Mentre si attende l’approvazione da parte dei vari enti regolatori degli altri vaccini, arriva una news sulla possibile produzione “in house” del siero anti Covid-19 prodotto dalla casa farmaceutica AstraZeneca, in collaborazione con l’Università di Oxford. Secondo quanto affermato da Lorenzo Wittum, amministratore delegato in Italia, a Buongiorno, su Sky TG24, l’azienda infatti sembra essere disposta a “cedere le licenze per far sì che si possa accelerare. E’ quello che abbiamo fatto negli ultimi mesi: i 20 stabilimenti di produzione non sono solo nostri”.
Wittum ha poi aggiunto: “lo stiamo già facendo e siamo pronti ad aumentarlo. Per farlo, però, abbiamo bisogno di un partner capace di gestire questo processo di produzione, perché il trasferimento tecnologico non è assolutamente facile, e che abbia capacità di produzione di decine di milioni al mese“. Si tratta di una possibilità presa in esame e che ha portato ad un primo vertice il 25 febbraio scorso al ministero dello Sviluppo Economico, dove Giancarlo Giorgetti, responsabile del dicastero, ha assicurato a Farmindustria la massima disponibilità per la fornitura di strumenti normativi e finanziari.
Occorre però ricordare quanto sottolineato anche da due giornalisti britannici, ossia che a fine mese alcuni ricercatori del prestigioso ateneo britannico avevano sottoscritto un impegno affinché la licenza del siero fosse “non esclusiva”, e che quindi ogni casa farmaceutica avrebbe potuto avervi accesso, e “libera da royalities”, ossia che fosse del tutto gratuita. L’idea dei ricercatori è stata però rinnegata con l’accordo di esclusiva che è stato siglato con AstraZeneca, che però non è specializzata nella produzione di vaccini.
Dietro questa decisione, in sostanza, sembra esserci anche lo zampino del governo britannico. Pare infatti che Oxford abbia avuto contatti con diverse case farmaceutiche ma che ogni approccio sia stato bloccato dal ministro della Sanità britannico, Matt Hancock, che ha giustificato la decisione con “motivi di sicurezza nazionale” e anche per assicurarsi una linea di produzione all’interno del territorio nazionale.
In sintesi, il governo britannico si sarebbe fatto avanti per impedire ad Oxford di concedere licenze non esclusive a qualsiasi produttore interessato, come invece aveva pensato all’inizio. Il quaro è stato ricostruito sulla piattaforma Twitter da Naomi O’Leary, corrispondente da Bruxelles dell’Irish Time, e da Faisal Islam, giornalista della Bbc.
Intanto AstraZeneca, impegnata in un testa a testa con l’Ue per il contratto e la consegna delle dosi, è in contatto con l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) per ottenere l’autorizzazione per la somministrazione del siero anche agli over 65. Mentre l’Ema ha autorizzato l’uso del farmaco senza alcuna soglia di età, l’Aifa, così come altri enti regolatori, ha approvato la somministrazione solo per soggetti con età inferiore a 55 anni e senza patologie, poiché prima non vi erano dati che dimostravano l’efficacia del campione anche su soggetti anziani.
Successivamente, con l’arrivo di nuovi dati, la soglia è stata alzata e portata a 65 anni. Wittum ha poi spiegato: “è una decisione che deve prendere l’Aifa con il ministero della Salute, ma abbiamo dalla Scozia dati aggiuntivi che possono essere utili. In Francia e in Germania si sta già valutando questa ipotesi. Vedremo nei prossimi giorni”. Poi, alla domanda se il vaccino sia indicato per questa particolare fascia d’età, Wittum ha spiegato che “basta guardare la scheda tecnica dell’Ema, il vaccino è approvato dai 18 anni“.
Giuseppe Remuzzi, nefrologo e direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs, durante un’intervista al Corriere della Sera cita lo studio scozzese e si dice favorevole all’estensione della vaccinazione con i prodotto AstraZeneca anche agli over 80: “un lavoro appena pubblicato in Scozia, che ha preso in esame 5,4 milioni di persone, ha evidenziato che la prima dose Pfizer è stata associata a un’efficacia dell’85%, mentre la prima dose di AstraZeneca a un’efficacia del 94% tra i 28 e i 34 giorni dopo la somministrazione, anche in chi ha più di 80 anni con patologie come obesità, diabete, ipertensione, malattie cardiovascolari o precedenti malattie respiratorie che sappiamo espongono a maggior rischio di morte”.
Sempre citando lo stesso studio, anche in Germania la Commissione tedesca per le vaccinazioni (Stiko) sembra propensa a raccomandare la vaccinazione anche alla fascia più anziana. Secondo Thomas Mertens, presidente della Stiko, tutto ciò “è possibile e lo faremo. La Commissione pubblicherà molto presto una nuova raccomandazione aggiornata”, mentre resta in attesa di maggiori dettagli sullo studio diretto dall’Università di Edimburgo.
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