next Generation Eu, attraverso una sola frase: “gli investimenti ell’idrogeno saranno limitati a quello verde e non conterranno idrogeno blu, né coinvolgeranno il gas naturale”.

Ora l’ultima parola spetta all’Ecofin del 13 luglio, ma per ottenere l’avallo preliminare di Bruxelles, il Governo italiano ha dovuto garantire che tutti i fondi ricevuti verranno utilizzati esclusivamente per l’idrogeno generato da fonti rinnovabili.

Questo ha però costretto a una sostanziale marcia indietro rispetto a quanto proposto con le schede progetto presentate il 30 aprile scorso all’Ue e qualche giorno dopo inviate anche al Parlamento. Ora, quindi, i fondi destinati a testare le potenzialità di questo combustibile e vettore energetico nelle industrie pesanti difficili da decarbonizzare, sono stati ridimensionati da 2 miliardi di euro ad “almeno 400 milioni”.

Ciò ha mandato in fumo i piani di Eni, che puntava a “recuperare” i soldi investiti per il suo progetto di cattura e stoccaggio della CO2 nei fondali del largo di Ravenna proprio sfruttando la necessità di produrre idrogeno blu, ossia quello generato utilizzando il metano.

Il piano del governo: utilizzo del metano solamente nelle prime fasi

Le intenzioni del governo sono dunque state riportate nero su bianco nel piano presentato lo scorso aprile a Bruxelles, dove si fa un esplicito riferimento all’idrogeno blu “a basse emissioni”, ossia prodotto dal gas per poi “catturare” la CO2 nel sottosuolo, tramite quindi il suo stoccaggio, e per il quale erano previsti circa 4 miliardi di investimenti.

La metà di questi fondi, in particolare, erano destinati a diversi progetti nei settori hard-to-abate, ossia quelli caratterizzati da un’elevata intensità energetica e dalla mancanza di soluzioni scalabili di elettrificazione, e cioè quello siderurgico, le raffinerie e la chimica. Il documento inoltre parlava di una “graduale sostituzione del carbone con il gas naturale, che a sua volta sarà sostituito, ove possibile, dall’idrogeno a basse emissioni di carbonio, e progressivamente con quello verde”.

Nelle circa 2.500 pagine, i cui sono contenute numerosissime schede e tabelle, veniva anche spiegato che “una valida alternativa sarebbe un progressivo switch all’idrogeno a basse emissioni”, poiché “nell’industria siderurgica primaria l’idrogeno rappresenta la sola alternativa zero carbon per la produzione di Dri (preridotto di ferro), che può man mano essere utilizzato per evitare le elevate emissioni legate agli altiforni”.

Secondo una prima stima, infatti, questo permetterebbe inizialmente di ridurre le emissioni di circa il 30%, mentre con l’idrogeno verde si potrebbe arrivare a una riduzione di circa il 90%. Il governo proponeva poi di finanziare il settore di ricerca e sviluppo per testare al meglio l’uso dell’idrogeno in siderurgia, utilizzando inizialmente metano poiché, “considerata la grande quantità di idrogeno necessario, non è possibile iniziare con un pieno utilizzo di idrogeno verde”.

Si tratta dunque di una conferma di quanto sostenuto recentemente anche dal ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, secondo il quale l’Italia deve puntare e “arrivare all’idrogeno verde, ma al momento non cè una produzione sufficiente, perché non ci sono rinnovabili a sufficienza”.

Inoltre erano previste due gare, una per aumentare l’uso dell’idrogeno nel comparto siderurgico e una per lo sviluppo di iniziative per i settori industriali che consumano maggiormente energia. Erano due anche gli stanziamenti, da 1,6 miliardi e da 400 milioni, che dovevano essere impiegati entro il 2026.

Dopo le trattative Ue calano i fondi

Di tutto ciò non resta quasi nulla nel documento di 566 pagine con i dettagli su riforme e investimenti pubblicato da Bruxelles sul sito della Commissione. Nell’allegato datato 22 giugno si legge: “il gas naturale non riceverà alcun finanziamento nell’ambito dei progetti legati all’utilizzo dell’idrogeno in settori Hard-to-abate. Questa misura deve sostenere la produzione di idrogeno verde elettrolitico a partire da fonti di energia rinnovabile ai sensi della direttiva (UE) 2018/2001 o dall’energia elettrica di rete”.

E’ prevista poi l’introduzione dell’idrogeno in almeno uno stabilimento industriale al fine di decarbonizzare settori hard-to-abate. Nel documento infatti si legge: “almeno 400 milioni di euro devono essere destinati a sostenere sviluppi industriali che consentano di sostituire il 90% dell’uso di metano e combustibili fossili” in un processo industriale con idrogeno green.

Tuttavia i progetti legati al metano e quindi all’idrogeno blu potrebbero trovare altri finanziamenti, come ad esempio il Fondo per l’innovazione europeo, a cui il progetto del Ccs di Ravenna è già candidato, ma la Commissione ha comunque lanciato un forte segnale. Inoltre va sottolineato che in questo modo i fondi stanziati con il Recovery plan non potranno essere utilizzati per l’ex Ilva di Taranto, per la quale ora si attende il nuovo piano di transizione ecologica ideato da Fincantieri e Paul Wurth.

La somma dovrà infatti essere spesa entro e non oltre il 2026 ed oggi i tempi sono tutt’altro che maturi per effettuare un passaggio immediato all’idrogeno verde.

L’Italia ha dovuto fornire garanzie aggiuntive

Nel working document dello staff, che accompagna la proposta dell’esecutivo Ue al Consiglio, sono presenti delle conferme a sostegno delle lunghe trattative intavolate proprio su questo punto. Nel capitolo in cui si valuta il rispetto del principio “do not significant harm“, secondo il quale nessuno dei progetti finanziati deve arrecare danni significativi all’ambiente, i tecnici hanno sottolineato che “sono state fornite garanzie aggiuntive sui veicoli a biometano e sull’idrogeno”.

Come auspicato dal gruppo dei Verdi al Parlamento europeo in una lettera indirizzata alla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e ai suoi vice, la “garanzia” chieste e in seguito ottenuta riguarda la completa esclusione di un passaggio intermedio che preveda l’utilizzo di idrogeno blu. Passaggio che invece il governo Draghi ritiene essere essenziale per poter consentire la decarbonizzazione dell’ex Ilva.

Su questo puntava anche Eni, che nel suo piano per raggiungere le zero emissioni entro il 2050 aveva previsto di utilizzare sia idrogeno blu che verde (senza però specificare in che percentuale) per alimentare le bio-raffinerie e tutte le altre attività industriali “energivore”.

La deputata Rossella Muroni, capogruppo di FacciamoECO alla Camera, ha commentato con “meno male che c’è l’Europa” quando Alessandro Runci, ricercatore e attivista di Re:Common, ha dato notizia su “Domani” del taglio dei fondi che con molte probabilità sarebbero stati destinati all’Eni.

“Assieme a molte associazioni ambientaliste avevamo criticato fin da subito lo sbilanciamento del nostro Piano nazionale di ripresa e resilienza sull’idrogeno al quale venivano assegnati circa 4 miliardi, ossia più fondi che alle rinnovabili, senza specificare se verde, grigio o blu“. Inoltre avevano denunciato anche “il pericolo che lo sbilanciamento sull’idrogeno insieme al protagonismo del gas e al fatto che il ministero Cingolani non lo escludesse esplicitamente, facesse rientrare dalla finestra quello che era già uscito dalla porta. Ossia il progetto Eni di cattura e stoccaggio della CO2 sui fondali al largo di Ravenna”.

Ora, quindi, non resta che rivolgere lo sguardo verso il fondo complementare e gli altri finanziamenti su cui il vincolo ambientale e il controllo europeo non siano così pronunciati.

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