E’ stato stimato che al mondo vengono prodotte oltre 359 milioni di tonnellate di plastica all’anno, e di queste, il 17% viene prodotto dall’Europa a fronte di una domanda interna pari a 51,2 milioni di tonnellate l’anno (39,9% assorbita dagli imballaggi). Circa la metà di queste diventa rifiuto (25,8 milioni di tonnellate all’anno), e ancora, meno del 30% di questi rifiuti viene effettivamente avviata a riciclo.
Inoltre bisogna ricordare che la metà di questo già piccolo 30% viene esportata all’estero, in aree in cui gli standard ambientali non sono così stringenti.
I motivi per cui solo una così piccola percentuale venga effettivamente reciclata sono diversi: o la qualità dei rifiuti raccolti è troppo bassa, o gli impianti scarseggiano, oppure ancora non è economicamente favorito il processo di riciclo.
In ogni caso si tratta di problemi che è sempre preferibile scaricare altrove, infatti la domanda di plastica riciclata ammonta a solo il 6% del totale in Europa.
Tuttavia l’Europa stessa si sta impegnando a migliorare, infatti ha stabilito che entro il 2030 sul mercato saranno disponibili solamente imballaggi che potranno essere riutilizzati o riciclati in maniera efficace sotto il profilo dei costi, e almeno il 50% di questi dovrà essere effettivamente riciclato.
Per poter raggiungere questo tipo di risultati, molti guardano con particolare interesse alle possibilità fornite dal riciclo chimico. Questo prevede una modifica della struttura chimica stessa del rifiuto in plastica in questione, convertendolo in parti più piccole (monomeri) che potranno poi essere utilizzate per la formazione di nuovi materiali.
Il riciclo chimico rappresenta una “processo complementare” a quello meccanico utilizzato fino ad ora, che apre possibilità del tutto inedite anche per rifiuti che ad oggi sono molto difficili da riciclare, come ad esempio la plastica mista o plasmix, che rappresenta circa la metà della plastica attualmente raccolta.
Kesutis Sadauskas, alla guida della direzione Ambiente della Commissione Europea, responsabile dell’economia circolare e della crescita verde, ha spiegato ad Euractiv che “il riciclo è una tecnologia promettente”. Tuttavia si tratta di una strada nuova, da scoprire dal punto di vista industriale e non.
Sadauskas ha aggiunto: “E’ basato seguire un approccio basato sul ciclo di vita per considerare tutti i possibili benefici e i rischi di questo nuovo approccio, anche sul clima. I risultati dei progetti pilota in corso devono ancora essere ampliati per avere un quadro rappresentativo delle possibilità di questa tecnologia”.
In Europa infatti sono stati avviati progetti di ricerca per valutare le possibilità offerte dal riciclo chimico, come ad esempio PUReSmart e iCAREPLAST, i quali fanno sorgere ancora parecchi dubbi che si spera possano essere chiariti quanto prima.
Gli interrogativi che molti si pongono sono sia di natura ambientale che economica. L’EuRIC, una società di categoria che rappresenta le industrie europee del riciclaggio, ha affermato che il prezzo del petrolio dovrebbe crescere fino a raggiungere un valore di circa 65-75 dollari al barile (attualmente a 40) prima che i polimeri ottenuti dal riciclo chimico possano effettivamente diventare competitivi con quelli vergini.
Zero Waste Europe invece ha posto l’attenzione sul fatto che “il riciclo chimico rimane una tecnologia ad alta intensità di risorse ed energia e che consideriamo adatta solo come ultima risorsa per la plastica troppo degradata, contaminata o troppo complessa per essere recuperata meccanicamente”.
Oltre a puntare, dove possibile, alla riduzione di plastiche monouso, per capire quale sia la strategia di riciclo migliore da utilizzare risulta fondamentale l’analisi incrociata dell’intero ciclo di vita.
Anche in Italia sono state prese in considerazione le possibilità proposte dal riciclo chimico, poiché nonostante il quadro della situazione italiano sia migliore della media europea, resta comunque problematico.
Nel 2018 infatti, in Italia circa 6,8 tonnellate di resine termoplastiche sono state trasformate, e di queste il 15% proveniva da riciclo.
Per quanto riguarda gli imballaggi invece, nonostante le formule “plastic free“, nel giro di un anno sono state impiegate ben 2.083.880 tonnellate, di cui il 43,39% è stato avviato a riciclo, mentre il 48,63% a recupero energetico.
E proprio in questo contesto, Versalis, società chimica di Eni, ha annunciato il lancio del progetto Hoop, che prevede la costruzione a Mantova di un impianto da 6.000 ton/anno per il riciclo chimico.
Questo nuovo progetto ha suscitato fin da subito un grande interesse, infatti dopo pochi mesi dall’annuncio è stato stipulato un contratto tra Eni, Versalis e il Consorzio nazionale per il recupero degli imballaggi in plastica.
“L’obiettivo è di avviare un piano di studi per sfruttare tutte le frazioni di plasmix disponibili nel circuito Corepla, mettendo a fattore comune le rispettive competenze per i processi di gassificazione e riciclo chimico attraverso pirolisi”.
E’ stato poi firmato un secondo accordo, sempre da Eni e Corepla, che ha invece il fine di verificare “la fattibilità di valorizzare le plastiche a fine vita negli impianti innovativi che Eni sta studiando per la bioraffineria di Venezia, a Porto Marghera, e presso la raffineria di Livorno per la produzione rispettivamente di idrogeno e metanolo ottenuti tramite gassificazione“.
I risultati che emergeranno da questi progetti saranno essenziali per valutare le prospettive del comparto, sia a livello locale che nazionale.
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