La decisione del Sudafrica di sospendere la somministrazione del vaccino prodotto da AstraZeneca, in collaborazione con l’Università di Oxford, per “risultati deludenti” contro la variante Covid che si sta diffondendo nel Paese, ha fatto accrescere le preoccupazioni circa l’efficacia dei vaccini contro le varianti che si stanno diffondendo o contro ipotetici ceppi che potrebbero affermarsi più in là.
Il tema è stato affrontato sui media con toni piuttosto allarmati e concitati, ma è ancora troppo presto per poter trarre delle conclusioni sia in un senso che nell’altro. Infatti mentre le case farmaceutiche stanno pensando a come modificare il proprio prodotto per renderlo il più efficiente possibile e in grado di tener testa ai nuovi ceppi, gli esperti invitano ad agire con cautela e ad apettare l’arrivo di nuovi dati, più completi, sulle campagne vaccinali in corso.
In Sudafrica, infatti, la sospensione della somministrazione del vaccino Oxford-AstraZeneca è stata annunciata in seguito alla pubblicazione di uno studio preliminare, quindi ancora in attesa di essere revisionato da altri ricercatori, dal quale è emerso che il siero in questione presenta un’efficacia ridotta contro la variante B.1.351. I dai pubblicati infatti hanno rivelato che, mentre il vaccino originariamente riduceva i casi lievi di Covid-19 del 75%, contro il nuovo ceppo il dato scendeva al 22%.
Lo studio condotto in Sudafrica però è stato criticato poiché ritenuto “poco rappresentativo“. I dati raccolti che testimoniano la drastica diduzione dell’efficacia del vaccino sono basati solo su 42 casi di pazienti positivi e, in questo senso, l’intervallo di confidenza del 22% è molto ampio. La ricerca ha coinvolto in tuto 1.765 volontari con un’età media di 31 anni, ma non ha offerto informazioni utili circa la capacità del vaccino di prevenire l’insorgenza di forme gravi, nè ha fornito numeri sui ricoveri o sui decessi.
Il Paese, oltre alla sospensione del farmaco, ha anche annunciato che verranno avviati altri studi per testare l’efficacia di ogni singolo vaccino contro il nuovo ceppo prima di metterli a disposizione della popolazione. Tuttavia non è ancora chiaro in che modo verranno svolte queste indagini dato che le aziende farmaceutiche svolgono già per loro conto tutti i test possibili per verificare l’efficacia e la sicurezza dei loro prodotti.
Nonostante i dati da verificare e approfondire, il caso del Sudafrica ha comunque aggiunto elementi alle analisi sui rischi rappresentati da alcune varianti del coronavirus, nel caso in cui i vaccini sviluppati si dovessero dimostrare inefficaci nel contrastarle.
Per ora, oltre a quella che si sta diffondendo in Sudafrica, i ricercatori si sono imbattuti nelle varianti inglese e brasiliana che rendono ancora più contagioso il Covid-19. Tra queste tre la variante sudafricana sembra essere quella che suscita maggiore preoccupazione perché è quella che riesce ad eludere meglio le difese offerte dai vaccini, anche se ci sono ancora numerosi aspetti da chiarire.
In generale, le sperimentazioni condotte lo scorso anno sui primi vaccini sviluppati erano mirate a valutare la loro capacità di prevenire la malattia causata dal Covid. Le sperimentazioni condotte da Moderna e Pfizer-BioNTech, ad esempio, hanno dimostrato un’efficacia del 95% dei loro rispettivi prodotti: un dato decisamente superiore alle migliori aspettative dei ricercatori.
Il vaccino prodotto da Johnson&Johnson, che a breve dovrebbe essere approvato negli Stati Uniti e nell’UE, presenta invece un’efficacia del 66% nel prevenire le forme moderate e gravi di Covid, ma si sono registrate anche notevoli fluttuazioni di questo dato a seconda delle aree geografiche in cui sono stati condotti i test.
Il dato è molto più basso rispetto a quello di Pfizer-BioNTech e Moderna, ma ciò non significa che il vaccino sia meno utile, soprattutto contro le forme più gravi di Covid-19, perché in questi casi il siero ha dimostrato un’efficacia dell’85%.
Tra le zone in cui sono stati condotti i test del vaccino Johnson&Johnson vi era anche il Sudafrica, dove si stava diffondendo la variante B.1.351. In questo caso è stata rilevata un’efficacia del 57% nel prevenire forme moderate e gravi di Covid-19, un dato sensibilmente inferiore al 72% che è invece stato rilevato negli Stati Uniti, dove si può dire che la variante era assente nei mesi di sperimentazione.
Anche il vaccino prodotto dalla casa farmaceutica statunitense Novavax ha dimostrato 2 dati differenti in altrettante zone. I test eseguiti in Sudafrica hanno dimostrato un’efficacia del 49%, mentre quelli condotti nel Regno Unito hanno evidenziato un dato decisamente più alto, intorno al 90%, nonostante in quel periodo si stesse diffondendo la variante inglese (che però non sembra aver influito sui test, infatti ad oggi non è stato dimostrato che i vaccini già approvati siano meno efficaci contro questa variante).
I dubbi degli esperti
Johnson&Johnson e Novavax hanno condotto parte delle sperimentazioni in condizioni del tutto differenti rispetto a quelle di Moderna e Pfizer-BioNTech, le quali hanno realizzato i loro test clinici prima che questi nuovi ceppi si diffondessero. Perciò non possiamo sapere in che modo si comportano i loro vaccini contro la variante B.1.351 tra la popolazione.
In attesa di ottenere maggiori risposte analizzando i dati delle prossime vaccinazioni, molti ricercatori hanno già avviato dei test di laboratorio per vedere se gli anticorpi neutralizzanti sviluppati dai soggetti vaccinati riescano o meno a contrastare questi nuovi ceppi.
Da alcuni studi preliminari condotti sul vaccino sviluppato da Moderna è emerso che la potenza degli anticorpi ha subito una lieve riduzione contro la variante sudafricana e altre sue specifiche mutazioni. Tuttavia il siero è in grado di indurre la produzione di grandi quantità di difese contro il Covid, garantendo così un adeguato livello di protezione.
La soluzione di Moderna, così come quella sviluppata da Pfizer-BioNTech, è basata sull’mRNA (RNA messaggero) e quindi entrambi i vaccini dovrebbero fornire una protezione approssimativamente uguale, ma gli esperti invitano a non sottovalutare i risultati degli esperimenti condotti.
I test di laboratorio possono essere rappresentativi solo fino a un certo punto perché non permettono di prendere in considerazione tutte le variabili che troviamo nel mondo reale. Gli esperimenti, infatti, hanno tenuto conto solo degli anticorpi neutralizzanti e non di tutte le altre difese offerte dal nostro sistema immunitario. Non si può però escludere che se Moderna e Pfizer-BioNTech avessero effettuato i loro test in seguito alla diffusione delle varianti registrate, i loro risultati sarebbero stati differenti, soprattutto nei confronti della variante sudafricana B.1.351.
I nuovi ceppi del coronavirus non devono essere sottovalutati ma occorre comunque ricordare che al momento la loro diffusione è abbastanza limitata, soprattutto nel caso della variante sudafricana. Alcuni ricercatori hanno affermato di essere già al lavoro per sviluppare nuove soluzioni contro specifiche varianti, le quali potrebbero essere approvate in tempi brevi se basate su sistemi già rivisti dalle autorità di controllo.
In questa fase è essenziale che il maggior numero di persone venga vaccinato nel minor tempo possibile. Più soggetti saranno immunizzatti e sempre meno denso sarà il gruppo di persone che rischia di sviluppare forme gravi di Covid-19 e così si contribuirà a rallentare la diffusione del virus. E ancora, se il virus circolerà di meno, si avranno sempre meno possibilità che nuove varianti più contagiose e pericolose si diffondano.
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