Recentemente è stata pubblicata sulla rivista Scientific Reports la mappa dell’attuale contaminazione radioattiva in Europa, e questa mostra che gli elementi radioattivi liberati in seguito all’incidente di Chernobyl (1986) sono maggiormente presenti in alcune zone, tra cui Italia settentrionale, Francia orientale, Alsazia e Germania meridionale.
Le tracce dei test nucleari degli anni ’60, invece, sono distribuite in modo più omogeneo, ma si registrano comunque punte nella Francia centro-meridionale, nella regione del Massiccio Centrale, nella zona delle Ardenne e in Bretagna.
Grazie al lavoro di diversi ricercatori, coordinati da Katrin Meusburger, dell’Università svizzera di Basilea, è stata stilata la nuova mappa che indica il livello di contaminazione radioattiva in Europa.
Alessandro Dodaro, direttore del Dipartimento Fusione e Tecnologie per la Sicurezza Nucleare dell’Enea, ha spiegato all’ANSA che si tratta di “concentrazioni che non hanno alcun effetto dannoso su ambiente e popolazione e che sono più basse di quelle che ci sono naturalmente in alcune zone, ma è importante conoscerle”.
Infatti, stando a quanto riferito da Dodaro, conoscere le variazioni di radioattività sulla crosta terrestre “è molto importante anche per vedere differenze dovute a eventuali incidenti nucleari“.
In particolare, è di estrema importanza sapere quali sono le zone che registrano una maggiore presenza di radionuclidi, poiché questi posso influire sul ciclo vitale degli esseri viventi. Secondo Dodaro infatti “in quelle aree non potremmo coltivare o non far pascolare, ma questo problema riguarda solo l’area di Chernobyl“.
L’Irsn, Istituto francese di radioprotezione, afferma che meno dell’1% della dose media di esposizione dei cittadini francesi è da attribuire a contaminazione radioattiva legata a test nucleari e a Chernobyl.
Nuova mappa di contaminazione radioattiva
La nuova mappa pubblicata mostra che i Paesi interessati sono Francia, Svizzera, Germania, Belgio e Italia. Questa si basa su uno studio condotto su 160 campioni provenienti dalla banca europea del campione di suolo ed ha una “risoluzione spaziale” migliore rispetto a quella delle precedenti mappe.
Inoltre i ricercatori hanno utilizzato un differente metodo di calcolo per realizzarla. Questo è basato sul rapporto di due elementi radioattivi, ossia Cs (cesio) e Pu (plutonio), grazie al quale è possibile risalire alle due fonti da cui questi sono stati liberati.
Il plutonio infatti deriva dai test nucleari, mentre il cesio è stato rilasciato in seguito sia ai test, che all’incidente di Chernobyl.
Analizzando tutti i dati raccolti, si è giunti alle seguenti conclusioni:
- il cesio proveniente dai test nucleari, eseguiti nella stratosfera (tra 12.000 e 50.000 metri) continuava a circolare nell’atmosfera, ma è stato poi portato sulla superficie terrestre dalle piogge. Per questo motivo se ne registra una concentrazione maggiore in zone più piovose, come Bretagna, Ardenne o Massiccio Centrale;
- il cesio liberato in seguito all’incidente di Chernobyl non è riuscito a raggiungere altezze così elevate, ma ha raggiunto livelli più bassi, di circa 12.000 metri.
Anche a seguito delle costanti piogge registrate a fine aprile e inizio maggio del 1986, il cesio liberato è stato subito riportato sulla superficie nelle zone che erano state inizialmente raggiunte dalla nube tossica proveniente dall’Ucraina.
La distribuzione delle ricadute radioattive, quindi, è stata molto più eterogenea, e per questo motivo sono stati registrati valori anche molto differenti tra le diverse zone, riportando concentrazioni più elevate nei territori vicini.
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