Nelle ultime settimane si è fatta sempre più concreta la possibilità di avere ben presto a portata di mano un’arma per poter finalmente combattere il coronavirus, grazie agli annunci fatti da Pfizer e Moderna, le due case farmaceutiche che hanno rivelato che i loro rispettivi vaccini presentano un’efficacia superiore al 90%.
Recentemente è anche emerso che il vaccino prodotto da AstraZeneca, sviluppato in collaborazione con l’Università di Oxford, presenta un’efficacia del 90% se somministrato in dose minore nella prima iniezione. Ma vediamo prima le differenze tra questi tre candidati vaccini e cosa comporta questo annuncio.
Pfizer, Moderna e AstraZeneca: differenze fra i tre vaccini
La differenza principale riguarda la tecnologia alla base del campione stesso. I vaccini prodotti da Pfizer e Moderna utilizzano l’RNA messaggero (mRNA), mentre quello prodotto da AstraZeneca utilizza un vettore virale.
Si tratta in realtà di un adenovirus di scimpanzè che non è in grado di replicarsi nell’uomo, e che contiene una breve sequenza genica che codifica per la proteina Spike, ossia quella utilizzata dal coronavirus per ancorarsi alle cellule e per poi entrarvi. L’adenovirus quindi farà produrre al nostro organismo questa proteina e attiverà la risposta del sistema immunitario.
Entrambe le tecnologie, sia quella che utilizza l’mRNA sia quella che si basa invece sull’utilizzo di un vettore virale, sono estremamente innovative, infatti la maggior parte dei vaccini che conosciamo sono basati su tecniche e procedure completamente differenti.
Vaccino AstraZeneca, efficacia media del 70%
La sperimentazione condotta dalla casa farmaceutica finora ha riguardato 23 mila persone, tra le quali si sono verificati solo 131 casi di Covid, 101 dei quali avevano ricevuto una dose placebo e 30 invece la dose del campione in esame.
L’efficacia è stata calcolata sulla base della differenza percentuale tra i casi di malattia registrati sia nell’uno che nell’altro gruppo. Mentre Pfizer, che ha già terminato la fase 3 di sperimentazione, e Moderna hanno annunciato un’efficacia superiore al 90% (circa 95%), AstraZeneca ha invece fornito due dati differenti.
Per i volontari a cui sono state somministrate due dosi intere a distanza di 4 settimane l’una dall’altra, è stata registrata un’efficacia del 62%. Per i volontari che invece hanno inizialmente ricevuto una dose dimezzata e, a distanza di 28 giorni, una dose intera, è stata riscontrata un’efficacia del 90%. In entrambi i casi la protezione è stata verificata a due settimane dalla somministrazione della seconda dose.
Come mai una dose minore offre più protezione?
Una possibile risposta a questo quesito può essere data dalla complessità del nostro stesso sistema immunitario. Se infatti il dosaggio non è ben calibrato, si può ottenere un effetto opposto a quello desiderato, perché se da un lato si ha comunque un’attivazione della risposta immunitaria per combattere il patogeno, dall’altra il nostro stesso organismo cerca di sopprimere questa risposta perché troppo eccessiva.
Probabilmente durante la fase di sperimentazione i ricercatori hanno ricalibrato la dose per vedere se effettivamente questo consentiva di aumentare l’efficacia del campione. Ad ogni modo, per conoscere gli esiti dei test bisognerà aspettare la pubblicazione dello studio su una rivista scientifica.
Vaccinazione dopo aver già contratto il virus?
Uno dei quesiti più frequenti negli ultimi tempi riguarda la vaccinazione dei soggetti che hanno già contratto il Covid in precedenza.
Gli esperti per ora sostengono che è opportuno che chi ha già avuto la malattia non si vaccini. Sarà invece opportuno farlo solo dopo aver raccolto maggiori dati su questo sottogruppo di soggetti.
Questi soggetti hanno infatti una “bassa priorità” perché, avendo già contratto il virus, si suppone che presentino già un’immunità di base e che quindi siano protetti da una re-infezione o almeno dalle complicanze legate all’infezione.
Sicurezza del vaccino
Data l’emergenza di certo non si è badato a spese per finanziare le case farmaceutiche e portare avanti la sperimentazione su decine di migliaia di persone. Ciò ha consentito di svolgere una grande quantità di test appunto, e in maniera estremamente rapida.
Al momento per tutti e tre i vaccini, ormai prossimi al traguardo, non è stata registrata nessuna reazione avversa grave tra i partecipanti. L’unico dubbio sul vaccino prodotto da AstraZeneca riguarda la categoria di persone pesantemente immunodepresse, come ad esempio i malati oncologici trattati con particolari farmaci, perché l’adenovirus utilizzato è un vettore virale integro, anche se non è in grado di riprodursi nell’uomo.
Per quanto riguarda i vaccini prodotti da Pfizer e Moderna, invece, non sono sorti dubbi di questo tipo perché viene utilizzato solo l’mRNA, che naturalmente non contiene alcuna particella virale.
Altre informazioni mancanti
Come già accennato, i dubbi legati ai vaccini in arrivo sono ancora parecchi. Ad esempio di nessuno di questi si conosce ancora la durata della protezione dato che i test sono in corso solo da pochi mesi, ma si spera che la copertura sia di almeno un anno.
Un altro punto fondamentale riguarda gli anziani, che sono i pazienti Covid più a rischio di complicanze e morte. A tal proposito, secondo alcune analisi condotte da AstraZeneca, il suo vaccino è in grado di generare una forte risposta immunitaria in soggetti di età avanzata.
Vi è poi un ulteriore interrogativo, ossia: chi si vaccina sarà protetto dall’infezione o solo dalla malattia? Cioè vi è la possibilità che, nonostante l’immunizzazione, un soggetto presenti delle colonie isolate di Sars-CoV-2, ad esempio nele narici, che non danno sintomi ma che possono comunque infettare altri soggetti?
Se ciò fosse davvero possibile allora il vaccino non sarebbe sufficiente per raggiungere l’immunità di gregge, e se ciò non avvenisse si dovrebbero comunque tutelare le persone più a rischio, cioè tutto il personale medico che lavora in prima linea nella lotta al virus, e gli anziani. Così facendo la circolazione del virus verrebbe notevolmente rallentata.
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