Alla data di oggi 15 maggio, stando all’ultimo aggiornamento dei dati che arrivano dall’Università John Hopkins, il coronavirus SARS-CoV-2 ha infettato nel mondo circa 4,4 milioni di persone uccidendone poco meno di 300 mila. In Italia il numero totale dei casi di contagio confermati si aggira intorno ai 222 mila, mentre i morti sono oltre 31 mila.
Numeri, quelli che arrivano dalla John Hopkins University che sono inevitabilmente destinati ad aumentare con il trascorrere delle settimane, specie se si considera che in diverse zone del Pianeta la diffusione del virus procede ancora a ritmi sostenuti.
Eppure in questo momento a preoccupare gli esperti dell’Oms non è tanto la rapidità con cui il virus continua a trasmettersi specie nei Paesi del sud America e dell’Africa, quanto il fatto che il coronavirus potrebbe non sparire mai, sopravvivendo anche dopo la scoperta del vaccino.
Una ipotesi questa che arriva direttamente dai vertici dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, per bocca di Mike Ryan, direttore esecutivo del programma per le emergenze sanitarie dell’Oms. Questi, nel corso di un briefing sull’emergenza coronavirus tenutosi il 13 maggio scorso a Ginevra, è intervenuto affermando che il Sars-Cov-2 “potrebbe diventare un altro virus endemico nelle nostre comunità”.
Un’ipotesi tutt’altro che nuova invero, già ventilata da diversi esperti spesso bollati come inattendibili, ma che ora arriva direttamente dall’Oms. “Questo virus potrebbe non scomparire mai. L’HIV non è scomparso” fa notare Mike Ryan, che poi precisa: “non sto confrontando le due malattie, ma penso che sia importante essere realisti. Non credo che nessuno possa prevedere quando o se questa malattia scomparirà”.
Insomma il coronavirus potrebbe entrare a far parte della nostra vita quotidiana in pianta stabile, e secondo lo scienziato dell’Oms questo potrebbe accadere anche se si riuscisse a produrre un vaccino ritenuto efficace, che stando a quanto affermano alcuni laboratori di ricerca, piuttosto ottimisti peraltro, potrebbe essere pronto entro l’autunno.
I vaccini candidati per la sperimentazione sono oltre un centinaio in tutto il mondo, e alcune di queste preparazioni sono già entrate nella fase di sperimentazione clinica, vale a dire sull’essere umano.
Ma come mai, stando a quanto afferma in dottor Ryan, il vaccino potrebbe non essere sufficiente per debellare definitivamente il coronavirus? Perché questo possa accadere, spiega l’esperto dell’Oms “quel vaccino dovrà essere disponibile, dovrà essere altamente efficace, dovrà essere reso disponibile a tutti e dovremo usarlo”.
Fin qui insomma sembra che molto dipenda dalle quantità in cui il vaccino sarà reso disponibile, ma non solo, anche dalla disponibilità a vaccinarsi delle persone, altro elemento di importanza fondamentale secondo il dottor Ryan, che sottolinea la necessità di fare in modo che le autorità sanitarie siano in grado di distribuirlo su larga scala.
Negli Usa per esempio, stando a un recente sondaggio, non tutti sarebbero intenzionati a fare il vaccino contro il Covid-19. Nella fascia di età tra i 35 ed i 44 anni solo il 50% circa dei cittadini americani sarebbe realmente disposto a fare il vaccino, con tutto ciò che questo comporterebbe.
E qui entra in ballo il discorso dell’obbligatorietà del vaccino, che secondo alcuni potrebbe essere una soluzione, se non fosse che produrre simili dosi di vaccino, necessarie a coprire la pressoché totalità della popolazione mondiale, parliamo di oltre 7 miliardi di esseri umani, potrebbe essere un problema logistico non indifferente.
I laboratori nei quali i vaccini vengono prodotti sono naturalmente impegnati costantemente nella produzione dei vaccini di uso comune, come quelli obbligatori e non che si fanno nei primi anni di vita, più i vaccini per l’influenza stagionale.
Un altro esperto dell’Oms, il professor Soumya Swaminathan, ha ipotizzato che per debellare il coronavirus potrebbero volerci anche 4 o 5 anni. Invece secondo alcuni scienziati del Regno Unito, per tenere sotto controllo il numero dei contagi sarà necessario procedere con lockdown a intermittenza fino al 2022, che avrebbero inevitabilmente delle conseguenze disastrose sull’economia e quindi sulla qualità della vita di ciascuno.
Insomma la cosa andrebbe per le lunghe, e nel frattempo cosa farà il virus? La sua natura è quella di cambiare, aggiornarsi, evolversi, adattarsi. Lo ha già fatto in questi pochi mesi, e continuerà a farlo ancora. Potrebbe quindi diventare come i virus stagionali dell’influenza, per i quali sarebbe necessario fare una vaccinazione ogni anno.
Ma sarà ancora così letale? Si spendono milioni di dollari per la ricerca di un vaccino che, stando a quanto dice l’Oms, potrebbe essere del tutto insufficiente per contenere il virus, quindi è importante capire qual è e quale sarà il tasso di mortalità del coronavirus? Secondo molti virologi, nel caso in cui il covid-19 dovesse “stabilizzarsi” diventerebbe molto meno aggressivo.
La diffusione del coronavirus, quanti sono i contagiati?
Questa è una buona notizia insomma, il virus di cui probabilmente non ci sbarazzeremo mai potrebbe diventare molto meno pericoloso, ma c’è da dire anche che tuttora non sappiamo quanto sia pericoloso. Continuano ad aumentare gli studi fatti in ogni parte del mondo, secondo i quali ad aver contratto il virus sarebbero molte più persone di quelle che risultano annoverate tra i casi di contagio accertati.
I numeri ufficiali diffusi che mostrano il numero di persone che hanno contratto il virus su scala globale potrebbero essere inesatti. Ma facciamo qualche esempio pratico e parliamo di numeri. Circa un mese fa, in piena pandemia, quando in Italia i casi di contagio confermati erano circa 80 mila, secondo uno studio del centro medico Sant’Agostino, che è una rete di poli-ambulatori specialistici presente in Lombardia, in Italia ci sono 11 milioni e 200 mila persone che hanno contratto il Coronavirus.
Magari si sbagliavano, ma vediamo altri numeri, quelli di uno studio dell’Università di Oxford del 23 marzo, secondo il quale tra il 60% e l’80% della popolazione italiana è venuta a contatto con il coronavirus. Notizia che fu riportata da La Repubblica e da Il Messaggero, salvo che sul primo dei due i dati sull’Italia non sono stati riportati ma solo quelli relativi al Regno Unito.
Ma vediamo ancora dei numeri. Secondo l’Imperial College di Londra, una delle massime autorità in materia, sono circa 6 milioni gli Italiani che hanno contratto il coronavirus, pari a circa l’11% della popolazione del Paese, e questo naturalmente oltre un mese fa, viene da domandarsi quale sia la situazione attuale se quei dati erano corretti.
E ancora, stando a quanto affermato dall’infettivologo Bassetti, dell’università degli studi di Genova, sarebbero milioni gli Italiani che hanno contratto il Covid-19. Un dato non particolarmente preciso, ma se erano milioni ad inizio aprile, e secondo le stime ufficiali sono solo 220 mila adesso, qualcosa non torna.
Secondo l’Ispi (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) un mese fa erano oltre 500 mila gli Italiani ad aver già contratto il virus. C’è poi l’indagine del docsa, coordinata dal gruppo dell’epidemiologo Carlo Lavecchia dell’università statale di Milano, erano 5 milioni gli Italiani che ad inizio aprile avevano contratto il virus.
Stando a un recente studio del Kobe City General Medical Hospital di Tokyo le persone che hanno contratto il coronavirus potrebbero essere molte più di quelle che si credeva finora, o meglio di quelle che riportano i dati ufficiali cui si fa riferimento ad esempio per stabilire le misure restrittive da adottare.
Nello specifico lo studio giapponese avrebbe raccolto e analizzato mille campioni di sangue provenienti da pazienti che sono passati dal Kobe City General Medical Hospital di Tokyo tra la fine di marzo e di aprile, ma non per patologie legate al Covid-19. Di questi pazienti, che quindi non erano inseriti nel conteggio ufficiale dei “casi di coronavirus”, 33 sono risultati in possesso degli anticorpi per il covid-19, vale a dire il 3,3%.
Se questi dati dovessero essere confermati da studi analoghi, il tasso di mortalità del coronavirus scenderebbe intorno allo 0,01%, il che lo renderebbe meno pericoloso della banale influenza stagionale. Il direttore Kihara Yasuki spiega infatti che “c’è un’alta possibilità che molte più persone siano state effettivamente infettate dal Covid-19 rispetto alle ipotesi avanzate finora”.
Gli USA si assicurano la priorità sul vaccino
Pare quindi che il vaccino non risolverà il problema, e che con il coronavirus si dovrà convivere in qualche modo. E se è vero quel che ipotizzano numerosi scienziati circa il calo nel tempo della sua letalità, e se dovesse essere confermato quanto affermato dai numerosi studi fin qui citati, circa il reale tasso attuale di mortalità del covid-19, allora la convivenza col virus non dovrebbe essere neppure un problema così grosso come vien dato pensare.
Tuttavia va avanti la frenetica corsa verso il vaccino, con gli USA che stando a quanto riportato dall’agenzia Bloomberg, si sarebbero assicurati in qualche modo la priorità per ottenere il vaccino.
Paul Hudson, Ceo della Sanofi, società francese che sta lavorando al virus del coronavirus, ha dichiarato alla nota agenzia, che “gli Stati Uniti avranno diritto all’ordinazione prioritaria più consistente, dal momento che hanno investito di più”.
Gli Usa scavalcano l’Europa nella corsa ad accaparrarsi il vaccino contro il coronavirus insomma, e dalla Sanofi fanno sapere che nel Vecchio Continente il vaccino potrà essere distribuito se l’Europa sarà “altrettanto efficace” nel finanziare gli studi. “In questo periodo gli Americani sono efficaci” dice Oliver Bogillot, presidente di Sanofi France “e anche l’Ue deve esserlo altrettanto, aiutandoci a mettere a disposizione molto rapidamente il vaccino”.
Il manager ha fatto sapere che gli Stati Uniti “hanno già previsto di versare centinaia di migliaia di euro, mentre con le autorità europee siamo ancora a livello di pourparler” ma fortunatamente, dicono dalla Sanofi “ci saranno dosi sufficienti per tutti”.
D’altra parte furono sufficienti per tutti anche le dosi del vaccino per l’H1N1, furono così sufficienti che ne furono comprate per milioni e milioni di dollari, o di euro nel caso dell’Italia, per poi non essere utilizzate.
Nel 2010 infatti su La Repubblica leggevamo che per combattere la pandemia di N1H1 (sì anche in quel caso si trattò di pandemia, le critiche sul fatto che il virus fu ritenuto molto più pericoloso di quel che era arrivarono solo in seguito) l’Italia acquistò 24 milioni di dosi di vaccino al prezzo complessivo di 184 milioni di euro.
“10 milioni di dosi ritirate dalle fabbriche e distribuite alle Asl, 865 mila effettivamente inoculate. La stragrande maggioranza delle confezioni resta stoccata nelle farmacie delle Asl, nei centri vaccinali dei distretti o negli studi dei medici di famiglia” si legge su un articolo apparso su La Repubblica il 16 gennaio 2010.
E ancora “un viaggio tra le aziende sanitarie italiane parla di frigoriferi pieni (i vaccini vanno conservati a 4 gradi pena la loro degradazione) e di scetticismo tra i cittadini al centro della campagna di immunizzazione. Oltre 20 milioni di persone rientrano tra la ‘popolazione eleggibile’ da vaccinare secondo il ministero, ma solo 827 mila hanno porto il braccio alla siringa, con una proporzione del 3,99%”.
Quindi che fine hanno fatto tutti quei vaccini che l’Italia all’epoca acquistò spendendo qualcosa come 184 milioni di euro? Ce lo dice sempre Repubblica “se l’Italia ha deciso di donare il 10% delle proprie dosi (2,4 milioni) all’Oms c perché le distribuisca ai Paesi poveri, la gran parte delle boccette sembra avviata alla scadenza, prevista 12 mesi dopo la data di produzione e quindi a scaglioni tra settembre e dicembre 2010. A quel punto, non resterà altro da fare che buttarle”.
Intanto per accaparrarsi il vaccino contro il Covid-19 si continua a sgomitare. Dalla Francia, la sottosegretaria all’Economia, Agnès Pannier-Runacher ha definito “inaccettabile” la posizione di Sanofi, e la Commissione Ue ha ammonito: “il vaccino deve essere pubblico, con accesso equo e universale”.
Attraverso un appello firmato soprattutto dai leader dei Paesi in via di sviluppo, guidati dal presidente del Sudafrica, Cyril Ramaphosa, 140 leader del mondo protestano: “vogliamo un vaccino di tutti. Non possiamo permetterci monopoli, cruda competizione o miope nazionalismo”.
Questo contenuto non deve essere considerato un consiglio di investimento.
Non offriamo alcun tipo di consulenza finanziaria. L’articolo ha uno scopo soltanto informativo e alcuni contenuti sono Comunicati Stampa
scritti direttamente dai nostri Clienti.
I lettori sono tenuti pertanto a effettuare le proprie ricerche per verificare l’aggiornamento dei dati.
Questo sito NON è responsabile, direttamente o indirettamente, per qualsivoglia danno o perdita, reale o presunta,
causata dall'utilizzo di qualunque contenuto o servizio menzionato sul sito https://www.borsainside.com.