Nel corso degli ultimi mesi, numerosi esperti, tra cui medici e ricercatori, hanno notato come molti dei pazienti con gravi sintomi da Covid-19 fossero obesi o notevolmente sovrappeso.

I dati raccolti dalle ricerche scientifiche più recenti, basate sullo studio di numerosi casi clinici, hanno dimostrato la correlazione dei due eventi, confermando che l’obesità è un fattore di rischio da non trascurare nello sviluppo delle forme più gravi della malattia causata dal coronavirus.

Questo fenomeno riguarda principalmente i Paesi occidentali, dove una buona percentuale della popolazione risulta in sovrappeso o obesa.

Un team internazionale di ricercatori ha analizzato tutti gli studi a riguardo fatti e pubblicati fino ad ora, comprendendo circa 400mila pazienti da diverse parti del mondo.

La loro analisi è stata pubblicata sulla rivista scientifica Obesity Review, e da questa è emerso che:

  • gli individui obesi che hanno contratto il coronavirus hanno avuto il 113% di probabilità in più di essere ricoverati in ospedale rispetto a un paziente normopeso;
  • gli individui obesi hanno avuto il 74% di probabilità in più di finire in terapia intensiva a causa del peggioramento dei sintomi, rispetto a un soggetto positivo normopeso;
  • la probabilità di morte tra le persone obese è superiore del 48% rispetto a quella stimata, prima di contrarre il virus, per i soggetti normopeso.

L’obesità è una sindrome che deve necessariamente essere trattata con l’ausilio e la sorveglianza di un medico, ma purtroppo i pazienti affetti la trascurano per diversi motivi, siano essi psicologici, economici o più in generale perché vi è ancora una certa disapprovazione da parte della società nei confronti di questa condizione.

Chi risulta obeso corre anche il rischio di soffrire di problemi cardiaci e di avere serie difficoltà respiratorie a cause dell’eccessivo accumulo di grasso nella zona toracica.

Inoltre con il passare degli anni i soggetti obesi possono sviluppare il diabete di tipo 2, che si riscontra proprio quando l’organismo non riesce più a metabolizzare lo zucchero in eccesso.

Questo insieme di fattori, unito alla già nota letalità del virus, non fa che rendere più rischioso un eventuale contagio da Covid-19, i cui sintomi sono già gravi.

Inoltre è stata da poco pubblicata negli Stati Uniti una una ricerca preliminare, quindi in attesa di essere rivista e confermata da altri ricercatori, che valuta le condizioni di salute di oltre 17mila pazienti statunitensi ricoverati con Covid-19.

Dallo studio è emerso che il 29% di questi era sovrappeso, mentre il 48% era obeso. I parametri utilizzati per definire queste condizioni sono quelli forniti dalle istituzioni sanitarie, come IMC, ossia l’indice di massa corporea. L’IMC in un soggetto sovrappeso va da 25 a 30, mentre superati i 30 si comincia a parlare di obesità.

Sulla rivista scientifica PNAS, invece, è stata pubblicata una ricerca condotta nel Regno Unito su circa 300mila persone proprio per valutare il tasso di ricoveri in relazione all’aumento del peso.

Dai risultati dello studio è possibile osservare un aumento significativo dei ricoveri dopo un IMC di 35, ma un leggero aumento è stato registrato anche a partire da IMC di persone sovrappeso.

Inoltre gli esperti sostengono che la possibilità di sviluppare problemi circolatori per le persone obese aumenta notevolmente in caso di contagio da Covid-19.

Nei casi più gravi, infatti, il Coronavirus è in grado di indurre un’infezione dell’endotelio, ossia del tessuto che costituisce il rivestimento di tutti i vasi sanguigni. Questo ricopre un ruolo fondamentale, in quanto mantiene il sangue liquido e previene la formazione dei coaguli, i quali possono provocare danni agli organi o neurologici, nel momento in cui arrivano al cervello.

Il Coronavirus quindi è in grado di compromettere la normale funzionalità dell’endotelio, rendendo ancora meno efficiente il sistema cardiocircolatorio che viene già messo in difficoltà nelle persone obese.

Tutto ciò si traduce poi in una serie di complicazioni e nell’insorgenza di problemi respiratori gravi. Infatti la grande massa di grasso accumulata su tutta la parte addominale va a spingere sul diaframma, ossia il muscolo che separa la cavità toracica, in cui sono contenuti i polmoni, da quella addominale.

E’ proprio il diaframma che ci consente di respirare tramite continue contrazioni e rilassamenti. Non potendo quindi muoversi normalmente a causa dell’anomala massa di grasso presente, il diaframma resta compresso verso la parte bassa dei polmoni, riducendo enormemente l’ingresso di ossigeno nei polmoni e quindi anche l’efficacia del processo di ossigenazione del sangue.

Il contagio da Covid-19 può peggiorare questo quadro in quanto provoca un’infiammazione dei tessuti polmonari, contribuendo ad aumentare la possibilità, per i pazienti obesi, di essere ricoverati in terapia intensiva ed essere intubati.

Secondo diversi esperti, infatti, sarebbe proprio questo fattore a spiegare l’elevato numero di persone obese ricoverate nei reparti di rianimazione.

Una persona obesa, inoltre, può riscontrare diversi problemi immunitari, perché il grasso in eccesso può infiltrarsi all’interno degli organi deputati alla produzione delle cellule del sistema immunitario, causandone un malfunzionamento.

Diverse ricerche hanno dimostrato che i linfociti T, le cellule incaricate di distruggere quelle infettate dal virus, sono meno efficienti in persone obese.

Anche questo, quindi, contribuisce a peggiorare il caso clinico del paziente in caso di contagio da Coronavirus, poiché l’organismo non è in grado di rispondere efficacemente al virus e di fermare l’infezione prima che causi gravi danni.

Un paziente obeso, inoltre, presenta un costante stato di infiammazione interna, poiché il tessuto adiposo estremamente espanso stimola la continua produzione di citochine, ossia molecole proteiche che inducono gli stati infiammatori necessari per proteggere l’organismo.

L’obesità quindi comporta già uno squilibrio a livello della concentrazione di citochine prodotte. In caso di contagio da Covid, poi, la produzione di citochine aumenta maggiormente (si ha una “tempesta di citochine“) che peggiora le condizioni dell’intero organismo.

Così come il fumo, anche l’obesità comporta maggiori fattori di rischio, ma chi ne soffre tende spesso a sminuire il problema oppure chiede solo tardivamente un aiuto medico.

In Italia, nella fascia d’età compresa tra i 18 e i 69 anni, il 40% dei soggetti risulta avere dei chili in eccesso. Tra questi un quarto è obeso, mentre i restanti tre quarti sono in sovrappeso.

L’Istituto Superiore di Sanità ha segnalato l’obesità come una delle condizioni pregresse ricorrenti tra i pazienti deceduti a causa del Covid-19.

Molti esperti, tra medici e ricercatori, sono al lavoro per capire quali siano le strategie migliori da adottare in caso di contagio da Coronavirus di una persona obesa.

Sono state prese in considerazione diverse alternative alle procedure attualmente utilizzate, come la revisione del dosaggio dei farmaci utilizzati per fluidificare il sangue o per tenere sotto controllo le infiammazioni indotte dal sistema immunitario.

Ciò non toglie che il sistema migliore sarebbe quello di adottare delle abitudini alimentari e uno stile di vita più sani, al fine di prevenire l’obesità e tutte le complicazioni ad essa legate.

Per chi è in sovrappeso, aumentare anche se di poco l’attività fisica potrebbe essere sufficiente, integrando ad esempio passeggiate a passo veloce. Le persone obese, invece dovrebbero consultare un medico o affidarsi a uno specialista.

Lo studio nelle terapie intensive francesi

Un’ulteriore conferma della correlazione tra obesità e gravità della malattia da Covid-19, arriva dal Congresso europeo e internazionale sull’obesità (ECOICO 2020), svolto proprio in questi giorni.

Secondo uno studio francese portato avanti dai ricercatori dell’Università di Lille, coordinati da François Pattou, vi è un chiaro legame tra sovrappeso, obesità e mortalità della malattia.

Il team di esperti aveva già pubblicato la prima parte dei dati raccolti sullo stesso campione di pazienti, in due articoli: uno su Obesity e uno su Lancet Diabetes & Endocrinology. Ora però, durante la presentazione virtuale, è stato presentato un maggior numero di informazioni, accompagnato anche da un’evidenza indiretta della correlazione dei due eventi.

Dallo studio infatti è emerso che le regioni della Francia in cui è registrato un tasso elevato di obesità, corrispondono a quelle maggiormente colpite dal virus.

Più in dettaglio, il gruppo coordinato da Pattou ha preso in esame 124 pazienti ricoverati per Coronavirus ed ha messo a confronto i loro dati con quelli di altre 306 persone ricoverate in terapia intensiva nello stesso periodo ma senza infezione da Covid-19.

Dall’analisi è emerso che tra i primi, circa la metà era obesa, quindi con un IMC pari o superiore a 30. Alcuni di questi, in particolare un quarto dei soggetti, era un grande obeso, con IMC superiore a 35.

Dei rimanenti, solo il 40% risultava sovrappeso, mentre solo uno su dieci risultava normopeso, ossia con un IMC di 25 o meno.

Nel gruppo dei controlli, però, le percentuali registrate erano diverse, con:

  • il 25% costituito da obesi o grandi obesi;
  • un altro 25% costituito da soggetti sovrappeso;
  • il restante 50% costituito da soggeti normopeso.

Purtroppo un andamento simile è stato registrato anche nei casi con necessità di ventilazione:

  • quasi tutti i grandi obesi ricoverati, circa l’87%, ne hanno avuto bisogno;
  • tra gli obesi, il 75%, quindi tre quarti, ne ha avuto bisogno;
  • tra le persone in sovrappeso la percentuale era del 60%;
  • per i normopeso, invece, meno della metà (circa il 47%).

Come ha sottolineato lo stesso Pattou, le cause che correlano l’obesità a un peggioramento dei sintomi da Covid-19, ancora non sono chiare, sebbene si pensa che ciò sia legato alla perenne infiammazione interna riscontrata nei soggetti obesi.

Questa condizione, sommata ad altre difficoltà respiratorie e a tutte le problematiche causate dall’infezione da Coronavirus, fa sì che la situazione diventi spesso critica nei soggetti sovrappeso o obesi.

Infine Pattou ha anche annunciato che si sta per concludere uno studio iniziato a maggio, che raccoglie i dati di oltre 1.200 pazienti ricoverati in terapia intensiva, reclutati in due centri americani, 18 europei e uno israeliano.

I dati raccolti serviranno per fornire delle informazioni in più sulla correlazione dei due eventi, cercando di chiarire tutti i dubbi sorti fino ad ora.

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