AstraZeneca ha annunciato un nuovo taglio alle consegne del secondo semestre, provocando un crollo da 24 a 12 milioni di dosi. Ma c’è anche dell’altro dietro l’andamento a rilento della campagna vaccinale in Italia. La nostra è una rete che tende a bloccarsi spesso proprio nei passaggi finali, che non riesce quindi a somministrare in tempo quelle già poche dosi a disposizione.
Secondo i dati raccolti nella giornata di ieri, alle regioni sono state distribuite poco più di 5 milioni di dosi (5.198.860 per l’esattezza). Di queste solamente 3 milioni e mezzo sono state somministrate e, volendo essere ancora più precisi, solo 3.682.425. La differenza tra questi due dati fornisce una misura dell’efficienza (del tutto scarsa) messa in campo fino ad ora.
Attualmente le dosi in attesa sono più di un milione e mezzo, così come le persone che attendono di riceverle (1.516.435). Ciò significa che per il momento sono state utilizzate poco meno di tre dosi su quattro, ossia il 70,8% del totale. E su questo bisogna soffermarsi un attimo.
Inizialmente era stata fatta una richiesta alle regioni per mettere da parte il 30% delle dosi ricevute, in modo da garantire il richiamo, cioè la seconda iniezione, a distanza di 21 giorni. Questa richiesta ovviamente è valida anche per il vaccino prodotto da AstraZeneca, per il quale proprio ieri è stata alzata l’età massima di utilizzo a 65 anni.
In realtà questo freno è del tutto inutile nei confronti di questo particolare vaccino perché, come specificato dal protocollo del Ministero della Salute, la seconda dosa deve essere fatta a distanza di 3 mesi dalla prima. In realtà questo “obbligo di magazzino” è stato superato da un’interpretazione più flessibile e pragmatica, ossia disegnare un flusso che consenta di avere una riserva in linea con le dosi utilizzate 21 giorni prima.
Alcune regioni hanno ignorato le richiesta di mettere da parte il 30% delle dosi e per questo motivo la loro campagna vaccinale sembra andare più spedita. La Valle d’Aosta, infatti, ha utilizzato il 92,6% delle dosi a disposizioni, mentre la provincia di Bolzano, nonostante abbia registrato un elevato tasso di rifiuto tra medici e infermieri, è passata subito alla vaccinazione degli over 80 ed ha sfruttato l’87,3% delle dosi fornite.
Anche una regione grande come la Toscana è riuscita a mantenere un tasso superiore alla media del Paese, con l’81,9% delle dosi utilizzate. Altre regioni presentano tassi prossimi al 70%, come:
- Campania 76,5%;
- Emilia Romagna 74,7%;
- Piemonte 73,8%;
- Lazio 73,1%;
- Lombardia 70,5%;
- Veneto 68,3%.
Il dato peggiore registrato in Italia è quello della Calabria, con il 55,3%, ma vanno a rilento anche le vaccinazioni in Umbria (63%), che è il territorio dove le varianti hanno cominciato a circolare prima, e in Liguria (60,2%), che rappresenta la regione più anziana, e quindi anche la più fragile, d’Italia.
Proprio per questo motivo è più che doveroso protestare nel momento in cui una casa farmaceutica, che sia AstraZeneca, Moderna o Pfizer, annuncia un taglio nella consegna delle dosi. Ciò comunque non toglie il fatto che questo rappresenta solo parte del problema.
Fino ad ora, infatti, le dosi arrivate sono poco più di 5 milioni, come ha confermato lo stesso presidente del Consiglio Superiore di Sanità, Franco Locatelli, ed entro la fine di marzo dovremmo arrivare a circa 13 milioni. Il problema è che originariamente le previsioni parlavano di 28 milioni di dosi in questo arco di tempo. Ma se anche fossero arrivate tutte, quante saremmo riusciti ad utilizzarne?
Se quello delle somministrazioni è un problema prevalentemente italiano, quello della produzione riguarda invece l’Europa. Per aumentare la capacità produttiva, Thierry Breton, commissario agli Affari Interni, ha proposto un piano che prevede il coinvolgimento di altri sedici stabilimenti. Nella lista provvisoria presentata, risultano anche due stabilimenti in Italia, di cui uno nel Lazio e l’altro nel Veneto.
Inoltre il piano prevede un “meccanismo a incastro“, in cui ogni stabilimento si occupa di un particolare processo produttivo, ma i tempi non sono comunque brevi. La stessa Commissione ha posto un freno al’ipotesi del passaporto vaccinale, infatti Didier Reyneders, commissario alla Giustizia, ha affermato che non ci sarà “un obbligo al vaccino per chi viaggia” e che “sarà possibile anche per le persone non vaccinate continuare a viaggiare sottoponendosi a test e quarantena“.
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