Un recente studio condotto dalla Rockfeller University e pubblicato il 21 aprile sul New England Journal of Medicine, ha preso in esame due casi di reinfezione da Sars-CoV-2 in due soggetti precedentemente vaccinati e aventi entrambi ricevuto le due dosi, rispettivamente di Moderna e Pfizer. Inoltre la seconda dose risultava somministrata più di due settimane prima dell’esito positivo del tampone.
Come riportato da “Il Corriere”, i ricercatori hanno effettuato un monitoraggio costante all’interno della comunità dell’università su 417 soggetti vaccinati. Tra questi, poi, sono stati registrati due casi di reinfezione. Il primo riguarda una donna di 51 anni sana, senza fattori di rischio per Covid-19 grave, la quale ha ricevuto la prima dose di vaccino il 21 gennaio 2021 e la seconda il 19 febbraio.
Tuttavia, 19 giorni dopo la somministrazione della seconda dose, la donna ha cominciato a presentare dei sintomi riconducibili a Covid-19, tra cui mal di gola, congestione e mal di testa, e dopo aver effettuato il tampone, la donna è risultata effettivamente positiva per Sars-CoV-2. Stando a quanto riportato, però, i sintomi sarebbero spariti nel giro di una settimana.
Il secondo caso di reinfezione riguarda un’altra donna di 65 anni, anch’essa senza fattori di rischio, la quale aveva ricevuto la prima dose di vaccino il 19 gennaio 2021, mentre la seconda il 9 febbraio. Dopo oltre un mese, il 16 marzo, ha manifestato anch’essa dei sintomi riconducibili a Covid-19, come affaticamento, congestione e mal di testa persistente.
Il 17 marzo, poi, la donna è risultata effettivamente positiva per Sars-CoV-2, ben 36 giorni dopo aver completato il proprio ciclo vaccinale. Anche in questo caso i sintomi si sono stabilizzati in pochi giorni e intorno al 20 marzo hanno iniziato a risolversi.
A cosa sono dovuti i casi di reinfezione?
La prima donna possiedeva grandi concentrazioni di anticorpi neutralizzanti a seguito della vaccinazione, ma nonostante ciò è risultata nuovamente positiva. Quindi questo dato cosa indica? Si tratta di un dato molto importante perché suggerisce che la reinfezione sia avvenuta a causa di una variante Covid.
In seguito al sequenziamento del genoma del virus prelevato da entrambe le pazienti, sono state rilevate mutazioni multiple, che non è stato possibile attribuire ad una variante già conosciuta, ma le mutazioni sono comunque le stesse, come la E484K (identificata per la prima volta in Sud Africa e in Brasile e che sembra essere in grado di conferire una certa resistenza agli anticorpi neutralizzanti) e la S477N (diffusa a NewYork a partire da novembre scorso).
Date le numerose varianti in circolazione esiste, dunque, una data possibilità di reinfezione, ma in entrambi i casi esaminati, le pazienti sono guarite a casa e quindi questo dato supporta la tesi che le vaccinazioni contribuiscano a prevenire le forme più gravi di Covid-19.
Ad ogni modo è fondamentale sottolineare che gli individui vaccinati possono reinfettarsi e possono continuare a diffondere il virus. Anche se per il momento i casi riportati non sono molto elevati, ciò non esclude, dato questo presupposto, che un domani, data anche la continua diffusione di queste varianti, il dato non possa aumentare.
Vaccini, malattia lieve e potenziale diffusione
I ricercatori coinvolti nello studio hanno scritto in una nota: “l’idea che potremmo non avere più necessità di test nel mondo post-vaccino probabilmente non è accettabile in questo momento. Per quanto ne sappiamo attualmente, anche le persone completamente vaccinate che sviluppano sintomi respiratori dovrebbero prendere in considerazione di sottoporsi al test per Covid-19, e dovrebbero fare lo stesso in caso di esposizione a individui con infezione nota”.
Le conclusioni dello studio sostengono la tesi per cui sia necessario inserire una terza dose nel ciclo vaccinale per fornire a tutti una maggiore protezione e cercare di arginare la diffusione del virus e delle sue varianti.
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