Il Parlamento europeo alla fine ha approvato la proposta legislativa per la Politica agricola comune (PAC) dell’Ue attraverso un accordo siglato all’inizio della settimana scorsa tra i tre maggiori gruppi parlamentari, ossia Parlamento popolare europeo, Socialisti & Democratiti e Renew, senza un particolare miglioramento per la protezione del clima e dell’ambiente.

Legambiente sostiene che “serviva una profonda e radicale riforma della Pac, e non un compromesso al ribasso” come quello che è stato approvato dal Parlamento europeo e frutto di accordi tra PPE, S&D e Renew “con i rappresentanti del nostro Paese, con poche eccezioni, protagonisti in negativo“.

Cosa cambia con la nuova riforma?

La riforma è stata approvata a larga maggioranza, totalizzando 425 voti a favore, 212 contrari e 51 astenuti, e sulla carta presenta delle differenze importanti rispetto alla versione precedente. Quella più evidente e al tempo stesso preoccupante riguarda l’organo che gestirà l’enorme quantità di denaro pubblico della PAC, pari a 358 miliardi di euro, circa 1/3 dell’intero budget dell’Unione Europea.

In base alla nuova riforma, infatti, non sarà più Bruxelles a gestire questi fondi ma saranno i singoli Stati. Questo cambiamento comporterà l’insorgenza di due problemi sostanziali.

Innanzitutto va sottolineato che la PAC è uno strumento straordinario per creare consenso. Attorno a questi fondi gira tutto il settore primario e tutte le industrie collegate, a partire da quelle dell’agrochimica. In sostanza, se i fondi della PAC verranno affidati ai singoli Stati, nulla impedisce che questi vengano utilizzati secondo la convenienza politica del momento, quindi in base al colore e agli interessi del governo di turno.

Il secondo problema poi riguarda la corruzione, perché si sa già che molti Paesi dell’Ue non sono certo famosi per la gestione virtuosa del denaro pubblico. E ancora una volta la PAC rischierebbe di essere utilizzata in maniera inappropriata.

Un capitolo a parte è dedicato anche ai sussidi. La riforma approvata infatti prevede che circa la metà dei fondi, cioè quasi 162 miliardi di euro, venga utilizzata come supporto al reddito degli agricoltori ma senza condizioni vincolanti in tema ambientale.

Ciò non fa altro che alimentare un sistema che non solo non è stato efficace nella tutela dell’ambiente, ma che è stato anzi una fucina di diseguaglianze dato che ha contribuito a distribuire l’80% dei sussidi ad appena il 20% degli agricoltori europei, ovviamente a quelli più grandi.

Distrutti anche gli eco-schemi

A seguito dell’accordo stretto con i tre gruppi parlamentari, anche la misura di bandiera che doveva garantire la sintonia con gli obiettivi del Green Deal è stata frantumata. In questo caso parliamo degli eco-schemi, quei meccanismi che erano stati progettati per consentire una distribuzione più mirata dei fondi e incentivare all’utilizzo di pratiche agricole attente alla biodiversità e alla tutela di clima e ambiente.

Il “trucco” è racchiuso proprio nei criteri in base ai quali è possibile accedere a questo pacchetto di fondi: quelli ambientali non sono vincolanti, e inoltre sono stati aggiunti molti criteri che sembrano seguire una logica prettamente economica.

In altre parole gli eco-schemi possono essere sì utilizzati per finanziare attività basate sul solo profitto, ma non quelle che puntano effettivamente alla tutela dell’ambiente, monitorando l’impatto sul clima e sul territorio.

Se poi qualche Stato volesse aggiungere delle normative più stringenti e spingere per raggiungere effettivamente gli obiettivi climatici prefissati con il Green Deal, verrebbe bloccato in partenza. Questo perché la riforma della PAC impedisce ai Paesi membri di adottare di fatto delle misure più stringenti nella distribuzione delle loro quote dei fondi, in rispetto dell’omogeneità a livello europeo e della concorrenza.

Altre modifiche del Parlamento alla PAC

Inoltre sono state applicate anche delle modifiche apparentemente minori ma che allo stesso modo erodono le misure di tutela degli habitat e degli ecosistemi.

L’accordo raggiunto in Parlamento infatti rimosso l’obbligatorietà, per le aziende agricole, di utilizzare uno strumento di gestione sostenibile dei nutrienti. Il divieto di arare terreni appartenenti alla rete “Natura 2000” è molto più limitato, infatti adesso restano fuori solo quelli dichiarati “ambientalmente sensibili” e quindi non tutti.

Poi ancora sono stati cancellati gli indicatori che consentivano di misurare la quota di preservazione del paesaggio che spetta alle aziende. Senza questi sarà quindi impossibile stabilire se verranno rispettati o meno i piani dell’Ue per la tutela della biodiversità.

Sono stati eliminati anche gli indicatori della riduzione delle emissioni del bestiame. Ora, senza questo tipo di indicatori, non sarà più possibile fissare degli obiettivi di riduzione delle emissioni per questo settore.

Le critiche dopo il voto

Le critiche ricevute da parte delle ong e della società civile sono durissime. Harriet Bradley, policy officer di Birdlife Europe & Central Asia, ha attaccato dicendo: “è chiaro come il giorno che questa proposta indebolisce il Green Deal. Adesso l’unica opzione credibile per la Commissione è ritirare la sua proposta di riforma”.

Bradley fa riferimento all’emendamento che permette di contare al 40% i pagamenti diretti fatti attraverso il budget destinato alla tutela dell’ambiente. Si tratta di un meccanismo vecchio, già cancellato una volta dalla Commissione europea poiché definito come una linea rossa da non oltrepassare, ed ora reintrodotto.

Non stupisce minimamente la dichiarazione ufficiale del PPE, che oblitera la questione climatica per lasciar spazio a economia e lavoro. Herbert Dorfmann, deputato al Parlamento europeo e portavoce del PPE per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, ha infatti affermato: “Oggi abbiamo adottato una soluzione che proteggerà sia gli agricoltori che l’ambiente in futuro. Vogliamo proteggere milioni di aziende agricole a conduzione familiare in tutta Europa, per mantenere comunità rurali vive e per garantire posti di lavoro nel settore agroalimentare”.

Anche Peter Jahr, relatore della parte principale della riforma, ha rivendicato le qualità green della nuova PAC, a dispetto dell’impatto negativo che le modifiche avranno sull’ambiente. “Il Parlamento ha riconosciuto un legame esplicito tra il settore agricolo e l’accordo di Parigi, e combina gli attuali pagamenti diretti con nuovi eco-schemi e un bilancio verde dedicato“.

Ad elencare i pregi della nuova PAC si uniscono anche Paolo de Castro, di S&D, affermando quanto la riforma sia positiva, e Pina Picierno, anch’essa di S&D, che sostiene: “con le modifiche apportate abbiamo cercato di mitigare quell’eccessiva flessibilità data agli Stati membri nella proposta iniziale, attraverso un nuovo sistema “ibrido” di controlli.”

“In questa maniera garantiamo un giusto equilibrio tra la certezza di non creare disparità e concorrenza tra gli agricoltori europei, mantenendo il carattere comune di questa politica, e il controllo di come vengono spesi i fondi di questa politica”.

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