Durante il Consiglio europeo tenutosi la scorsa settimana, gli Stati membri hanno raggiunto un importante accordo sul percorso che l’Unione dovrà seguire per raggiungere l’obiettivo del Carbon neutrality e per la lotta ai cambiamenti climatici. In sede di Consiglio è stato infatti deciso di tagliare le emissioni del 55% entro il 2030, scelta che si allinea perfettamente con l’agenda Onu per lo sviluppo sostenibile.
Alcuni dei leader europei, Ursula von der Leyen in primis, hanno espresso grande entusiasmo per l’accordo raggiunto perché ciò evidenzia che il Vecchio continente sta prendendo seriamente la questione del Green Deal. A Bruxelles infatti la maggior parte è ben determinata a condurre l’Europa verso un futuro a zero emissioni entro il 2050.
Ora però bisogna accertarsi che questo piano sia effettivamente seguito. In ogni caso il Green Deal non deve essere inteso solo come una strategia per la lotta ai cambiamenti climatici ma anche come piano economico che definirà le sorti dell’Europa stessa.
Fin dall’inizio del suo mandato, infatti, la Commissione von der Leyen ha ribadito più e più volte la necessità di introdurre nuove politiche economiche che puntino al rilancio dell’industria e delle filiere produttive. Il cambiamento, almeno nei programmi, si basa sull’idea da più parti condivisa per cui l’Europa ha bisogno di adottare un percorso di crescita sostenibile per poter poi generare un nuovo equilibrio economico e sociale.
Negli ultimi due anni in particolare a causa del forte rallentamento del commercio mondiale e della costante ma debole crescita dell’Unione, in Europa si è presi sempre più atto dell’enorme ritardo industriale rispetto a Stati Uniti e Cina.
Questo ritardo è dovuto principalmente a due motivi, cioè:
- all’assenza di una vera e propria politica economica, a cui la Commissione avrebbe benissimo potuto rimediare in questi anni, soprattutto se si pensa a quanto siano coesi i mercati americani e cinesi;
- all’evidente gap che penalizza le industrie europee sul piano tecnologico e dell’innovazione.
Il McKinsey Global Institue infatti sostiene che circa l’85% degli investimenti totali in intelligenza artificiale sono stati appunto fatti in aziende americane e cinesi. E’ naturale quindi che restare indietro sul piano dell’innovazioni non generi che un intoppo anche sul piano della competitività.
Per poter recuperare questo ritardo nei contronti delle due superpotenze e rilanciare quindi l’industria europea, la Commissione sta puntando tutto sul Green New Deal. Oggi i termini Next Generation Eu, Recovery Fund e Recovery and Resilience Facility hanno preso il sopravvento per dare maggior risalto alle misure post Covid-19, ma in realtà rappresentano un’unica cosa, ossia il tanto atteso sforzo che l’Ue sta finalmente facendo per rigenerare la propria economia e riproiettare la sua influenza nel mondo non appena la pandemia terminerà.
In Germania in particolare è molto sentita l’esigenza di innovare la proprio industria, e per questo Angela Merkel si è convinta che questo è il momento giusto per investire perché oggi, con le sole politiche di bilancio, si rischia di perire sotto l’ombra delle economie più forti.
Naturalmente, investire significa anche creare posti di lavoro in un momento di forte contrazione economica che va a peggiorare il rallentamento di cui già soffriva l’occupazione industriale. E se in primis soffre l’occupazione, ciò si ripercuote anche su mercato e consumo.
Il Green Deal, inoltre, vuole far fronte a tre trasformazioni:
- riconfigurazione dell’economia mondiale;
- processo di digitalizzazione;
- climate change.
Ovviamente la pandemia ha destabilizzato l’economia per il suo avvento improvviso, ma i cambiamenti odierni erano già stati ampimente preannunciati da diversi fattori, come la crescita debole, il reshoring delle produzioni, il rallentamento del commercio mondiale e la dimensione sempre più regionale e sempre meno multilaterale degli scambi.
Anche se tutte le trasformazioni in senso digitale e sostenibile che l’Europa ha classificato di primaria importanza, costituiscono già la base dei processi produttivi nelle aziende più innovative. E le due cose sono ovviamente legate, infatti le produzioni più digitalizzate sono anche quelle più innovative.
In questo modo il mondo si va configurando verso tre principali piattaforme produttive, ossia Usa, Cina ed Europa. In Europa, però, con il termine “industriale” si indica tutta l’area che ruota attorno alla Germania, per la quale il mercato di sbocco non sarà più quello mondiale (come invece è stato fino ad ora), ma quello continentale.
Quindi per la Germania è fondamentale che tutti gli altri Paesi membri si riprendano da questa grave crisi causata dalla pandemia. Il Green Deal infatti ha proprio questo scopo, ossia rilanciare le produzioni europee, rendere l’Europa il principale centro di produzione dell’auto elettrica, puntare dritti verso l’obiettivo della carbon neutrality e dell’energia pulita, e, non meno importante, contribuire in maniera attiva alla lotta al cambiamento climatico rendendo le produzioni e la vita in generale sempre meno dipendenti da combustibili fossili e altre materie prime.
Il principale compito del decisore politico, in ambito economico, è quello di creare le condizioni migliori per la crescita e di fare in modo che imprese e lavoratori le comprendano a pieno e che le sfruttino nel migliore dei modi.
Durante la pandemia, l’Europa non ha solo dato un grande esempio dal punto di vista politico, ma ha anche messo in campo delle misure che prima erano del tutto inimmaginabili, vista sia l’inerzia che gli errori (si veda la crisi della Grecia) con cui invece era stata affrontata la precedente recessione.
Il Recovery Fund e il Green Deal, quindi, ci forniscono delle buone speranze per poter continuare ad ambire ad un futuro di crescita, essenziale per evitare un’ondata di malessere sociale che non farebbe che mettere in difficoltà la democrazia.
L’Italia è il Paese che beneficia del Recovery Fund in maniera maggiore, ma lo sapremo sfruttare a meglio? Questa domanda in realtà sorge spontanea data la debolezza delle classi dirigenti, sia da un punto di vista politico, sia dal punto di vista delle capacità. Inoltre il rilancio dell’industria tedesca è molto importante per l’Italia, che non solo rappresenta la seconda potenza manifatturiera europea, ma è anche molto integrata con la grande piattaforma tedesca.
Oltre all’avviso lanciato in questi giorni circa l’indebitamento dei Paesi, Mario Draghi ha anche affermato che vi è un’enorme necessità fisiologica di lavorare per la crescita con progetti ad alto rendimento. Inoltre Draghi sostiene che è essenziale rilanciare il piano industria 4.0 che nel 2016-2017 ha permesso al nostro Paese di superare la stessa Germania in termini di crescita della produzione industriale.
I settori su cui sarà meglio concentrare l’attenzione sono quelli per cui il mondo riconosce già la nostra eccellenza, e in particolare: meccanica di precisione, pellami, tessile, ottica, prodotti di elettronica, ecc…
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