Negli ultimi anni l’attenzione nei confronti delle questioni ambientali è andata via via crescendo. Le loro conseguenze su occupazione e crisi sono state le tematiche principali del Festival dello sviluppo sostenibile, una manifestazione organizzata dall’ASviS.
Recentemente è stato pubblicato il rapporto “Ossigeno per la crescita. La decarbonizzazione al centro della strategia economica Post-Covid” da Ref-E, un’azienda specializzazta in ricerca e consulenza per i mercati energetici di aziende, istituzioni e organismi governativi nei processi decisionali.
Il rapporto è stato curato da Matteo Leonardi, assieme al supporto di diversi analisti, come Enrico Giovannini, portavoce di Asvis, Giovanni Dosi, direttore dell’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, e Pia Saraceno, presidente di Ref-E.
Secondo l’analisi, abbandonare le fonti fossili, cominciando da carbone e gas, sfruttando i fondi europei del Recovery Fund, di circa 209 miliardi, e del budget 2021-2027 dell’Ue, con una stima complessiva di 400 miliardi, rappresenterebbe una buona occasione per far ripartire l’economia italiana a seguito della crisi post Covid a livello macroeconomico, oltre che prepararla per eventuali choc futuri.
Nel rapporto si legge però che occorre “superare le fragilità del nostro sistema decisionale e tracciare una strategia coerente e solida nel tempo, capace di innescare l’effetto moltiplicativo degli investimenti privati”.
I dati raccolti durante il 2020 sono a dir poco drammatici, con una caduta del PIL dell’8,4%, un crollo degli investimenti al 16% del PIL, un eccessivo crollo occupazionale e infine un rapporto debito pubblico/PIL vicino al 160%.
Dunque si prevedono due possibili scenari di ripresa, mentre le aree di riforme chiave necessarie sono 5: finanza sostenibile, fiscalità, domanda pubblica, economia circolare e lavoro.
L’abbandono del carbone implicherebbe uno sblocco nel settore elettrico del processo di autorizzazione per le fonti rinnovabili. Per quanto riguarda i trasporti, invece, ciò consentirebbe di concentrare gli incentivi per il rinnovo del parco autovetture sulle sole auto elettriche, e di sviluppare e migliorare i servizi di trasporto ferroviari.
Alcune conseguenze si vedrebbero anche nel settore dell’agricoltura, perché con l’abbandono del carbone si potrebbero adottare pratiche di agricoltura conservativa che puntino ad aumentare la capacità di assorbimento della CO2 nei suoli.
Quali sono i due scenari possibili?
Il primo scenario dunque prevede una spesa pari all’80% delle risorse europee, e, scegliendo il progetto di decarbonizzazione, si possono attivare investimenti privati nei settori chiave per l’innovazione tecnologica.
L’impatto economico è decisamente alto, con un tasso di crescita vicino al 5% all’anno, che potrebbe però scendere al 3,5% nel medio termine per poi arrivare infine a stabilizzarsi intorno al 2%.
Questo andamento sarebbe in grado di sostenere la transizione energetica e generare le condizioni ottimali per il rientro del debito.
Se utilizzati in questo modo, i fondi stanziati potrebbero consentire un aumento del PIL del 30% già entro il 2030 e un aumento dell’occupazione dell’11% entro lo stesso periodo.
L’aumento dei posti di lavoro si tradurrebbe in un aumento del tasso di occupazione per la popolazione in atà attiva, dall’attuale 57% al 68% entro il 2030. Si tratta di un dato comunque inferiore rispetto alla media degli altri Paesi europei, ma rappresenterebbe un netto miglioramento delle opportunità per i giovani in cerca di occupazione.
Il secondo scenario, quello più conservativo, prevede un consumo minore delle risorse europee dovuto a una riluttanza del settore privato nei confronti dell’innovazione, giustificata da una politica per la decarbonizzazione incerta.
Il risultato sarebbe un rimbalzo del PIL parziale, cioè si riuscirebbe a torare ai livelli del 2019 solo nel 2024, mentre per raggiungere i livelli pre-crisi 2008 bisognerà attendere il 2030. Inoltre il rapporto debito/PIL non recupererebbe molto restando intorno a valori molto alti, superiori al 140%.
Inoltre alla fine del decennio il tasso di occupazione sarebbe ancora troppo basso rispetto alla media europea.
L’intervento di Enel
Per quanto riguarda il tema della decarbonizzazione, anche Francesco Starace, amministratore delegato di Enel, ha espresso la propria opinione sostenendo che “la transizione alla sostenibilità è ormai un trend globale e l’Ue sta facendo bene a spingere in questa direzione”.
I mercati mondiali sono molto interessati all’argomento e stanno cercando meticolosamente investimenti con un forte contributo di sostenibilità. Infatti Starace ha continuato: “L’Ue attrae circa il 50% degli investimenti sostenibili, un vantaggio competitivo per il nostro sistema”.
“In quanto gruppo Enel siamo coinvolti in prima persona, da anni la nostra strategia pone le rinnovabili al centro del nuovo e la graduale dismissione del carbone al centro del vecchio“.
Inoltre Starace ha sottolineato che l’azienda è a buon punto nel suo progetto di decarbonizzazione e che molto probabilmente completeranno il percorso in tempi più rapidi di quanto previsto.
Infine l’amministratore delegato del gruppo Enel ha sottolineato che “transizione verde e digitalizzazione devono andare insieme. Quello che c’è dietro la rivoluzione verde è spinto dalla digitalizzazione e dal costante miglioramento dei materiali. Questa è stata la nostra intuizione 10 anni fa”.
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