I magistrati contabili hanno chiesto alla Commissione, attraverso un rapporto appena pubblicato, di rivedere alcune delle regole dell’Ets, le quali per anni hanno concesso ai “big” della chimica, dell’acciaio e del petrolio di ricavare profitti extra a danno delle finanze pubbliche.

L’ultimo rapporto della Corte dei Conti Ue sul mercato europeo del carbonio, ossia sul sistema ideato per rendere più costosa l’emissione di CO2 prodotta dalle più grandi aziende del continente, è risultato un totale disastro.

I magistrati contabili hanno infatti esaminato tutti i dati raccolti durante questi anni e hanno affermato che se la Commissione non provvederà a riesaminare alcune regole, le aziende che sono responsabili di oltre il 90% delle emissioni di CO2 in Europa continueranno ad inquinare “gratuitamente” fino al 2030.

Vi sono infatti delle quote legate al livello di emissione di gas serra nell’ambiente, che ogni azienda dovrebbe acquistare tramite delle aste verdi indette periodicamente dagli Stati.

Tuttavia fino ad oggi queste quote non sono state vendute bensì regalate, in quanto la vendita avveniva a costo zero. E tutto ciò è avvenuto alla luce del sole, agendo sulla base di motivi che per la Corte non sono mai stati dimostrati.

Inoltre, in particolare durante gli anni della crisi economica, i big del petrolio, della chimica e dell’acciaio sono riusciti a sfruttare la situazione e a metter su un business milionario, a danno ovviamente delle finanze pubbliche e dei consumatori, Italia compresa.

Proprio per questi motivi, gli obiettivi ambientali prefissi da Bruxelles per il 2030 rischiano di rimanere tali e di non realizzarsi.

Ciò avviene proprio nel giorno in cui la presidente Ursula von der Leyen è attesa alla plenaria dell’Europarlamento per presentare i punti del Piano per il Clima 2030, il quale prevede di tagliare almeno il 55% delle emissioni di gas serra nel giro di 10 anni, aumentando quindi l’attuale obiettivo del 40%.

Cos’è l’Ets?

Il mercato europeo del carbonio, o Ets (Emissions trading system) è stato introdotto per la prima volta nel 2005. Esso si basa principalmente su due strumenti:

  • il primo riguarda la quantità massima di CO2 che può essere emessere e il cui valore viene deciso (e abbassato) ogni anno da Bruxelles;
  • il secondo rappresenta un “mercato virtuale” in cui tutti i colossi acquistano o rivendono le loro quote di inquinamento.

Il prezzo di ogni quota viene stabilito in base all’andamento del mercato e nel 2019 è stato registrato un valore medio annuo di circa 25 euro per ogni tonnellata di CO2 prodotta.

Ogni Stato membro può poi mettere all’asta dei nuovi permessi, al fine di reinvestire il ricavato nella lotta al cambiamento climatico.

L’idea, quindi, dovrebbe essere che, in Europa, chi vuole inquinare deve pagare per farlo. Il problema principale sorto in seguito all’entrata in vigore dell’Ets, riguarda il fatto che molte aziende europee possono risultare meno competitive rispetto a quelle con sedi fuori dal continente (dove magari il costo del carbonio è particamente nullo), quindi si potrebbe assistere a un fenomeno di delocalizzazione delle fabbriche.

Per cercare di prevenire tutto ciò, si è quindi deciso di concedere buona parte dei permessi a inquinare a titolo gratuito.

Le critiche presentate dalla Corte dei Conti Ue

A partire dagli anni della crisi economica, molte aziende hanno ricevuto molte più quote di CO2 rispetto a quelle necessarie, e le hanno poi rivendute ad altre aziende, traendoni profitti da milioni di euro.

Un’inchiesta su FqMillennium ha rivelato che, in Italia, tra le aziende ad averne approfittato vi sono:

  • l’Ilva di Taranto;
  • Italcementi;
  • Buzzi;
  • Versalis, del gruppo Eni.

Si tratta di un vero e proprio scandalo che per più anni le associazioni ambientaliste hanno denunciato, ed ora è arrivata la conferma da parte della Corte dei Conti Ue.

Nel rapporto pubblicato lo scorso 14 settembre, i magistrati affermano che “l’assegnazione gratuita di quote doveva essere più mirata” in modo da fornire più benefici alle finanze pubbliche e al processo di decarbonizzazione dell’intero continente.

Si stima che anche nella fase 4 dell’Ets, ossia dal 2021 al 2030, “circa il 40% delle quote continuerà ad essere assegnato gratuitamente“.

Nel corso degli anni la lista di aziende che bineficiano di questi permessi gratuiti è stato ridotto, ma secondo i giudici contabili lo sforzo esercitato è stato minimo.

Gli unici settori ad essere ancora “graziati” dalla Commissione sono quelli che comprendono:

  • l’estrazione di petrolio e materiali ferrosi;
  • la produzione di zucchero, amidi e oli, ma anche di cemento, alluminio e altri materiali pesanti;
  • la fabbricazione di carta, gas industriali e materie plastiche.

In tutto però, come segnala la Corte dei Conti, queste “costituiscono ancora il 94% delle emissioni industriali” dell’intero continente.

Il motivo resta sempre lo stesso, ossia quello di deincentivare la delocalizzazione delle aziende in altri Paesi, economicamente più vantaggiosi.

Nel report si legge: “uno studio finanziato dalla Commissione europeo non ha trovato prova di rilocalizzazione delle emissioni di biossido di carbonio, sebbene altri studi sostengono che la rilocalizzazione non si è verificata proprio a causa dell’assegnazione gratuita delle quote“.

Inoltre i magistrati accusano il mancato raggiungimento di alcuni obiettivi ambientali previsti. L’Europa infatti era riuscita a non affiancare la crescita economica alla crescita delle emissioni di gas a effetto serra, le quali sono diminuite del 22% dal 1990 al 2016.

Nonostante ciò, è stato registrato che gli Stati che hanno ricevuto questi permessi gratuiti, hanno anche modernizzato i loro settori energetici, soprattutto nell’Est Europa, e ciò ha fatto registrare loro “una diminuzione molto minore in termini di intensità di carbonio” rispetto a chi non li ha ricevuti.

Si tratta però, come sostiene la Corte dei Conti, di una situazione di cui la Commissione era già a conoscenza. Tuttavia solo recentemente quest’ultima ha deciso di adottare una nuova strategia e proporre la carbon tax alle frontiere.

La carbon tax, in sostanza, permette di equiparare i costi di ciò che viene prodotto tutti dal continente, in genere in posti in cui le emissioni sono a costo zero.

Tuttavia nel report si legge che questa non è un’alternativa valida ed è stata esclusa da Bruxelles a causa di “potenziali conflitti con norme commerciali multilaterali e reazioni negative da parte dei Paesi non-Ue”.

Vantaggi ancora maggiori per il settore aereo

Se l’industria pesante gode dei vantaggi sopra citati, il settore aereo è soggetto a regole ancora più vantaggiose.

In questo caso, infatti, molti dei permessi vengono venduti a costo zero alle compagnie, poiché le regole dell’Ets non possono essere applicate anche ai veicoli stranieri che transitano nei cieli d’Europa.

Ora si attende l’entrata in vigore di un mercato del carbonio ad hoc, creato dal consorzio internazionale Icao, per il quale bisognerà però attendere il 2027.

Intanto la Corte dei Conti ha segnalato che “l’assegnazione gratuita delle quote può andare a sostegno dei viaggi aerei ad alta intensità di carbonio, a scapito del trasporto ferroviario“, che, come dimostrato, risulta più sostenibile per l’ambiente.

Per capire meglio la differenza tra le due tipologie di spostamento si può prendere in esame la tratta Barcellona-Madrid.

Secondo il rapporto, la quantità media di gas emessa da un aereo per compiere questo tratto è di 115,4 chilogrammi di CO2 per passeggero. Un treno invece ne emette solo 17 chilogrammi.

Von der Leyen, nuovi obiettivi per il 2030

La Corte dei Conti ha poi concluso affermando che tutti questi punti devono essere assolutamente corretti se si vuole raggiungere la neutralità climatica già nel 2050.

Inotre è stata proposta una strategia, la quale prevedere di stilare una lista dei settori che attualmente ricevono quote gratuite per poi divirla in 3 principali categorie: “molto esposti, moderatamente esposti o poco esposti” al rischio di delocalizzazione delle fabbriche in altri Paesi.

Ora la parola finale spetta a Bruxelles, che proprio in queste ore ha pubblicato le novità per il Piano per il clima 2030.

Nelle bozze del documento si legge l’intenzione della Commissione di estendere le regole dell’Ets anche al sistema marittimo e al trasporto su gomma, col fine di coprire “tutte le emissioni da combustibili fossili”.

La battagli però si presenta abbastanza dura poiché ciò potrebbe provocare un aumento considerevole dei prezzi dei carburanti.

L’ong Transport & Environment ha stimato che questi possono aumentare addirittura del 14% nel giro di soli 10 anni. Inoltre sostiene: “l’Europa dovrebbe invece concentrarsi su leggi che spingano le case automobilistiche ad accelerare la transizione all’elettricità“.

La battaglia principale però resta quella del raggiungimento degli obiettivi ambientali prefissi per il 2030.

Molti eurodeputati della commissione ambiente di Strasburgo continuano a fare pressioni per portare la riduzione delle emissioni al 60%, mentre altri non vorrebbero superare la soglia del 50%. Ora la parola finale spetta a Ursula von der Leyen.

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