Tutti i produttori di energia dovranno portarsi dietro i danni causati dalla pandemia da Coronavirus ancora per parecchio tempo. Infatti si stima che se il ritorno “alla normalità”, e quindi ai livelli pre-crisi, dovesse avvenire già nel 2023, il decennio 2020-2030 risulterebbe comunque quello con la più bassa crescita della domanda di energia degli ultimi cento anni.

Iea, l’Agenzia internazionale dell’energia con sede a Parigi, ha definito il periodo che stiamo vivendo ora “tumultuoso” nel documento “World energy outlook“, elaborato, tra l’altro, dall’italiana Laura Cozzi, chief modeller dell’agenzia. Lo scopo del progetto è quello di far chiarezza sui possibili scenari che avremo davanti nei prossimi 10 anni.

Secondo l’Iea entro la fine del 2020 la domanda globale di energia registrerà un calo del 5%, le emissioni di CO2 si ridurranno del 7% e gli investimenti nel settore invece del 18%. Ovviamente la crisi avrà impatti diversi per ogni fonte energetica, ed in particolare si stima che petrolio e carbone subiranno il calo maggiore, con -8 e -7% rispettivamente. Per le rinnovabili invece è previsto addirittura un rialzo entro fine anno.

Il crollo delle emissioni rappresenta un fatto positivo, con 2,4 miliardi di tonnellate di CO2 in meno prodotte, tornando quindi ai livelli di circa 10 anni fa, ma nonostante ciò non sono previste diminuzioni nelle emissioni di metano, che rappresenta uno dei gas serra più potenti.

Se, nel migliore dei casi, nel 2021 il Covid tornasse sotto controllo e l’economia agli stessi livelli pre-crisi, la domanda di energia potrebbe riprendersi pienamente non prima del 2023. Data questa che slitterebbe al 2025 se invece la ripresa dovesse essere molto più lenta di quanto auspicato.

In tutti gli scenari ipotizzati però, ad avere un ruolo centrale è sempre l’energia solare. Grazie ai continui progressi fatti nel settore, ora questa tecnologia è molto più economica della produzione a carbone o a gas.

Sempre nel migliore dei casi, le rinnovabili dovrebbero riuscire a coprire l’80% della crescita della domanda energetica entro il 2030. Tuttavia questo potrebbe mettere a dura prova la rete di trasmissione che, come si sa, rappresenta l’anello debole dello sviluppo.

Per quanto riguarda i combustibili fossili invece, secondo Iea la domanda di carbone non tornerà in ogni caso ai livelli pre-crisi, anzi si arriverà a un calo della domanda al di sotto del 20% entro il 2040. Il direttore esecutivo dell’agenzia, Fatih Birol, ha affermato che “l’era della crescita della domanda di petrolio finirà nel prossimo decennio, ma senza grandi cambiamenti nelle politiche governative non ci sono segnali di rapido declino”.

Se da un lato la pandemia ha contribuito a ridurre le emissioni di CO2, bisogna anche dire che una bassa crescita non è la strategia migliore per ottenere questo risultato. Un’economia più debole infatti si traduce inevitabilmente in un rallentamento dei processi di cambiamento del settore energetico.

Inoltre prezzi più bassi non fanno che rallentare il recupero degli investimenti in efficienza. Secondo l’Iea, la tendenza delle emissioni, con i 36 miliardi di tonnellate di CO2 prodotta nel 2019 che potrebbero tranquillamente rivedersi nel 2030, può essere invertita solo aumentando la velocità dei processi di cambiamento strutturale del modo di produrre energia.

Secondo alcune analisi, se tutte le aziende continuassero a lavorare come in passato, si arriverebbe a un aumento della temperatura di 1,65 gradi. Ecco perché limitarsi ad evitare nuove emissioni non sarà sufficiente. La strategia migliore sarebbe quella di lavorare su centrali elettriche, impianti industriali ed edifici già esistenti.

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