Il Parlamento Europeo ha approvato la riforma PAC, la Politica Agricola Comune che punta ad aiutare gli agricoltori in difficoltà in questo periodo segnato dalla pandemia. La riforma prevede l’adozione di una serie di misure per regolare le attività agricole e il loro impatto sull’ambiente per i prossimi 7 anni, ed è stata approvata con 425 voti a favore, 212 contrari e 52 astenuti.
L’assetto della nuova PAC, delineato dal Parlamento UE e dal Consiglio, sta però dividendo ambientalisti e agricoltori. Secondo i primi occorre intraprendere azioni più ambiziose per raggiungere gli obiettivi del Green Deal e soprattutto della strategia Farm to Fork, mentre le imprese avvertono che se non viene tutelato il reddito dei produttori non sarà possibile investire nella transizione ecologica del settore.
Il dibattito tra i due gruppi sulla riforma della PAC è avvenuto durante la sessione dedicata all’agroalimentare che ha messo a confronto i rappresentanti delle istituzioni, delle imprese, delle associazioni di settore e ambientaliste.
L’argomento iniziale del dibattito è stato proprio il voto del Parlamento europeo sulla PAC, il quale ha chiesto di aumentare i fondi destinati agli ecosistemi e alle misure dei PSR (Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale) rivolte ad ambiente e clima, ma che è accusato di non aver incluso gli obiettivi della strategia Farm to Fork, che punta a rendere più sostenibile l’intera filiera agroalimentare, dal produttore al consumatore.
Adeguamento a Farm to Fork tramite riforma a medio termine
Paolo De Castro, coordinatore S&D in commissione Agricoltura e sviluppo rurale, ha ricordato che il Parlamento europeo ha agito basandosi sulla proposta presentata dall’ex commissario Hogan nel 2018, e che attualmente le comunicazioni della Commissione relative al Green Deal devono ancora trasformarsi in proposte legislative.
In seguito De Castro ha affermato: “La proposta di Hogan aveva già una serie di problemi che abbiamo denunciato da subito e provato a mitigare, dal rischio di rinazionalizzazione della PAC alla ricentralizzazione con un Piano unico nazionale che esautora le autonomie regionali”.
“Una volta che i nuovi obiettivi si tradurranno in atti legislativi potranno essere incorporati nella PAC sfruttando la mid term review del 2025, ma per ora sarebbe già un traguardo ottenere quanto richiesto dal PE”.
Il Parlamento ha infatti chiesto una PAC più ambientalista rispetto a quella proposta dalla Commissione, vincolando agli ecosistemi almeno il 30% delle risorse del I pilastro, contro il 20% deciso dal Consiglio, e portando al 35% la quota dei PSR per le misure che hanno effetti benefici per clima e ambiente, contro il 30% concordato dal Consiglio.
Secondo De Castro, gli sforzi ambientali chiesti agli agricoltori dovrebbero essere oggetto di valutazioni di impatto, affinché non spingano verso un aumento delle importazioni dei prodotti da Paesi terzi che non rispettano le normative adottate.
Su questo tema è poi intervenuto Flavio Coturni, responsabile dell’unità Agricultural Policy Analysis and Perspective della Commissione europea. L’Unione Europea è leader mondiale nelle esportazioni di prodotti agroalimentari (140 miliardi esportati nel 2019) ed è il secondo importatore mondiale, dopo gli USA, con ben 122 miliardi, quindi ciò si traduce in un surplus commerciale costante a partire dal 2009.
Questo primato è stato mantenuto anche durante uno dei periodi più duri degli ultimi anni, segnato dalla crisi dovuta alla pandemia da Covid-19, riuscendo infatti a segnare un aumento del 3% delle esportazioni agrifood nei primi 7 mesi del 2020.
Tuttavia, resta ancora la sfida della competitività dovuta alle controparti globali, per questo la politica commerciale dell’UE ha un importante ruolo da svolgere, per ottenere così impegni sul fronte della sostenibilità anche da parte di Paesi terzi.
Farm to Fork ha già tracciato una serie di obiettivi ambiziosi, come ad esempio quelli che prevedono:
- alleanze verdi tra l’Unione e i partner commerciali extra UE;
- misure fitosanitarie negli accordi bilaterali;
- impegno da parte di Paesi terzi sul benessere degli animali e sui pesticidi utilizzati;
- un’iniziativa legislativa sulla deforestazione.
Agricoltori e transizione ecologica
Francesco Ciancaleoni, dell’Area ambiente e territorio di Coldiretti, ha però affermato che vi è il rischio concreto che “le grandi aspettative di produttori agricoli, ambientalisti e consumatori sulla strategia Farm to Fork, ad esempio sul tema della prossimità e dell’accorciamento delle filiere, trovino nella PAC una dotazione finanziaria insufficiente“.
Inoltre ha aggiunto che l’assenza di risorse e di un’analisi di impatto adeguata, si possono riscontrare enormi rischi per il settore agricolo. Anche Alessandra de Santis, responsabile per gli affari europei di CIA – Agricoltori Italiani, ha espresso le stesse preoccupazioni.
“L’agricoltura va sostenuta nella transizione, che non riguarda solo gli obiettivi di Farm to Fork, ma dell’intero pacchetto Green Deal, dalla legge sul clima alla strategia sul metano e la biodiversità. Quando parliamo di sostenibilità dobbiamo intenderla in senso ambientale, economico e sociale, perché se perdiamo gli agricoltori perdiamo anche la popolazione delle aree rurali e ciò che gli agricoltori stanno già facendo per l’ambiente”.
Legambiente: “più coerenza tra PAC e Farm to Fork”
Legambiente chiede più coerenza tra PAC e Farm to Fork, ed è lo stesso pesidente dell’associazione, Stefano Ciafani, a denunciarne la mancanza.
Secondo Ciafani le posizioni di PE e Consiglio, le quali costituiranno la base per i triloghi sulla PAC, sono ancora troppo legate all’ottica degli incentivi concessi un po’ a chiunque, che quindi non vanno a premiare solo gli agricoltori più virtuosi e a spronare quelli che non lo sono a diventarlo.
Questo pensiero è stato sostenuto dalla maggior parte del settore agroalimentare italiano, che “ha investito risorse economiche, umane e mentali nel praticare la riconversione ecologica della produzione e potrebbero trovare un grande motore di innovazione nei fondi europei”, ha specificato il presidente.
Il problema, però, è esteso anche a livello nazionale, cominciando dalla scelta dei progetti da finanziare con i fondi stanziati dal Recovery plan. La transizione ecologica è un processo indubbiamente lento, che può verificarsi tramite la graduale rimozione di imballaggi in plastica, fitofarmaci, consumi idrici e fonti fossili, puntando invece sullo sviluppo di rinnovabili, spostando ad esempio risorse dai sussidi ambientalmente dannosi alle fonti fossili (che valgono attualmente 19 miliardi di euro), su sussidi che invece sono favorevoli all’ambiente.
Si tratta quindi di un dibattito più che mai attuale, soprattutto nel contesto dei lavori sulla legge di bilancio 2021.
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