A quasi 10 anni di distanza dall’incidente nucleare di Fukushima Daiichi, in Giappone, Greenpeace afferma che “è ancora contaminato l’85% dell’area speciale di decontaminazione“. L’associazione ambientalista ha infatti pubblicato in questi giorni due rapporti, intitolati “Fukushima 2011-2020” e “Decommissioning of the Fukushima Daiichi nuclear power station from plan-A to plan-B now, from plan-B to plan-C”, in cui vengono evidenziate le pesanti conseguenze del terremoto e dello tsunami dell’11 marzo 2011, sottolineando come “la tabella di marcia per lo smantellamento della centrale di Fukushima Daiichi è irrealizzabile e per questo serve un nuovo Piano”.
Shaun Burnie, senior nuclear specialist di Greenpeace East Asia, ha affermato: “i governi che si sono succeduti negli ultimi 10 anni, soprattutto quelli guidati dal primo ministro Shinzo Abe, hanno cercato di ingannare il popolo giapponese, mistificando l’efficacia del programma di decontaminazione e ignorando i rischi radiologici”. Burnie ha poi continuato affermando che il decennio degli inganni deve necessariamente finire: “un nuovo piano di smantellamento è inevitabile, non possiamo perdere altro tempo”.
Il primo rapporto esamina in maniera dettagliata i livelli raggiunti dalle radiazioni nelle città di Iitate e Namie, nella prefettura di Fukushima. Dai risultati delle prime analisi condotte, è emerso che tutti gli sforzi di decontaminazioni fatti fino ad ora sono stati del tutto insufficienti, perché ad oggi l’85% dell’area speciale di decontaminazione è ancora contaminata. Il secondo rapporto, invece, esamina in dettaglio l’attuale Piano ufficiale di smantellamento in 30-40 anni e, tra le righe, questo viene definito “un programma deludente e senza alcuna prospettiva di successo“.
Molti ricercatori di Greenpeace negli ultimi 10 anni hanno condotto ben 32 ricerche sulle effettive conseguenze del disastro di Fukushima, l’ultima delle quali risale a novembre 2020. I risultati non sono per nulla incoraggianti, infatti dalle analisi dei rapporti su Fukushima dal 2011 al 2020 è emerso che “la maggior parte degli 840 chilometri quadrati della SDA (Special decontamination Area), per cui il governo è responsabile della decontaminazione, rimane contaminata da cesio radioattivo. E’ indefinito il quadro temporale entro cui il livello obiettivo di decontaminazione a lungo termine del governo giapponese sarà raggiunto in molte aree. I cittadini saranno comunque esposti per decenni a radiazioni superiori al massimo raccomandato“.
Inoltre attualmente non ci sono piani concreti per la rimozione delle centinaia di tonnellate di detriti di combustibile nucleare che sono rimasti sia all’interno che sotto i tre contenitori a pressione del reattore. “La contaminazione dell’acqua usata per il raffreddamento dei reattori, delle acque sotterranee e di quelle successivamente accumulate nei reattori, continuerà ad aumentare nel futuro, a meno che non si adotti un nuovo approccio”.
“Tutto il materiale contaminato dovrebbe rimanere sul sito a tempo indeterminato. Se i detriti di combustibile nucleare verranno recuperati, anch’essi dovrebbero rimanere sul posto. Fukushima Daiichi è già e dovrebbe rimanere un sito di stoccaggio di rifiuti nucleari a lungo termine“.
Infine nei documenti si legge anche un breve tratto che analizza la situazione nei prossimi anni. Secondo gli autori, il Piano proposto per i prossimi 30-40 anni sarebbe del tutto irrangiungibile seguendo l’attuale tabella di marcia: “se l’obiettivo è di ritornare allo status di greenfield, è del tutto impossibile da realizzare“.
Per questo motivo Greenpeace invita a riconsiderare l’approccio utilizzato fino ad ora e di ideare un nuovo piano per lo smantellamento del sito di Fukushima Daiichi, “inclusa una revisione dei tempi di rimozione del combustibile fuso a 50-100 anni o più, con la costruzione di edifici di contenimento sicuri per il lungo termine“.
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